LA TENDA DI MAMRE, un luogo di silenzio e di ascolto, di ricerca e di incontro, di preghiera e di pace.
domenica 31 marzo 2019
sabato 30 marzo 2019
IV domenica di Quaresima - C
“Costui accoglie i peccatori e mangia con loro”.
Questo il motivo che porta Gesù a raccontare questa parabola: i farisei e gli
scribi lo criticano e lo rimproverano perché accetta di stare a tavola con
pubblicani e peccatori. E così il racconto non fa che ritrarre nel figlio più
giovane l’atteggiamento dei pubblicani e dei peccatori e nel figlio maggiore
quello degli scribi e dei farisei, mettendo in luce il vero volto di Dio.
Nei due figli
della parabola siamo descritti tutti noi nel nostro modo – spesso sbagliato -
di metterci in relazione al Padre che rappresenta Dio. Come il primo figlio,
alcuni vedono Dio come un concorrente, uno che ci impedisce di vivere con
libertà e dunque uno da cui fuggire, allontanarsi per essere veramente liberi. Altri
invece, come il secondo figlio, il maggiore, rimangono nella casa, riconoscono
Dio, ma lo reputano unicamente uno da servire, più padrone che padre, uno a cui
si deve rendere conto; vivono così questa relazione con Lui come un dovere da
compiere, anche con qualche lamentela…
Comprendiamo
come, in questo modo di relazionarsi con il padre-Dio, anche la relazione tra i
due figli, che di fatto sono fratelli, viene guastata e diventa
contrapposizione, rifiuto dell’altro, invidia, presunzione di essere migliori…
L’unico che
invece rimane sempre identico è Dio, che nella parabola è rappresentato dal
padre. Un padre il cui atteggiamento verso questi suoi figli è splendido,
commovente, umanamente impensabile. Basta riprendere ciò che fa al ritorno del
primo figlio: “lo vide, ebbe compassione,
gli corse incontro, gli si gettò al collo e lo baciò…disse portate il vestito,
l’anello, i sandali (gli abiti non dello schiavo, ma del figlio), mangiamo e facciamo festa”. E poi con il
figlio maggiore che si chiude nella sua arroganza e indignazione: “uscì a supplicarlo… tu sei sempre con me e
tutto ciò che è mio è tuo”. Commovente questo amore smisurato del Padre che
ha a cuore unicamente il bene, la felicità dei suoi figli e fa di tutto perché,
da lui amati, accolti, perdonati, essi possano stare insieme in quella casa che
tutti può e vuole accogliere.
Dio è
così, ci dice Gesù con questa parabola.
Non è come
noi lo pensiamo: concorrente alla nostra libertà o padrone da servire quasi per
forza. No. E’ padre che ama, di un amore di misericordia che non ha misura. Un
amore che ha un solo scopo: la nostra felicità e realizzazione; la nostra
capacità di vivere insieme come fratelli.
Ecco allora
ciò che oggi è essenziale per il cammino di tutti noi: che riscopriamo il vero
volto di Dio per ricostruire con lui e tra noi una relazione nuova, fondata
sulla misericordia che è amore che accoglie e perdona.
Per andare
avanti occorre tornare…non indietro, ma tra le braccia del Padre. Tornare a
Dio. “Lasciatevi riconciliare con Dio. Lui ci ha riconciliati con sé mediante
Cristo”. Solo così “le cose vecchie
sono passate; ne nascono di nuove” perché “se uno è in Cristo è una creatura nuova”. Ecco la novità, il
cambiamento atteso: matura solo nel tornare al Padre, a quel Padre che Cristo
ci annuncia e ci rivela.
Occorre
che torniamo tutti – vicini o lontani, figli prodighi o fratelli maggiori – a
metterci sotto lo sguardo del Padre, lo sguardo della sua misericordia, per
tornare così ad essere e a vivere da figli e da veri fratelli tra noi. E’ “l’uomo nuovo” di cui abbiamo bisogno per
vivere relazioni nuove.
Occorre
ripartire dalla misericordia. Occorre questo nuovo sguardo che ci aiuta a
vedere gli altri con occhi nuovi. Occorre imparare dal Padre a vedere da
lontano, a correre incontro, ad abbracciare e baciare, a rivestire di dignità,
a gioire e fare festa per ogni fratello e sorella che sono parte della grande
casa del mondo.
Occorre
una chiesa, una comunità cristiana, che diventi capace di generare misericordia.
