sabato 30 marzo 2019

IV domenica di Quaresima - C


“Costui accoglie i peccatori e mangia con loro”. Questo il motivo che porta Gesù a raccontare questa parabola: i farisei e gli scribi lo criticano e lo rimproverano perché accetta di stare a tavola con pubblicani e peccatori. E così il racconto non fa che ritrarre nel figlio più giovane l’atteggiamento dei pubblicani e dei peccatori e nel figlio maggiore quello degli scribi e dei farisei, mettendo in luce il vero volto di Dio.
Nei due figli della parabola siamo descritti tutti noi nel nostro modo – spesso sbagliato - di metterci in relazione al Padre che rappresenta Dio. Come il primo figlio, alcuni vedono Dio come un concorrente, uno che ci impedisce di vivere con libertà e dunque uno da cui fuggire, allontanarsi per essere veramente liberi. Altri invece, come il secondo figlio, il maggiore, rimangono nella casa, riconoscono Dio, ma lo reputano unicamente uno da servire, più padrone che padre, uno a cui si deve rendere conto; vivono così questa relazione con Lui come un dovere da compiere, anche con qualche lamentela…
Comprendiamo come, in questo modo di relazionarsi con il padre-Dio, anche la relazione tra i due figli, che di fatto sono fratelli, viene guastata e diventa contrapposizione, rifiuto dell’altro, invidia, presunzione di essere migliori…
L’unico che invece rimane sempre identico è Dio, che nella parabola è rappresentato dal padre. Un padre il cui atteggiamento verso questi suoi figli è splendido, commovente, umanamente impensabile. Basta riprendere ciò che fa al ritorno del primo figlio: “lo vide, ebbe compassione, gli corse incontro, gli si gettò al collo e lo baciò…disse portate il vestito, l’anello, i sandali (gli abiti non dello schiavo, ma del figlio), mangiamo e facciamo festa”. E poi con il figlio maggiore che si chiude nella sua arroganza e indignazione: “uscì a supplicarlo… tu sei sempre con me e tutto ciò che è mio è tuo”. Commovente questo amore smisurato del Padre che ha a cuore unicamente il bene, la felicità dei suoi figli e fa di tutto perché, da lui amati, accolti, perdonati, essi possano stare insieme in quella casa che tutti può e vuole accogliere.
Dio è così, ci dice Gesù con questa parabola.
Non è come noi lo pensiamo: concorrente alla nostra libertà o padrone da servire quasi per forza. No. E’ padre che ama, di un amore di misericordia che non ha misura. Un amore che ha un solo scopo: la nostra felicità e realizzazione; la nostra capacità di vivere insieme come fratelli.
Ecco allora ciò che oggi è essenziale per il cammino di tutti noi: che riscopriamo il vero volto di Dio per ricostruire con lui e tra noi una relazione nuova, fondata sulla misericordia che è amore che accoglie e perdona.  
Per andare avanti occorre tornare…non indietro, ma tra le braccia del Padre. Tornare a Dio. “Lasciatevi riconciliare con  Dio. Lui ci ha riconciliati con sé mediante Cristo”. Solo così “le cose vecchie sono passate; ne nascono di nuove” perché “se uno è in Cristo è una creatura nuova”. Ecco la novità, il cambiamento atteso: matura solo nel tornare al Padre, a quel Padre che Cristo ci annuncia e ci rivela.
Occorre che torniamo tutti – vicini o lontani, figli prodighi o fratelli maggiori – a metterci sotto lo sguardo del Padre, lo sguardo della sua misericordia, per tornare così ad essere e a vivere da figli e da veri fratelli tra noi. E’ “l’uomo nuovo” di cui abbiamo bisogno per vivere relazioni nuove.
Occorre ripartire dalla misericordia. Occorre questo nuovo sguardo che ci aiuta a vedere gli altri con occhi nuovi. Occorre imparare dal Padre a vedere da lontano, a correre incontro, ad abbracciare e baciare, a rivestire di dignità, a gioire e fare festa per ogni fratello e sorella che sono parte della grande casa del mondo.
Occorre una chiesa, una comunità cristiana, che diventi capace di generare misericordia. “A noi Dio ha affidato il ministero della riconciliazione”. Questo è il servizio che la chiesa deve offrire. Rivelare il vero volto di Dio misericordioso, padre che tutti ama e accoglie; attraverso una vita che sia trasparenza di Lui, sia attuazione di gesti e di scelte di misericordia, che aiutino tutti a sentirsi accolti, partecipi dello stesso amore, chiamati a stare nell’unica casa che è il mondo, come fratelli che si riconoscono amati e perdonati da Colui che desidera solo il nostro vero bene.

