Sperimentare Gesù risorto non è esperienza privilegiata per poche persone, ma una possibilità per tutti i credenti. E’ quello che gli evangelisti intendono trasmetterci con i racconti della risurrezione che accompagnano queste prime domeniche dopo la festa di Pasqua.
Nel vangelo di oggi ci troviamo a confronto con i protagonisti di questa esperienza particolare; quei discepoli, tanto simili a noi e ben descritti da Luca: “sconvolti, pieni di paura…” e nel contempo “pieni di stupore e gioia”.
Come è possibile anche per noi fare oggi esperienza della presenza di Gesù risorto, vivente in mezzo a noi? Come si è manifestato e come si manifesta oggi tra i discepoli?
Resta sicuramente deluso chi si aspetta spettacolari apparizioni, segni cosmici sconvolgenti, prodigi, incantesimi o chissà cosa… Sono ben altri gli “indicatori di presenza” del Risorto dentro la nostra storia di oggi. Essi ricalcano lo stile con il quale Gesù, nella sua esistenza terrena, si è presentato, ha parlato della presenza di Dio, il suo Regno in mezzo a noi. Segni umili, poveri, apparentemente scontati da sembrare inadeguati. Ma questa è la scelta di Dio, la strada che Lui percorre per entrare in comunione con tutti noi.
Ecco dunque, dal brano di vangelo odierno, emergere ben tre “indicatori di presenza”. Emergono uno dopo l’altro in un crescendo che porta al vertice di questo suo manifestarsi a noi. Scopriamoli insieme.
Il primo di questi segni sono le ferite; quelle ferite della croce che permangono nel corpo risorto. “Guardate le mie mani e i miei piedi: sono proprio io! Toccatemi e guardate…”. Siamo invitati a riconoscere che il Risorto è lo stesso che fu crocifisso e a riconoscere, nelle ferite che segnano il corpo di ogni fratello e sorella che accostiamo, le Sue ferite, e dunque la Sua presenza. Più ancora: invitati a “guardare e toccare”. Noi che oggi con troppa disinvoltura giriamo lo sguardo per non guardare chi soffre, chi fa fatica; per non voler vedere le piaghe e le ferite che segnano il corpo e lo spirito di tanti, siamo chiamati con forza a guardare e toccare. “Guardate e toccate…sono proprio io”. I poveri, i deboli non sono fantasmi di cui aver paura o da cui fuggire, sono il corpo ferito del Signore che chiede e attende di essere toccato per risorgere. Guardare e toccare sono i verbi della risurrezione. Toccare: ciò prendersi cura; non solo limitarsi a vedere, ma muoverci a soccorrere imparando a riconoscere (e questo è decisamente sconvolgente) che proprio qui Lui, Dio, è presente, Lui vivente e risorto, perché ogni uomo e donna possa, pur in mezzo alle sue ferite risorgere e vivere. Dio prende e porta per sempre le nostre ferite per guarirle nel Suo amore.
Il secondo “indicatore di presenza” è la semplicità del quotidiano. A noi sempre a caccia di qualcosa di nuovo, di diverso, di straordinario, Gesù ricorda che lui invece ama la semplicità delle cose di tutti i giorni. Quale questo segno? Un pesce. Dice il vangelo: “Poiché per la gioia non credevano ancora… disse: ‘Avete qui qualche cosa da mangiare?’ Gli offrirono una porzione di pesce arrostito; egli lo prese e lo mangiò davanti a loro”. Un po’ di pesce per dire la sua vera presenza tra noi. Gesù è vivo, Gesù mangia, e il pesce arrostito diventa ponte di conoscenza, segno concreto ed efficace del suo essere lì, presente e vivente. Il pesce diventerà per i primi cristiani il simbolo, che incideranno nelle catacombe, di Gesù (anche perché nella lingua greca, le lettere che compongono la parola pesce (ichthys) sono le iniziali di: “Gesù Cristo di Dio figlio salvatore”).
Una Presenza dunque che continua a manifestarsi nelle semplici cose della vita di ogni giorno: un pesce, del pane e del vino, il mangiare insieme... Non andiamo a indagare chissà dove, non perdiamoci alla ricerca di codici nascosti o di enigmi incomprensibili. Impariamo piuttosto a riscoprire e a rivalorizzare la semplicità delle cose quotidiane come luogo e segno della presenza di Colui che è il Dio della vita.