“A noi Dio ha affidato il ministero della
riconciliazione”. Questo è il servizio che la chiesa deve offrire. Rivelare
il vero volto di Dio misericordioso, padre che tutti ama e accoglie; attraverso
una vita che sia trasparenza di Lui, sia attuazione di gesti e di scelte di misericordia,
che aiutino tutti a sentirsi accolti, partecipi dello stesso amore, chiamati a
stare nell’unica casa che è il mondo, come fratelli che si riconoscono amati e
perdonati da Colui che desidera solo il nostro vero bene.
sabato 23 marzo 2019
III domenica di Quaresima - C
La tentazione è di partire subito dai fatti
di cronaca di cui parla il vangelo e attualizzarli con altri fatti: dai Galilei
massacrati da Pilato alla strage in Nuova Zelanda; dalla torre di Siloe
crollata sulle diciotto persone al ponte di Genova crollato piuttosto che
all’uragano o al terremoto che distrugge città e miete vittime… Potremmo
continuare all’infinito e soprattutto far riemergere tutte quelle domande che
questi fatti suscitano in noi, così come in quella gente che interrogava Gesù:
perché? di chi è la colpa? cosa hanno fatto di male per finire così? Domande
vecchie e sempre nuove come la cronaca di sempre.
Ma il messaggio che la Parola oggi ci offre
va ben oltre a questa pur importante riflessione. Lo scopo è di ripresentarci
ancora una volta (e non basta mai!) il vero volto di Dio; il Dio che Gesù è
venuto a faci conoscere.
E’ un volto che si è manifestato nel tempo
fin dagli inizi della storia del popolo di Israele. Già con Mosè Dio si fa
conoscere. Il suo volto e il suo nome sono Misericordia sempre presente: “Io sono colui che sono”. Un Dio che
brucia di amore per l’umanità tutta, che osserva, ascolta, conosce la
sofferenza e il grido dei piccoli, dei deboli. “Ho osservato la miseria del mio popolo… sono sceso per liberarlo… per
farlo salire verso una terra bella e spaziosa”. Un Dio dunque che è Padre, “io sono il Dio di tuo padre”, Dio di
Abramo, Isacco e Giacobbe, di ciascuno di noi, di tutti, e non vuole per
nessuno il male, anzi suo desiderio, sua volontà è la vita dei suoi figli. E
per questo di ciascuno di noi si prende cura come buon agricoltore: ci zappa
attorno con smisurata pazienza, ci nutre con i segni del suo amore e con la
ricchezza della sua Parola proprio perché abbiamo a portare questi frutti di
vita, come ci ricorda Gesù nella parabola del vangelo.
Allora l’invito per noi oggi è evidente:
rispondere al suo amore con la nostra vita. Non lasciarci sgomentare e
scoraggiare dal male; non farci intimorire e bloccare dalla paura di punizioni
o castighi. Lasciarci invece plasmare dalla sua misericordia e coltivare dal
suo amore, perché la nostra vita fiorisca nel bene, nella bellezza, nella
carità.
Questo suo amore per noi e così anche i
fatti della vita, quello che avviene attorno a noi, in positivo e in negativo,
tutto deve essere occasione, stimolo a una vita diversa, a un cambiamento: “se non vi convertirete, perirete tutti allo
stesso modo”. Parole forti non per farci paura ma per renderci più
responsabili. Questa la conversione che ci è chiesta.
E’ invito pressante, che nasce dal cuore
paziente e buono di Dio che, vedendo le nostre opere, non trovando in esse
frutti buoni, non può che, nel suo amore, sollecitare tutti noi a un
cambiamento: “convertitevi”.
Leggevo tra i titoli di giornale in questi
giorni: “Strage in Nuova Zelanda: serve una conversione”. E’ proprio questo il
punto: serve una conversione per cambiare noi stessi, la società, le relazioni,
la politica, l’ecologia… E’ tutto un mondo che deve cambiare direzione. Un
cambiamento di mente e di cuore.
Questo è possibile se ci lasciamo
‘coltivare’ da questo Dio Padre e agricoltore. Se lasciamo che lui trasformi
pazientemente il nostro cuore così che tutta la nostra vita possa portare
frutti nuovi di giustizia, di rispetto per le persone, di solidarietà, di pace.
Fino al frutto più grande: fare della vita
un dono d’amore. E’ quanto ci ricordano oggi i missionari martiri e la
splendida figura di san Oscar Romero. Chi si lascia coltivare dal Signore
diventa capace di fare come ha fatto Lui: dare la vita.
A questo tutti siamo chiamati. Usciamo
dalla nostra sterilità guidati sostenuti dall’amore di un Dio che si prende
cura di noi per essere, cristiani generativi, capaci di dare vita a una umanità
diversa, pronti e disposti a vivere il vangelo, a testimoniarlo anche a costo
della vita.