sabato 23 marzo 2019

III domenica di Quaresima - C


La tentazione è di partire subito dai fatti di cronaca di cui parla il vangelo e attualizzarli con altri fatti: dai Galilei massacrati da Pilato alla strage in Nuova Zelanda; dalla torre di Siloe crollata sulle diciotto persone al ponte di Genova crollato piuttosto che all’uragano o al terremoto che distrugge città e miete vittime… Potremmo continuare all’infinito e soprattutto far riemergere tutte quelle domande che questi fatti suscitano in noi, così come in quella gente che interrogava Gesù: perché? di chi è la colpa? cosa hanno fatto di male per finire così? Domande vecchie e sempre nuove come la cronaca di sempre.
Ma il messaggio che la Parola oggi ci offre va ben oltre a questa pur importante riflessione. Lo scopo è di ripresentarci ancora una volta (e non basta mai!) il vero volto di Dio; il Dio che Gesù è venuto a faci conoscere.
E’ un volto che si è manifestato nel tempo fin dagli inizi della storia del popolo di Israele. Già con Mosè Dio si fa conoscere. Il suo volto e il suo nome sono Misericordia sempre presente: “Io sono colui che sono”. Un Dio che brucia di amore per l’umanità tutta, che osserva, ascolta, conosce la sofferenza e il grido dei piccoli, dei deboli. “Ho osservato la miseria del mio popolo… sono sceso per liberarlo… per farlo salire verso una terra bella e spaziosa”. Un Dio dunque che è Padre, “io sono il Dio di tuo padre”, Dio di Abramo, Isacco e Giacobbe, di ciascuno di noi, di tutti, e non vuole per nessuno il male, anzi suo desiderio, sua volontà è la vita dei suoi figli. E per questo di ciascuno di noi si prende cura come buon agricoltore: ci zappa attorno con smisurata pazienza, ci nutre con i segni del suo amore e con la ricchezza della sua Parola proprio perché abbiamo a portare questi frutti di vita, come ci ricorda Gesù nella parabola del vangelo.
Allora l’invito per noi oggi è evidente: rispondere al suo amore con la nostra vita. Non lasciarci sgomentare e scoraggiare dal male; non farci intimorire e bloccare dalla paura di punizioni o castighi. Lasciarci invece plasmare dalla sua misericordia e coltivare dal suo amore, perché la nostra vita fiorisca nel bene, nella bellezza, nella carità.
Questo suo amore per noi e così anche i fatti della vita, quello che avviene attorno a noi, in positivo e in negativo, tutto deve essere occasione, stimolo a una vita diversa, a un cambiamento: “se non vi convertirete, perirete tutti allo stesso modo”. Parole forti non per farci paura ma per renderci più responsabili. Questa la conversione che ci è chiesta.
E’ invito pressante, che nasce dal cuore paziente e buono di Dio che, vedendo le nostre opere, non trovando in esse frutti buoni, non può che, nel suo amore, sollecitare tutti noi a un cambiamento: “convertitevi”.
Leggevo tra i titoli di giornale in questi giorni: “Strage in Nuova Zelanda: serve una conversione”. E’ proprio questo il punto: serve una conversione per cambiare noi stessi, la società, le relazioni, la politica, l’ecologia… E’ tutto un mondo che deve cambiare direzione. Un cambiamento di mente e di cuore.
Questo è possibile se ci lasciamo ‘coltivare’ da questo Dio Padre e agricoltore. Se lasciamo che lui trasformi pazientemente il nostro cuore così che tutta la nostra vita possa portare frutti nuovi di giustizia, di rispetto per le persone, di solidarietà, di pace.
Fino al frutto più grande: fare della vita un dono d’amore. E’ quanto ci ricordano oggi i missionari martiri e la splendida figura di san Oscar Romero. Chi si lascia coltivare dal Signore diventa capace di fare come ha fatto Lui: dare la vita.
A questo tutti siamo chiamati. Usciamo dalla nostra sterilità guidati sostenuti dall’amore di un Dio che si prende cura di noi per essere, cristiani generativi, capaci di dare vita a una umanità diversa, pronti e disposti a vivere il vangelo, a testimoniarlo anche a costo della vita.
Non continuiamo a rimandare. Non aspettiamo giorni migliori. Iniziamo subito a mettere mano alla nostra vita.
Lui, il Padre-agricoltore continua a concimare, seminare, zappare questo nostro arido terreno. Non si stanca di credere in noi. Oggi e sempre.