Infine, non perché meno importante, ma anzi quale vertice di questi segnali indicatori di presenza, ecco il segno della Parola, le Scritture: “’Sono queste le parole che io vi dissi…’. Allora aprì loro la mente per comprendere le Scritture”. Quelle Scritture che da sempre parlano di Lui: “Così sta scritto… bisogna che si compiano tutte le cose scritte su di me…”. La Parola di Dio diventa così il vertice della manifestazione del Risorto tra noi. Vertice perché è Parola capace di dare luce anche alle situazioni umanamente fallimentari, alle ferite e alle piaghe che hanno segnato il Cristo e segnano tutti noi. Perché dona significato e valore alle piccole cose del quotidiano, aiutandoci a leggere in esso le orme del Creatore, del Vivente. Parola viva di un Dio vivo che continua a camminare al nostro fianco. Parola vertice della manifestazione del Risorto.
Solo “aprendo la mente” ad essa si aprono anche gli occhi e il cuore e la fede si fa possibile. Un’espressione significativa questa usata da Luca: “Aprì loro la mente” che sarebbe da tradurre “Guarì loro la mente” per renderla capace di comprendere la Parola vera. Quanto anche noi abbiamo bisogno di guarire le nostre menti, malate di falsità, di inganno, di vanità e sciocchezze, per arrivare a comprendere, per arrivare finalmente a credere che quel Gesù crocifisso è il Gesù risorto. Che questo Gesù risorto non è un fantasma, ma l’uomo pienamente riuscito, l’uomo nuovo nel quale anche noi possiamo, dobbiamo, diventare nuove creature.
Ecco gli “indicatori di presenza”; ecco come si manifesta Gesù ancora oggi. Non si tratta certo di un fantasma; in Lui c’è tutto l’uomo e tutto Dio. L’abbraccio, che non potrà più essere ormai sciolto, tra l’uomo e Dio. In quell’abbraccio ci siamo anche tutti noi chiamati a riconoscerlo e a credere in Lui. E allora anche per noi si apre da una parte l’esperienza della vera pace: “Pace a voi” è il dono per chi lo riconosce. Dall’altra l’invito: “di questo voi siete testimoni”. Di questa presenza umile, nascosta, profonda e vera, umana e divina insieme, dobbiamo dare testimonianza. Di questo Suo “stare in mezzo” a noi siamo testimoni, della Sua presenza nella nostra vita. Del suo amore che si riversa in ogni creatura, del suo perdono che guarisce ogni ferita, della Sua Parola che continua ad illuminare i nostri passi, le nostre scelte e ad aprirci mente, occhi e cuore a quella speranza che ormai abita dentro questa nostra umanità da Lui amata e salvata per sempre.
Nel vangelo di oggi ci troviamo a confronto con i protagonisti di questa esperienza particolare; quei discepoli, tanto simili a noi e ben descritti da Luca: “sconvolti, pieni di paura…” e nel contempo “pieni di stupore e gioia”.
Come è possibile anche per noi fare oggi esperienza della presenza di Gesù risorto, vivente in mezzo a noi? Come si è manifestato e come si manifesta oggi tra i discepoli?
Resta sicuramente deluso chi si aspetta spettacolari apparizioni, segni cosmici sconvolgenti, prodigi, incantesimi o chissà cosa… Sono ben altri gli “indicatori di presenza” del Risorto dentro la nostra storia di oggi. Essi ricalcano lo stile con il quale Gesù, nella sua esistenza terrena, si è presentato, ha parlato della presenza di Dio, il suo Regno in mezzo a noi. Segni umili, poveri, apparentemente scontati da sembrare inadeguati. Ma questa è la scelta di Dio, la strada che Lui percorre per entrare in comunione con tutti noi.
Ecco dunque, dal brano di vangelo odierno, emergere ben tre “indicatori di presenza”. Emergono uno dopo l’altro in un crescendo che porta al vertice di questo suo manifestarsi a noi. Scopriamoli insieme.
Il primo di questi segni sono le ferite; quelle ferite della croce che permangono nel corpo risorto. “Guardate le mie mani e i miei piedi: sono proprio io! Toccatemi e guardate…”. Siamo invitati a riconoscere che il Risorto è lo stesso che fu crocifisso e a riconoscere, nelle ferite che segnano il corpo di ogni fratello e sorella che accostiamo, le Sue ferite, e dunque la Sua presenza. Più ancora: invitati a “guardare e toccare”. Noi che oggi con troppa disinvoltura giriamo lo sguardo per non guardare chi soffre, chi fa fatica; per non voler vedere le piaghe e le ferite che segnano il corpo e lo spirito di tanti, siamo chiamati con forza a guardare e toccare. “Guardate e toccate…sono proprio io”. I poveri, i deboli non sono fantasmi di cui aver paura o da cui fuggire, sono il corpo ferito del Signore che chiede e attende di essere toccato per risorgere. Guardare e toccare sono i verbi della risurrezione. Toccare: ciò prendersi cura; non solo limitarsi a vedere, ma muoverci a soccorrere imparando a riconoscere (e questo è decisamente sconvolgente) che proprio qui Lui, Dio, è presente, Lui vivente e risorto, perché ogni uomo e donna possa, pur in mezzo alle sue ferite risorgere e vivere. Dio prende e porta per sempre le nostre ferite per guarirle nel Suo amore.
