sabato 5 aprile 2025

"La speranza del perdono" - Quinta domenica di Quaresima

 

Ancora una volta sono gli scribi e i farisei che provocano Gesù. Sono i più integralisti e rigidi, scrupolosi nel far osservare la legge, giudici spietati verso chi non rientra nei loro schemi mentali. Come questa povera donna sorpresa in adulterio.

C’è in questo atteggiamento un non so che di attuale. Condannare, giudicare, mettere all’indice chi, secondo noi, sbaglia, è diverso o agisce fuori da quella che è ritenuta la prassi comune. Oggi questo è diventato un vizio pubblico: con parole e gesti si porta a rovina la convivenza stessa, le relazioni sociali, anche dentro le famiglie, alimentando sfiducia, cattiveria, odio. E quante volte certi giudizi diventano come muri che bloccano ogni possibilità di crescita, di cambiamento, di maturazione!

“Ma allora lasciamo correre tutto? Va tutto bene? Lasciamo che ognuno faccia quel che vuole?”. No. La questione non è questa. Occorre riconoscere ciò che è sbagliato, il peccato, ma salvare, aiutare chi sbaglia, la persona.

Gesù non chiude un occhio sul peccato, non scusa la donna per un peccato che sicuramente ha commesso. Gesù vuole però che il giudizio di Dio sia di Dio, non dell’uomo; l’uomo non può arrogarsi questo diritto, tutti siamo peccatori: “chi di voi è senza peccato getti per primo la pietra”.

E il giudizio di Dio non è mai senza una possibilità di salvezza, perché Dio non vuole la morte, ma la vita per tutti i suoi figli.

Nell’incontro tra ‘la miseria e la misericordia’ (come s.Agostino definisce questo racconto) Gesù regala a quella donna - e a tutti noi - la speranza. Una speranza più forte di ogni peccato. Condanna il peccato, la miseria, non condanna il peccatore, usa misericordia. E con il perdono lo riabilita e lo apre alla speranza di una vita nuova, di un futuro nuovo.

“Non ricordate più le cose passate, non pensate più alle cose antiche! Ecco faccio una cosa nuova”.  Sono le parole del profeta nella 1 lettura. La novità lì promessa è la novità stessa manifestata da Gesù. “Ecco faccio una cosa nuova: proprio ora germoglia, non ve ne accorgete?”.

Forse il dramma è proprio qui. Non ci accorgiamo che è possibile una via nuova, scelte diverse.

Andiamo avanti immersi nei nostri schemi, nel nostro modo abituale di catalogare gli altri, Dio, noi stessi e non ci accorgiamo che invece Dio ha rovesciato tutto, ha scompigliato i nostri schemi, ha buttato all’aria i nostri giudizi.

In Gesù fa germogliare la novità sconvolgente del suo amore misericordioso che ha la forza di aprire un futuro là dove tutto sembrava fosse perduto. Ha la capacità di ridare speranza a chi, a causa del suo passato, si sente soffocare dall’angoscia e dalla disperazione. Questa novità si chiama perdono!

Gesù ci fa comprendere che non c’è fallimento che non possa essere superato; non c’è caduta dalla quale non ci si possa rialzare; non c’è peccato che non possa essere perdonato.

Con Lui tutti possiamo sempre ricominciare di nuovo. Tutti possiamo cambiare. E insieme possiamo aiutarci a cambiare questa nostra società divenuta così spietata e ingiusta, così arrogante e giudicante.

Cambiamo sguardo, cambiamo prospettiva, per generare relazioni di misericordia, di attenzione alle fatiche dell’altro; offrendo quel perdono che apre a strade di novità, regalando parole e gesti di comprensione e di incoraggiamento che permettano, riconosciuti gli sbagli, di ricostruire sé stessi.

“Và e d’ora in poi non peccare più”: ecco la forza del perdono, che riconosce il peccato ma permette di superarlo, di aprirsi a una novità di vita. Sono parole dette per ciascuno di noi: “Và e d’ora in poi non peccare più”. Và e d’ora in poi regala a tutti misericordia e non giudizio e condanna.


sabato 29 marzo 2025

"Un abbraccio di speranza" - Quarta domenica di Quaresima

 

“Costui accoglie i peccatori e mangia con loro”. Questo il motivo che porta Gesù a raccontare questa parabola: i farisei e gli scribi lo criticano e lo rimproverano perché accetta di stare a tavola con pubblicani e peccatori.

