sabato 19 luglio 2025

"Il servizio dell'ascolto" - XVI domenica del tempo ordinario

 

Fissiamo subito lo sguardo su Abramo nella prima lettura. E’ bello vedere con quanta cura “corse loro incontro” e offrì ospitalità ai tre pellegrini, sconosciuti e stranieri, che passarono dalla sua tenda. C’è un prodigarsi per non far mancare nulla, ma c’è anche l’attenzione verso di loro: “Abramo stava in piedi presso di loro” con atteggiamento di attenzione, ascolto, oltre che di servizio.

Questa ospitalità, attenta alla persona, diventa alla fine feconda, arricchente. Infatti Abramo e Sara da quell’accoglienza ai tre pellegrini, ricevono l’annuncio di una promessa tanto attesa: “tua moglie avrà un figlio”. Da questa ospitalità nasce la vita. La vita di Abramo e Sara è sterile fino a questo gesto di ospitalità; la loro vita porta frutto quando ospitano i tre viandanti che passano da loro. Grazie a questo incontro la loro vita senza futuro, ora lo avrà: avrà una discendenza.

E’ l’altro, accolto e ascoltato, che ci arricchisce.

Così può essere anche per noi se ci apriamo ai fratelli con ospitalità, accoglienza, ascolto e attenzione. L’altro sempre ti arricchisce se lo sai accogliere, se sai prestargli attenzione: è ricchezza che feconda la tua vita.

Oggi abbiamo tutti bisogno di recuperare questa maggiore capacità di attenzione verso le persone perché di fatto stiamo andando proprio nel verso contrario: chiusura, paura, indifferenza se non cattiveria verso gli altri.

Gli altri non sono nemici da cui difenderci, ma ospiti che ci arricchiscono con la loro presenza. Non hostes-nemico ma hospes-ospite: due parole che esprimono due modi diversi di entrare in relazione con l’altro.

Nel Vangelo lo sguardo va poi su Marta e Maria, le due sorelle che accolgono Gesù. Fermiamo l’attenzione su Marta.

“Marta lo ospitò” dice il vangelo. Come Abramo anche lei è accogliente, servizievole, si dà da fare per l’ospite arrivato. Tuttavia da questo darsi da fare si lascia così prendere quasi da dimenticarsi dell’ospite stesso, della persona che aveva lì accanto. E Gesù interviene. Non per disprezzare il servizio e l’impegno di Marta, ma per richiamarla a non cadere in quell’agitazione e affanno che distolgono il cuore dalle persone per chiuderlo sulle cose, sul da farsi, rendendolo duro e acido. Rischio che ci tocca un po' tutti, spesso presi da tante cose da fare in una vita quotidiana spesso carica di affanno e di tensioni tutte legate al dover fare.

Il primo servizio, ricorda Gesù, è la vicinanza, l’ascolto.

Gesù dice a Marta, e anche a noi, fa’ un po’ meno, sediamoci, guardiamoci e ascoltiamoci. Prestiamoci attenzione gli uni gli altri. E’ la strada indicata per noi e per le nostre comunità che oggi rischiamo di continuare a correre ed affannarsi per mille cose, dimenticando che “di una cosa sola c’è bisogno”. Questa “sola cosa” non esclude tutto il resto, ma indica una precedenza fondamentale: dobbiamo dare precedenza alla cosa più importante, essenziale che è l’ascolto, l’attenzione alla persona, alle relazioni, per non cadere nella trappola delle cose e di un servire senza amore.

E non dimentichiamo che Gesù non cerca servitori, ma amici; non persone che facciano delle cose per lui, ma gente che lo accolga, lo ascolti gli lasci fare in noi quelle “grandi cose” che sua madre Maria canta: ”grandi cose ha fatto in me l’onnipotente”. Grandi cose ha fatto con Abramo e Sara; grandi cose oggi vuole compiere con le nostre comunità, con ciascuno di noi. Occorre tornare a fermarci, a stare ai suoi piedi, ad ascoltare la sua parola. E così imparare da Lui per passare da persone distratte e superficiali a uomini e donne che esercitano uno sguardo di attenzione, di misericordia verso chi hanno accanto, aprendo loro il cuore, le orecchie, prima ancora delle mani e della bocca.