sabato 16 marzo 2019

II Domenica di Quaresima - C


Quel giorno sul monte deve essere stata un’esperienza unica per i tre discepoli. Non si trattava certo di una bella passeggiata. Lo scopo era chiaro: Gesù, con loro, “salì sul monte a pregare”.
Tutto quello che accadde è conseguenza di questa scelta. Infatti così continua il testo: “Mentre pregava…” e descrive una serie di dirette conseguenze di questa particolarissima esperienza.
Nella preghiera “il volto cambiò d’aspetto”, “la sua veste divenne candida e sfolgorante”, “due uomini conversavano con lui”. Straordinaria esperienza la preghiera, che trasfigura e apre a un orizzonte di luce, di bellezza, di comunione.
Pietro, Giacomo e Giovanni un po’ stanchi e addormentati o forse un poco preoccupati per la fatica di andare dietro a quel Messia che stava andando verso un fallimento dichiarato (aveva poco prima parlato loro di sofferenza e di morte!), vengono decisamente risvegliati da tutto ciò a tal punto da gustare e ammirare quanto stava davanti ai loro occhi.
La scena era così coinvolgente che subito Pietro esclama: “Maestro è bello per noi essere qui…”
La fatica e l’angoscia lasciano il posto alla gioia di essere lì, alla gioia di vedere un volto luminoso, bello, di osservare un orizzonte di vita che sta oltre ogni delusione e prova.
Questo è il frutto della preghiera, di Gesù e nostra. Avere la forza di trasfigurare la nostra vita, di far uscire da noi tutta la bellezza nascosta, tutta la luce che ci abita.
Ma non basta: occorre che giunga una voce, una Parola per ricordare a tutti, noi compresi, che questa bellezza e luce altro non sono che il manifestarsi di ciò che siamo: figli amati. “Questi – questo Gesù dal volto luminoso e bello – è il figlio mio l’eletto; ascoltatelo!”. “Ascoltatelo” per ritrovare anche voi, pur in mezzo alle prove e alle fatiche del cammino, quella bellezza e quella luce che derivano dall’essere stati anche noi amati da sempre e resi figli prediletti.
“E’ bello stare qui”, certo; e non tanto per il luogo incantevole, ma per la scoperta interiore di chi siamo, in e grazie a Gesù.
E allora si può anche scendere dal monte, tornare nella mischia in mezzo a tutti, lottare e faticare ma continuando a dire “E’ bello”. E’bello perché sono figlio di Dio, perché in me risplende la sua luce, la sua Parola, la sua bellezza.
E’ bello perché questo Dio mi ricorda che non ha mai dimenticato quell’alleanza stretta un giorno con Abramo, con l’umanità intera che Abramo rappresenta, alleanza d’amore, di benedizione, di pace per tutte le genti.
E questa consapevolezza è la preghiera che la risveglia in noi. Con essa torniamo belli, torniamo figli. Grazie ad essa abbiamo la forza di stare dentro la storia di oggi, drammatica e preoccupante per tanti versi, sapendo che “è bello stare qui” perché Lui ci ha posti qui e ci custodisce affinché abbiamo a diffondere la sua benedizione, il suo amore, la sua bellezza ovunque.
Se la preghiera non porta a questo è perché forse non è preghiera, ma solo richiesta, contratto, pretesa…
La preghiera vera ci fa entrare nell’alleanza col Padre, ci immerge nella luce e nella bellezza del nostro essere figli amati a immagine del Figlio, e ci dona la luce e la forza dello Spirito per affrontare di nuovo il cammino quotidiano della vita. Ma non più da tristi e rassegnati, ma carichi di fiducia, perseveranti nel bene, nell’impegno di portare a compimento quell’alleanza che è per tutti i popoli e tutti deve abbracciare affinché tutti, scoprendosi figli amati, si riconoscano fratelli e insieme operino per costruire una umanità più giusta, solidale e unita. Sì la preghiera ci trasfigura, perché con la nostra vita abbiamo a trasfigurare il mondo, il creato e la società.