Il secondo “indicatore di presenza” è la semplicità del quotidiano. A noi sempre a caccia di qualcosa di nuovo, di diverso, di straordinario, Gesù ricorda che lui invece ama la semplicità delle cose di tutti i giorni. Quale questo segno? Un pesce. Dice il vangelo: “Poiché per la gioia non credevano ancora… disse: ‘Avete qui qualche cosa da mangiare?’ Gli offrirono una porzione di pesce arrostito; egli lo prese e lo mangiò davanti a loro”. Un po’ di pesce per dire la sua vera presenza tra noi. Gesù è vivo, Gesù mangia, e il pesce arrostito diventa ponte di conoscenza, segno concreto ed efficace del suo essere lì, presente e vivente. Il pesce diventerà per i primi cristiani il simbolo, che incideranno nelle catacombe, di Gesù (anche perché nella lingua greca, le lettere che compongono la parola pesce (ichthys) sono le iniziali di: “Gesù Cristo di Dio figlio salvatore”).
Una Presenza dunque che continua a manifestarsi nelle semplici cose della vita di ogni giorno: un pesce, del pane e del vino, il mangiare insieme... Non andiamo a indagare chissà dove, non perdiamoci alla ricerca di codici nascosti o di enigmi incomprensibili. Impariamo piuttosto a riscoprire e a rivalorizzare la semplicità delle cose quotidiane come luogo e segno della presenza di Colui che è il Dio della vita.
Infine, non perché meno importante, ma anzi quale vertice di questi segnali indicatori di presenza, ecco il segno della Parola, le Scritture: “’Sono queste le parole che io vi dissi…’. Allora aprì loro la mente per comprendere le Scritture”. Quelle Scritture che da sempre parlano di Lui: “Così sta scritto… bisogna che si compiano tutte le cose scritte su di me…”. La Parola di Dio diventa così il vertice della manifestazione del Risorto tra noi. Vertice perché è Parola capace di dare luce anche alle situazioni umanamente fallimentari, alle ferite e alle piaghe che hanno segnato il Cristo e segnano tutti noi. Perché dona significato e valore alle piccole cose del quotidiano, aiutandoci a leggere in esso le orme del Creatore, del Vivente. Parola viva di un Dio vivo che continua a camminare al nostro fianco. Parola vertice della manifestazione del Risorto.
Solo “aprendo la mente” ad essa si aprono anche gli occhi e il cuore e la fede si fa possibile. Un’espressione significativa questa usata da Luca: “Aprì loro la mente” che sarebbe da tradurre “Guarì loro la mente” per renderla capace di comprendere la Parola vera. Quanto anche noi abbiamo bisogno di guarire le nostre menti, malate di falsità, di inganno, di vanità e sciocchezze, per arrivare a comprendere, per arrivare finalmente a credere che quel Gesù crocifisso è il Gesù risorto. Che questo Gesù risorto non è un fantasma, ma l’uomo pienamente riuscito, l’uomo nuovo nel quale anche noi possiamo, dobbiamo, diventare nuove creature.
Ecco gli “indicatori di presenza”; ecco come si manifesta Gesù ancora oggi. Non si tratta certo di un fantasma; in Lui c’è tutto l’uomo e tutto Dio. L’abbraccio, che non potrà più essere ormai sciolto, tra l’uomo e Dio. In quell’abbraccio ci siamo anche tutti noi chiamati a riconoscerlo e a credere in Lui. E allora anche per noi si apre da una parte l’esperienza della vera pace: “Pace a voi” è il dono per chi lo riconosce. Dall’altra l’invito: “di questo voi siete testimoni”. Di questa presenza umile, nascosta, profonda e vera, umana e divina insieme, dobbiamo dare testimonianza. Di questo Suo “stare in mezzo” a noi siamo testimoni, della Sua presenza nella nostra vita. Del suo amore che si riversa in ogni creatura, del suo perdono che guarisce ogni ferita, della Sua Parola che continua ad illuminare i nostri passi, le nostre scelte e ad aprirci mente, occhi e cuore a quella speranza che ormai abita dentro questa nostra umanità da Lui amata e salvata per sempre.