E così nasce il racconto. Nei due figli siamo descritti tutti noi nel nostro modo – spesso sbagliato - di metterci in relazione al Padre, che rappresenta Dio, e tra di noi.

Come il primo figlio, alcuni vedono Dio come un concorrente, uno che ci impedisce di vivere con libertà e dunque uno da cui fuggire, allontanarsi per essere veramente liberi.

Altri invece, come il secondo figlio, il maggiore, rimangono nella casa, riconoscono Dio, ma lo reputano unicamente uno da servire, più padrone che padre, uno a cui si deve rendere conto; vivono così questa relazione con Lui come un dovere da compiere, anche con qualche lamentela…

In questo modo di relazionarsi con il padre, anche la relazione tra i due figli, che di fatto sono fratelli, viene guastata e diventa contrapposizione, rifiuto dell’altro, invidia, presunzione di essere migliori…

L’unico che invece rimane sempre identico è questo padre, che nella parabola rappresenta Dio. Un padre il cui atteggiamento verso questi suoi figli è splendido, commovente, umanamente impensabile. Basta riprendere ciò che fa al ritorno del primo figlio: “lo vide, ebbe compassione, gli corse incontro, gli si gettò al collo e lo baciò…disse portate il vestito, l’anello, i sandali (gli abiti non dello schiavo, ma del figlio), mangiamo e facciamo festa”. E poi con il figlio maggiore che si chiude nella sua arroganza e indignazione: “uscì a supplicarlo… tu sei sempre con me e tutto ciò che è mio è tuo”. Commovente questo amore smisurato del Padre che ha a cuore unicamente il bene, la felicità dei suoi figli e fa di tutto perché, da lui amati, accolti, perdonati, essi possano stare insieme in quella casa che tutti può e vuole accogliere.

Dio è così, ci dice Gesù con questa parabola. Non è come noi lo pensiamo: concorrente alla nostra libertà o padrone da servire quasi per forza. No. E’ padre che ama, di un amore di misericordia che non ha misura. Un amore che ha un solo scopo: la nostra felicità e realizzazione; la nostra capacità di vivere insieme come fratelli.

Ecco allora ciò che oggi è essenziale per il cammino di tutti noi: che riscopriamo il vero volto di Dio per ricostruire con lui e tra noi una relazione nuova, fondata sulla misericordia che è amore che accoglie e perdona.  

Quanto abbiamo bisogno di questo oggi in questa nostra società così divisa, lacerata, giudicante, pronta a massacrare l’altro solo perché diverso da noi. Se vogliamo far progredire questa nostra società, se vogliamo andare avanti occorre tornare… non indietro, ma tra le braccia del Padre. Tornare a Dio. “Lasciatevi riconciliare con Dio. Lui ci ha riconciliati con sé mediante Cristo”. Solo così “le cose vecchie sono passate; ne nascono di nuove” perché “se uno è in Cristo è una creatura nuova”. Ecco la novità, il cambiamento atteso: matura solo nel tornare al Padre, a quel Padre che Cristo ci annuncia e ci rivela.

Occorre che torniamo tutti – vicini o lontani, figli prodighi o fratelli maggiori – a metterci sotto lo sguardo del Padre, lo sguardo della sua misericordia, per tornare così ad essere e a vivere da figli e da veri fratelli tra noi.

Occorre ripartire dalla misericordia. Occorre una chiesa, una comunità cristiana, che diventi capace di generare misericordia. “A noi Dio ha affidato il ministero della riconciliazione”. Questo è il servizio che la chiesa deve offrire. Rivelare il vero volto di Dio misericordioso, padre che tutti ama e accoglie; attraverso una vita che sia trasparenza di Lui, sia attuazione di gesti e di scelte di misericordia, che aiutino tutti a sentirsi accolti, partecipi dello stesso amore, chiamati a stare nell’unica casa che è il mondo, come fratelli che si riconoscono amati e perdonati da Colui che desidera solo il nostro vero bene.

