Uno degli obiettivi che ci stanno a
cuore è offrire un approccio ai valori monastici, nella consapevolezza
che sono valori perenni e fondamentali per la vita di ogni persona.
L’attualità della proposta di vita monastica oggi.
Occorre innanzitutto riconoscere la
bellezza, l’importanza e l’attualità dell’esperienza monastica oggi. Non
si tratta tanto della vita monastica legata alle sue antiche strutture,
quanto piuttosto dei valori che da secoli questa esperienza ha
consegnato alla storia e ancora oggi ha da offrire all’uomo
contemporaneo. A dire il vero sono diversi coloro che mettono in rilievo
come la tradizionale vita monastica abbia bisogno di rinnovarsi se
vuole essere ancora capace di dare il suo contributo alla comunità degli
uomini. Viene invece ad emergere il pullulare di nuovo forme di vita
monastica o di vita di fraternità cristiana che, riproponendo i valori
di fondo del monachesimo in forma e modalità nuove, non solo si
diffondono un po’ ovunque, ma hanno anche un’incidenza più significativa
e più diffusa lì dove la gente vive. Dalla vita monastica infatti
ereditiamo una serie di valori antichi e sempre nuovi, che in
particolare oggi è necessario riscoprire e vivere per la ‘salute’
dell’uomo contemporaneo. Faccio riferimento in particolare: al cammino
di ricerca di Dio, al Suo primato nella vita, al vivere con in e per
Cristo dando all’esistenza una concreta ‘svolta’ (conversio morum) per
realizzarsi in pienezza come vita di figli; questo attraverso il
silenzio, l’ascolto della Parola, la preghiera, l’accoglienza e la
carità fraterna, la sobrietà e povertà di vita, il lavoro come custodia
del creato e generatore di condivisione e giustizia, l’amore per il
bello e per tutto ciò che vi è di autenticamente umano. Come non
riconoscere in questi valori un bisogno e un’esigenza dell’uomo di oggi
sempre più disorientato da una vita frenetica, rumorosa, tesa al
primeggiare e all’avere, ma che alla fine non lascia se non
insoddisfazione, depressione, vuoto? Anche nelle nostre comunità
cristiane poi corriamo il rischio di adeguarci a una vita tesa quasi
tutta al fare, all’agire, alla ricerca di risultati perdendo di vista
l’essenziale: il primato di Dio e della Sua Parola.
Il bisogno di una “mediazione”.
Necessita allora di ritornare ai valori
autentici della vita cristiana trasmessi dalla ricca esperienza
monastica, trovando tuttavia il modo di “mediare” tali valori al fine di
permettere a tutti di incontrarli e di confrontarsi con essi. Oggi c’è
sempre più gente che frequenta monasteri e conventi sia per passare le
vacanze, sia per giornate di silenzio e di ricerca. Anche la stampa
nazionale più volte ha evidenziato questo fenomeno in crescita. E’ un
segnale del bisogno detto sopra. Tuttavia sono solo una minima parte
coloro che hanno la possibilità di vivere queste esperienze; ma quanti
altri hanno lo stesso desiderio senza poterlo realizzare. Non solo:
anche chi ha vissuto qualche giorno in un monastero sente la necessità
di poter continuare anche nel suo quotidiano la tensione verso quei
valori ricercati, e non sempre trova questo nelle nostre comunità
parrocchiali tutte indaffarate nell’organizzazione di mille iniziative e
nell’attuazione di linee pastorali che a volte passano lontano dai
bisogni veri e profondi delle persone. Si impone così questo bisogno di
‘mediazione’ intesa proprio come la possibilità di rendere i valori e
l’esperienza monastica alla portata di tutti, di ogni battezzato,
affinché possa vivere tutto ciò rimanendo semplicemente battezzato e
impegnato nella sua vita secolare. Volendo non si tratta di una novità:
già nella raccolta della Filocalia l’intento dei redattori era
precisamente quello di proporre a tutti i cristiani quella ricerca
spirituale che era confinata nei monasteri.
Oggi purtroppo questo bisogno di tanti,
non trovando adeguate risposte nella comunità cristiana, sfocia
nell’adesione a forme vaghe di pseudo spiritualità, nel new age se non
nell’ingresso in gruppi che si rifanno alle più strane tradizioni
orientali o addirittura in sette.
E’ dunque da vedere come segnale
positivo il nascere di piccole comunità che si ispirano alla vita
monastica e cercano di riproporne i valori lì dove la gente vive, nelle
chiese locali, con esperienze accostabili non solo occasionalmente,
bensì quotidianamente. Mi limito qui a riportare l’introduzione al libro
di Mario Torcivia: “Guida alle nuove comunità monastiche italiane”.
“Negli ultimi decenni del XX
secolo sono sorte numerose realtà ecclesiali che, pur rifacendosi al
carisma monastico, in verità hanno scelto di non far parte degli ordini
tradizionali. Sobrietà di vita, presenza d’uomini e donne, inserimento
pieno nella chiesa locale, spiccata sensibilità ecumenica, scelta del
lavoro per provvedere al proprio sostentamento, dialogo con la cultura e
la società contemporanee, accoglienza fraterna hanno fatto sì che
questi luoghi divenissero un punto di riferimento per credenti e no.