sabato 9 marzo 2019

I domenica di Quaresima - C


Un cammino: è l’immagine più adatta per descrivere la Quaresima che abbiamo iniziato. Sono quaranta giorni che si ripetono ogni anno, ma di fatto è il cammino di tutta la nostra vita.
Il verbo che lo caratterizza è risuonato nella Parola di Dio di mercoledì, giorno delle ceneri e inizio della Quaresima. Si tratta del verbo “ritornare”. Ha detto papa Francesco in quel giorno: “Se dobbiamo ritornare, vuol dire che siamo andati altrove. La Quaresima è il tempo per ritrovare la rotta della vita. Perché nel percorso della vita, come in ogni cammino, ciò che davvero conta è non perdere di vista la meta”.
Tempo prezioso allora per dare un occhio a dove portano i nostri passi, i nostri pensieri, le nostre scelte. Il rischio di perdere di vista la meta, di fermarci nel cammino o peggio di smarrire la strada è sempre attuale.
La Quaresima, chiamandoci a verificare dove vanno i nostri passi, ci ricorda con chiarezza che la mèta è la Pasqua, ovvero la vita nuova di figli di Dio da Lui amati, salvati, rinnovati. L’incontro con questo Dio che ci ama in Gesù è la meta della nostra vita, del nostro viaggio nel mondo.
Mèta che purtroppo facilmente dimentichiamo, smarriamo, perdendo così il gusto e la bellezza della vita. Abbiamo infatti ricevuto la vita come dono e siamo stati creati belli a immagine di Dio, siamo stati resi figli, immersi nella vita del Figlio fin dal giorno del nostro Battesimo; rischiamo di perdere questa bellezza, di offuscare questa immagine, fino a non vivere più da figli ma da schiavi.
Ecco allora il dono della Quaresima: tempo favorevole per ritornare: ritornare belli, ritornare figli!
Gesù si pone davanti a noi come guida del cammino, perché lui per primo questo cammino lo ha condiviso.
Lui ci aiuta innanzitutto a percepire ciò che ci porta lontano dalla meta e viene a svilire e guastare la nostra vita.
Oggi il vangelo lo presenta – sotto la guida e con la forza dello Spirito - nel deserto in lotta contro quella tentazione che, se subìta, impedisce alla nostra vita di essere bella, di essere vissuta da figli amati.
Interessante notare come la tentazione muove i suoi passi a partire proprio dal mettere in discussione ciò che realmente siamo: “Se tu sei figlio di Dio…”. E l’inganno sta proprio nel proporre un modo di essere figli tutto proteso a dare soddisfazione a se stessi, al desiderio di potere, di possedere, di auto affermarsi. Sottilissima tentazione che porta lentamente a perdere la strada, a perdere la nostra bellezza originaria, a ritrovarci alla fine schiavi. “Abbiamo bisogno di liberarci dai tentacoli del consumismo e dai lacci dell’egoismo, dal voler sempre di più, dal non accontentarci mai, dal cuore chiuso ai bisogni del povero”, ha detto papa Francesco. Questi tentacoli ci rendono alla fine schiavi delle cose e del nostro io, abbruttiscono la nostra vita chiudendola sullo stretto orizzonte del tutto e subito, chiudendola ad ogni orizzonte di apertura, di condivisione, di realizzazione.
Quaresima diventa allora occasione per liberarci da questi tentacoli, per far riemergere la nostra vera realtà di uomini e donne chiamati alla bellezza, al vivere come figli e fratelli.
Come? Guardando a Gesù, fissando su di Lui il nostro sguardo. Non c’è altro modo per ritornare sulla via della vita. Lasciamo che la Sua Parola trovi posto sulla nostra bocca e nel nostro cuore, come ci suggerisce Paolo nella seconda lettura. “Se con la tua bocca proclamerai: ‘Gesù è il Signore’, e con il tuo cuore crederai che Dio lo ha risuscitato dai morti, sarai salvo”.
Una bocca che ritrova il coraggio di professare la fede, occhi che sanno di nuovo fissare lo sguardo su di Lui, un cuore che si lascia riempire e scaldare dalla sua presenza e dal suo amore, mani che si aprono per abbracciare, aiutare, confortare, passi che sanno muoversi sulle strade del bene, Ecco il cammino della Quaresima, il cammino di tutta la nostra vita che può, se lo vogliamo, ritornare bella, ritornare vita di figli amati, contribuendo così a rendere più bella, vera e buona la storia stessa e tutta la creazione la cui “ardente aspettativa è tutta protesa verso la rivelazione dei figli di Dio” così da essere non più deserto, ma quel giardino splendido che Dio da sempre ha pensato e voluto per tutti noi.