Non continuiamo a rimandare. Non aspettiamo
giorni migliori. Iniziamo subito a mettere mano alla nostra vita.
Lui, il Padre-agricoltore continua a
concimare, seminare, zappare questo nostro arido terreno. Non si stanca di
credere in noi. Oggi e sempre.
sabato 16 marzo 2019
II Domenica di Quaresima - C
Quel giorno sul
monte deve essere stata un’esperienza unica per i tre discepoli. Non si
trattava certo di una bella passeggiata. Lo scopo era chiaro: Gesù, con loro,
“salì sul monte a pregare”.
Tutto quello che
accadde è conseguenza di questa scelta. Infatti così continua il testo: “Mentre
pregava…” e descrive una serie di dirette conseguenze di questa
particolarissima esperienza.
Nella preghiera
“il volto cambiò d’aspetto”, “la sua veste divenne candida e sfolgorante”, “due
uomini conversavano con lui”. Straordinaria esperienza la preghiera, che
trasfigura e apre a un orizzonte di luce, di bellezza, di comunione.
Pietro, Giacomo e
Giovanni un po’ stanchi e addormentati o forse un poco preoccupati per la
fatica di andare dietro a quel Messia che stava andando verso un fallimento
dichiarato (aveva poco prima parlato loro di sofferenza e di morte!), vengono
decisamente risvegliati da tutto ciò a tal punto da gustare e ammirare quanto
stava davanti ai loro occhi.
La scena era così
coinvolgente che subito Pietro esclama: “Maestro è bello per noi essere qui…”
La fatica e
l’angoscia lasciano il posto alla gioia di essere lì, alla gioia di vedere un
volto luminoso, bello, di osservare un orizzonte di vita che sta oltre ogni delusione
e prova.
Questo è il
frutto della preghiera, di Gesù e nostra. Avere la forza di trasfigurare la
nostra vita, di far uscire da noi tutta la bellezza nascosta, tutta la luce che
ci abita.
Ma non basta:
occorre che giunga una voce, una Parola per ricordare a tutti, noi compresi,
che questa bellezza e luce altro non sono che il manifestarsi di ciò che siamo:
figli amati. “Questi – questo Gesù dal volto luminoso e bello – è il figlio mio
l’eletto; ascoltatelo!”. “Ascoltatelo” per ritrovare anche voi, pur in mezzo
alle prove e alle fatiche del cammino, quella bellezza e quella luce che
derivano dall’essere stati anche noi amati da sempre e resi figli prediletti.
“E’ bello stare
qui”, certo; e non tanto per il luogo incantevole, ma per la scoperta interiore
di chi siamo, in e grazie a Gesù.
E allora si può
anche scendere dal monte, tornare nella mischia in mezzo a tutti, lottare e
faticare ma continuando a dire “E’ bello”. E’bello perché sono figlio di Dio,
perché in me risplende la sua luce, la sua Parola, la sua bellezza.
E’ bello perché
questo Dio mi ricorda che non ha mai dimenticato quell’alleanza stretta un
giorno con Abramo, con l’umanità intera che Abramo rappresenta, alleanza
d’amore, di benedizione, di pace per tutte le genti.
E questa consapevolezza
è la preghiera che la risveglia in noi. Con essa torniamo belli, torniamo
figli. Grazie ad essa abbiamo la forza di stare dentro la storia di oggi,
drammatica e preoccupante per tanti versi, sapendo che “è bello stare qui”
perché Lui ci ha posti qui e ci custodisce affinché abbiamo a diffondere la sua
benedizione, il suo amore, la sua bellezza ovunque.
Se la preghiera
non porta a questo è perché forse non è preghiera, ma solo richiesta,
contratto, pretesa…
La preghiera vera
ci fa entrare nell’alleanza col Padre, ci immerge nella luce e nella bellezza
del nostro essere figli amati a immagine del Figlio, e ci dona la luce e la forza
dello Spirito per affrontare di nuovo il cammino quotidiano della vita. Ma non
più da tristi e rassegnati, ma carichi di fiducia, perseveranti nel bene, nell’impegno
di portare a compimento quell’alleanza che è per tutti i popoli e tutti deve
abbracciare affinché tutti, scoprendosi figli amati, si riconoscano fratelli e
insieme operino per costruire una umanità più giusta, solidale e unita. Sì la
preghiera ci trasfigura, perché con la nostra vita abbiamo a trasfigurare il
mondo, il creato e la società.
sabato 9 marzo 2019
I domenica di Quaresima - C
Un cammino: è
l’immagine più adatta per descrivere la
Quaresima che abbiamo iniziato. Sono quaranta giorni che si ripetono ogni anno,
ma di fatto è il cammino di tutta la nostra vita.