Sono, infatti, decine di migliaia le persone che, annualmente, decidono
di trascorrere periodi di tempo presso queste comunità per vivere
giornate di silenzio e preghiera e per partecipare a settimane bibliche e
di spiritualità. Questa è la prima opera su queste nuove forme di vita
monastica, le quali sebbene ancora giovani, rappresentano uno dei
soggetti più espressivi del panorama ecclesiale italiano
postconciliare.”
L’esperienza de “La Tenda di Mamre”.
Da quanto detto sopra si chiarisce il
motivo che sta alla base dell’esperienza proposta. Si tratta di
un’esperienza che si pone come ‘mediazione’ dello stile di vita
monastico per renderlo accessibile a chiunque. Un’esperienza che mette
alla sua base i valori fondanti lo stile di vita ereditato dal
monachesimo pur attuandoli in una forma nuova dentro la chiesa locale.
Un’esperienza che tuttavia non vuole essere indipendente dalla realtà
monastica tradizionale, bensì trovare in essa il riferimento costante
per una verifica e una permanente formazione che devono stare alla base
dell’esperienza stessa.
“Nella notte della nostra barbarie
tecnologica i monaci devono essere come alberi che silenziosamente
esistono nell’oscurità e con la loro presenza vitale purifica l’aria”. (Thomas Merton, in “Un vivere alternativo” Ed. Qiqajon pag. 64).
Il rapporto tra questa esperienza e la chiesa locale.
Perché tale esperienza svolga la sua
funzione di ‘mediazione’ della vita monastica occorre che, oltre ad
essere collegata a una comunità di monaci (nel nostro caso con la
Congregazione Camaldolese), sia altresì radicata nel contesto della
chiesa locale, nella Diocesi; questo con il riconoscimento del Vescovo e
il rimanere ‘prete diocesano’ a servizio della Diocesi stessa.
Resta importante anche cogliere i motivi
che fanno di questo rapporto un rapporto essenziale. L’espressione
della vita monastica attraverso queste nuove esperienze nella chiesa
locale è segno che il monachesimo è a pieno titolo nella chiesa in cui
vive, perché sottolinea la radicalità degli elementi di fondo di cui la
medesima deve vivere. Riporto un testo, che condivido e riprendo in
toto, di un prete diocesano iniziatore di una nuova esperienza nella
chiesa diocesana di Venezia, d. Giorgio Scatto: “Lo scopo della
nostra particolare presenza nella chiesa è semplicemente quello
tradizionale di sempre per la vita monastica, perseguito non in un
Ordine esistente, ma al contrario in seno ad una comunità diocesana: di
fatto un ritorno ad una situazione frequente in antico. Crediamo che la
chiesa, per essere veramente tale, deve avere nel suo seno tutte le
vocazioni e, per così dire, tutte le funzioni e quindi – fra gli altri –
anche dei cristiani che testimoniano la continuità, nella chiesa locale
in quanto tale, della vita di preghiera e di silenzio, in una comunione
piena con il Vescovo, con i suoi fedeli, con i suoi santi e con i suoi
morti. In questo quadro, storico concettuale, non ci proponiamo altro
scopo che quello di vivere in comune, da cristiani, secondo il massimo
di coerenza possibile… Nessuna fuga dal mondo… e neppure fuga dalla
chiesa”. Il patriarca Cè inoltre, nell’omelia in occasione dell’inizio di questa nuova esperienza così afferma: “Oggi
non nasce nella chiesa di Venezia un nuovo ordine religioso, ma il
presbiterio di questa chiesa si arricchisce di un nuovo dono…”. D. Giorgio poi aggiunge: “La
scelta, poi, di una parrocchia (luogo dove vivere l’esperienza)
manifesta ulteriormente la dimensione monastica dentro la realtà della
gente comune. La sfida odierna, infatti, è per una spiritualità che sia
significativa per l’uomo contemporaneo…”.
Una comunità monastica che vive in
parrocchia lancia, così, la scommessa di un monachesimo popolare in cui
non v’è più quel distacco, evidenziato anche dalla separatezza di luogo
cercata dai monaci, tra questi ultimi e il popolo.
La diocesanità di questa esperienza poi,
oltre che agli aspetti detti sopra, è vissuta anche in altri modi. Ad
esempio con l’offrirsi quale segno e luogo di preghiera e di
contemplazione della Parola di Dio a disposizione di tutta la comunità
diocesana, sia sacerdoti che laici; con il dare l’opportunità di trovare
spazi di silenzio e di ascolto per quanti lo desiderano; con il
mantenersi in contatto con la chiesa diocesana attraverso alcuni
sacerdoti che più da vicino siano interessati e coinvolti nel cammino e
nelle scelte di questa esperienza, realizzando così un anello di
congiunzione effettivo con tutto il presbiterio locale… “La
presenza del monachesimo in una Chiesa locale dovrebbe essere
silenzioso, ma eloquente richiamo ad una vita cristiana sempre più vera e
viva” (Viktor J. Dammertz OSB vescovo emerito di Augsburg).
Nessun commento:
Posta un commento