 


sabato 22 marzo 2025

"Speranza nei frutti" - Terza domenica di quaresima

Quante Quaresime hai già vissuto? Quante opportunità ti sono state date per portare buoni frutti con la tua vita? Queste domande mi nascono dopo aver ascoltato il vangelo nella sua parte finale. Ben più di tre anni ho avuto a disposizione. Lascialo ancora quest’anno, finché gli avrò zappato attorno e avrò messo il concime. Vedremo se porterà frutti per l’avvenire; se no, lo taglierai”.

“Il Signore ha – veramente – pietà del suo popolo” e di ciascuno di noi e continua a donarci tempo, opportunità per la conversione della nostra vita così che abbiamo a portare frutti di bene e di amore.

Nonostante ciò si ripete il rischio, già descritto da Paolo nella seconda lettura facendo memoria del popolo di Israele, che nonostante tutti i segni, gli interventi, le opportunità che Dio ha dato loro, continuarono a non fidarsi, a “mormorare”. “Queste cose però accaddero a loro come esempio, e sono state scritte per nostro ammonimento”, scrive Paolo, appunto perché nonostante la pazienza e la bontà di Dio anche noi rischiamo di non smuoverci più di tanto e continuiamo con la routine di una vita cristiana ormai assopita, ripetitiva, spenta e a volte carica di "mormorazioni".

Occorre – e la Parola di Dio oggi ce lo ricorda – che ci lasciamo smuovere, rinnovare, cambiare per portare frutti buoni dentro una storia cattiva.

Da cosa dobbiamo lasciarci smuovere?

Innanzitutto dalle meraviglie che il Signore continua a compiere per noi e per l’umanità, da tutti i segnali di bene, di amore, di novità che Lui compie in mezzo a noi. Il Signore è fuoco di amore che da sempre brucia come ci ha ricordato la prima lettura. “Il Signore disse: «Ho osservato la miseria del mio popolo in Egitto e ho udito il suo grido a causa dei suoi sovrintendenti: conosco le sue sofferenze. Sono sceso per liberarlo dal potere dell’Egitto e per farlo salire da questa terra verso una terra bella e spaziosa, verso una terra dove scorrono latte e miele»”. Lui è da sempre il liberatore, il salvatore che opera in mezzo a noi per condurci verso una terra rinnovata. Questo deve veramente smuoverci, risvegliando in noi la speranza e la decisa volontà di camminare con Lui ogni giorno.

Poi occorre che ci lasciamo smuovere anche dai fatti e dalle situazioni negative della vita, come ricorda la prima parte del vangelo. Fatti di cronaca nera, stragi, guerre, violenze, disastri naturali. Ieri come oggi non mancano. Come reagiamo davanti a questi episodi? Anche da queste vicende deve scaturire un sussulto di indignazione (che non sempre invece abbiamo chiusi nella nostra indifferenza!) ma anche e soprattutto una volontà di cambiamento, di impegno per reagire insieme a una società che si sta lasciando ormai guidare ciecamente da ciechi, o meglio da gente che vede solo il proprio interesse e tornaconto politico o economico che sia. E per raggiungere questo non esita a schiacciare chi è più debole e fragile generando una catena infinita di soprusi, lotte e violenze.

“Se non vi convertite, perirete tutti allo stesso modo”, ammonisce Gesù. E non per castigo di Dio, che nella sua pazienza e bontà desidera solo il nostro bene, ma per castigo nostro che ci lasciamo assuefare dal male e dall’odio e ci lasciamo intimidire dalla paura e dalla rassegnazione.

E allora il tempo che Dio continua a donarci nella sua infinita misericordia sia occasione e stimolo per fare la nostra parte, per operare insieme, come Chiesa, per costruire una società più attenta ad ogni persona e più rispettosa verso tutti e in particolare i piccoli e i deboli, per portare ciascuno frutti di bene, di giustizia e di pace. “Disarmare la terra” ha detto papa Francesco, per seminare in questa terra il seme sempre fecondo del vangelo perché cresca in questa nostra storia il regno di Dio in tutta la sua bellezza e armonia.

Non continuiamo a rimandare. Non aspettiamo giorni migliori. Iniziamo subito a mettere mano alla nostra vita. Lui, il Padre-agricoltore continua a concimare, seminare, zappare questo nostro arido terreno. Non si stanca di credere in noi. Oggi e sempre.