Impareremo così a riconoscere nell’altro, in ogni altro, - e questa sarà la lieta sorpresa! - il volto e la presenza di quel Gesù che continua a farsi nostro ospite, presente in ogni uomo e donna che incontriamo ogni giorno.

 


sabato 12 luglio 2025

"Amerai" - XV° domenica del tempo ordinario

 

“Che cosa devo fare?”. La domanda che un dottore della Legge pone a Gesù risuona anche per noi ogni giorno. Quante volte, nelle situazioni più diverse, ci ritroviamo a interrogare noi stessi o altri: che cosa devo fare? come devo agire? E’ una domanda non solo personale ma anche sociale, politica direi: cosa fare davanti a questo e a quest’altro problema?

Più ancora importante diventa l’interrogativo se si tratta di capire cosa fare per vivere bene, per realizzare una vita piena, eterna, come chiede il dottore della Legge a Gesù.

Per capire ciò che è giusto o meno fare, noi cristiani troviamo indicazioni, nella Parola di Dio che come bussola indica il cammino. Già Mosè (1 lettura) diceva al popolo: “Obbedirai alla voce del Signore”. Questa ‘voce’ o ‘parola’ – che inizialmente era la Legge - prende poi carne in Gesù stesso, il ‘Verbo fatto carne’, Lui che – come ricorda Paolo nella 2 lettura – “è immagine del Dio invisibile, è prima di tutte le cose e tutte in lui sussistono”.

Questo Gesù, risorto e vivente sappiamo che abita con noi e in noi grazie al Suo Spirito che diventa guida, luce, suggerimento per affrontare il  cammino della vita con tutte le sue scelte. E’ vero quanto Mosè diceva: “Questa Parola è molto vicina a te, è nella tua bocca e nel tuo cuore perché tu la metta in pratica”.

Ecco allora che dobbiamo imparare ad ascoltare, ad ascoltarci. Cosa ci dice questa Parola che è dentro il nostro cuore come seme di vita? Ci dice semplicemente: “Amerai”.

“Cosa devo fare? Amerai”. In ogni cosa, in ogni situazione, in ogni scelta: amerai. Amerai Dio, amerai gli altri, amerai il creato, amerai te stesso. “Fa’ questo e vivrai!”

Sarebbe così semplice, no? E invece, anche noi come il dottore della Legge volendo giustificarsi, vogliamo chiarire, specificare, precisare… si ma… ”e chi è il mio prossimo?”, quasi ci fossero distinzioni tra le  persone, quasi a trovare scusanti o sconti circa il fatto di essere chiamati ad amare!

Oggi, come cristiani in primo luogo e come esseri umani, è necessario che torniamo a riscoprire veramente chi è il prossimo. Anche tra noi troppi pensano che prossimo indichi chi hai vicino, i tuoi, quelli di casa, i familiari, insomma prima il vicino, prima questo poi magari anche gli altri…

Fosse almeno così! Purtroppo vediamo come coi vicini spesso si arriva se non ai coltelli, ai litigi, all’odio, alle liti…

Gesù oggi vuole aiutarci a comprendere il senso profondo di questo imperativo “Amerai”. Lo fa con una parabola semplice e splendida, che in fondo altro non fa che descrivere Lui, la sua vita, quello che lui è venuto a fare (perché alla fine è Gesù il vero buon Samaritano).

“Un uomo scendeva da Gerusalemme a Gerico…” Così inizia il racconto; ed è subito novità: “un uomo” dice Gesù. Non specifica se ebreo, pagano, bianco o nero, straniero o amico, buono o cattivo… semplicemente un uomo. E questa è già indicazione preziosa: imparare a vedere l’uomo al di là di tutti gli aggettivi e attributi che lo possono qualificare. “E’ l’uomo, un oceano di uomini, di poveri derubati, umiliati, bombardati, naufraghi in mare, sacche di umanità insanguinata per ogni continente”. (E.Ronchi)

Ma poi viene un’altra sorpresa: ci fa capire, attraverso l’atteggiamento dei diversi personaggi, che il prossimo non è tanto qualcuno piuttosto che un altro, ma sono io; io sono chiamato a farmi prossimo di questo uomo concreto. Di chiunque incontro sul mio cammino.