Il verbo che lo
caratterizza è risuonato nella Parola di Dio di mercoledì, giorno delle ceneri
e inizio della Quaresima. Si tratta del verbo “ritornare”. Ha detto papa
Francesco in quel giorno: “Se dobbiamo ritornare, vuol dire che siamo andati altrove. La
Quaresima è il tempo per ritrovare la
rotta della vita. Perché nel percorso della vita, come in ogni cammino,
ciò che davvero conta è non perdere di vista la meta”.
Tempo prezioso
allora per dare un occhio a dove portano i nostri passi, i nostri pensieri, le
nostre scelte. Il rischio di perdere di vista la meta, di fermarci nel cammino
o peggio di smarrire la strada è sempre attuale.
La Quaresima, chiamandoci
a verificare dove vanno i nostri passi, ci ricorda con chiarezza che la mèta è
la Pasqua, ovvero la vita nuova di figli di Dio da Lui amati, salvati,
rinnovati. L’incontro con questo Dio che ci ama in Gesù è la meta della nostra
vita, del nostro viaggio nel mondo.
Mèta che
purtroppo facilmente dimentichiamo, smarriamo, perdendo così il gusto e la
bellezza della vita. Abbiamo infatti ricevuto la vita come dono e siamo stati
creati belli a immagine di Dio, siamo stati resi figli, immersi nella vita del
Figlio fin dal giorno del nostro Battesimo; rischiamo di perdere questa
bellezza, di offuscare questa immagine, fino a non vivere più da figli ma da
schiavi.
Ecco allora il
dono della Quaresima: tempo favorevole per ritornare: ritornare belli,
ritornare figli!
Gesù si pone
davanti a noi come guida del cammino, perché lui per primo questo cammino lo ha
condiviso.
Lui ci aiuta
innanzitutto a percepire ciò che ci porta lontano dalla meta e viene a svilire
e guastare la nostra vita.
Oggi il
vangelo lo presenta – sotto la guida e con la forza dello Spirito - nel deserto
in lotta contro quella tentazione che, se subìta, impedisce alla nostra vita di
essere bella, di essere vissuta da figli amati.
Interessante
notare come la tentazione muove i suoi passi a partire proprio dal mettere in
discussione ciò che realmente siamo: “Se
tu sei figlio di Dio…”. E l’inganno sta proprio nel proporre un modo di
essere figli tutto proteso a dare soddisfazione a se stessi, al desiderio di potere,
di possedere, di auto affermarsi. Sottilissima tentazione che porta lentamente
a perdere la strada, a perdere la nostra bellezza originaria, a ritrovarci alla
fine schiavi. “Abbiamo
bisogno di liberarci dai tentacoli del consumismo e dai lacci dell’egoismo, dal
voler sempre di più, dal non accontentarci mai, dal cuore chiuso ai bisogni del
povero”, ha detto papa Francesco. Questi tentacoli
ci rendono alla fine schiavi delle cose e del nostro io, abbruttiscono la
nostra vita chiudendola sullo stretto orizzonte del tutto e subito, chiudendola
ad ogni orizzonte di apertura, di condivisione, di realizzazione.
Quaresima diventa
allora occasione per liberarci da questi tentacoli, per far riemergere la
nostra vera realtà di uomini e donne chiamati alla bellezza, al vivere come
figli e fratelli.
Come? Guardando a
Gesù, fissando su di Lui il nostro sguardo. Non c’è altro modo per ritornare
sulla via della vita. Lasciamo che la Sua Parola trovi posto sulla nostra bocca
e nel nostro cuore, come ci suggerisce Paolo nella seconda lettura. “Se con la tua bocca proclamerai: ‘Gesù è il
Signore’, e con il tuo cuore crederai che Dio lo ha risuscitato dai morti,
sarai salvo”.
Una bocca che ritrova il coraggio di professare la
fede, occhi che sanno di nuovo fissare lo sguardo su di Lui, un cuore che si
lascia riempire e scaldare dalla sua presenza e dal suo amore, mani che si
aprono per abbracciare, aiutare, confortare, passi che sanno muoversi sulle
strade del bene, Ecco il cammino della Quaresima, il cammino di tutta la nostra
vita che può, se lo vogliamo, ritornare bella, ritornare vita di figli amati,
contribuendo così a rendere più bella, vera e buona la storia stessa e tutta la
creazione la cui “ardente aspettativa è
tutta protesa verso la rivelazione dei figli di Dio” così da essere non più
deserto, ma quel giardino splendido che Dio da sempre ha pensato e voluto per
tutti noi.
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