“Chi ti sembra sia stato il prossimo di colui che è caduto nelle mani dei briganti?” “Chi ha avuto compassione di lui”. Gesù gli disse: “Va’ e anche tu fa’ così”.

Questa la vera religione; non basta quella rituale del sacerdote e del levita che però schivano l’uomo ferito. 

Questo significa tornare umani, più ancora essere cristiani ovvero come Cristo che “lo vide, ne ebbe compassione, gli si fece vicino”. E’ la declinazione del verbo “amerai”: “lo vide, ne ebbe compassione, gli si fece vicino”. 

Amerai facendoti prossimo ad ogni uomo e donna che incontri sul cammino della vita. Questo è il vangelo. Questo è quanto dobbiamo fare se vogliamo rendere bella e riuscita la nostra e l’altrui vita.


sabato 5 luglio 2025

"Prima dite: Pace" - XIV domenica del tempo ordinario

 

Una parola attraversa le letture di oggi: “pace”.

“Io farò scorrere verso di essa, come un fiume, la pace” (1let.)

“Su quanti seguiranno questa norma (essere nuova creatura) sia pace e misericordia” (2 let.)

“La pace di Cristo regni nei vostri cuori” (al canto dell’alleluia)

“prima dite: Pace a questa casa” (vangelo)

Una pace che appare come dono, annuncio, frutto di una presenza, quella di Dio, del suo regno, in mezzo a noi.

Questa pace diventa missione per tutti noi. “Andate” è l’invito, il mandato. Siate portatori, operatori della pace che nasce dalla presenza di Dio: “li inviò davanti a sé”, per aprire la strada alla sua presenza di pace.

Come compiere questa missione? Gesù elenca modi, atteggiamenti, parole che non passano e ancora oggi diventano per noi la via da seguire.

- “li inviò a due a due”: insieme, come fratelli; la fraternità è il primo annuncio della pace di Dio;

- “La messe è abbondante”: Gesù ha e ci insegna ad avere uno sguardo positivo che sappia vedere il bene che già c’è e aspetta di essere riconosciuto, sostenuto, incoraggiato;

- “Pregate dunque”, sì, proprio perché ci siano sempre più operai, operatori di pace, collaboratori nel costruire insieme il regno di Dio;

- “vi mando come agnelli in mezzo ai lupi”, chiarissimo no alla violenza, no alle armi, no ad arroganza e potere; solo uno stile di mitezza e di non violenza conquista.

- “non portate…”: è l’invito alla libertà dall’attaccamento alle cose, alle sicurezze umane, a partire dal denaro che è spesso causa di odio, violenza, guerra…

- “in qualunque casa prima dite: Pace a questa casa”: è il primo annuncio in assoluto, è il dono, è il frutto che deve maturare nelle relazioni domestiche e in ogni luogo, ovunque andiamo e siamo.

Questa chiamata missionaria che oggi risuona per noi ha tutta la sua forza e urgenza che aveva allora. Fare strada a Gesù, al Regno di Dio che è definito “vicino” accanto noi; questa Sua presenza che ci accompagna e sostiene e ci manda per costruire relazioni nuove, relazioni di pace. Il discepolo di Gesù che non opera e non costruisce relazioni di pace non può dirsi né essere suo discepolo, non può dirsi cristiano.

Come comunità lavoriamo insieme per trovare modalità, scelte che sappiano promuovere e sostenere ogni forza positiva che già è presente accanto a noi.

Facciamo sentire, con la nostra presenza e la nostra vita, la Sua presenza, il suo regno: “E’ vicino a voi il regno di Dio”. Alla fine, ci ha detto Paolo, “ciò che conta è l’essere nuova creatura” e lo si è grazie all’amore di Cristo ricevuto e donato ai fratelli.

Creature nuove, creature di pace che con la loro vita costruiscono e rendono sempre più vicino il regno di Dio. Questo è il cristiano, la chiesa. Questa la missione che oggi Gesù ci affida.