Quando parliamo di Dio, abitualmente
facciamo riferimento al mistero che avvolge la sua persona. Sebbene si debba
intendere per mistero non tanto un non so che di misterioso e assolutamente
inaccessibile, bensì una realtà che ci supera e che appare insondabile,
inesauribile nella sua smisurata ricchezza.
Paolo nella seconda lettura esprime tutto
il suo stupore davanti a questa “profondità
della ricchezza, della sapienza e della conoscenza di Dio”, ben consapevole
che “i suoi pensieri non sono i nostri
pensieri e le sue vie non sono le nostre vie” (Is.55,8). “Chi mai ha conosciuto il pensiero del
Signore?”.
Eppure questo Dio nascosto, insondabile, si
è svelato, si è fatto conoscere; Lui si è aperto a noi, si è comunicato nella
storia, nella nostra vita, attraverso Gesù.
Ed è proprio Gesù che, ormai a metà della
sua missione tra gli uomini, sembra voler quasi verificare cosa la gente e i
suoi discepoli abbiano colto e capito di Lui. “La gente chi dice che sia il figlio dell’uomo?”, “voi chi dite che io
sia?”. Sono le due domande che risuonano nel vangelo. Domande rivolte oggi
a noi.
All’incomprensione della gente, che reputa
Gesù una riedizione aggiornata del passato (Giovanni Battista, Elia, qualcuno
dei profeti), fa seguito, per bocca di Pietro, il riconoscimento dei discepoli
che hanno saputo scorgere in Gesù, il mistero nascosto di Dio, riconoscendone
tutta la carica di novità deposta in questo uomo: “Tu sei il Cristo (il Messia), il
Figlio del Dio vivente” (colui che ci comunica il Dio della vita). E questa
comprensione profonda viene non tanto da capacità intuitive umane, ma da Dio
stesso che fa dono all’uomo di poter arrivare a riconoscere il suo volto
rivelato nel Figlio.
Sappiamo anche noi riconoscere in Gesù
questo volto e tutta la novità racchiusa nella sua persona? Chi è per noi Gesù?
Questa è la domanda centrale che ci è posta
e sulla quale si gioca il nostro essere o meno discepoli suoi. Chi sono io per
te?
Dobbiamo anche noi lasciarci interrogare,
ogni giorno. E soprattutto dobbiamo imparare a ricercare e riconoscere il Dio
che in Gesù si è manifestato.
Per far ciò tuttavia occorrono alcune
condizioni necessarie. Innanzitutto una presa di distanza dalle proprie
certezze e sicurezze (quello che già sappiamo, che ci hanno insegnato e sempre
detto…) per fare spazio a una sempre nuova conoscenza e scoperta.
Poi una presa di distanza da quanto dicono
gli altri, dai condizionamenti della ‘gente’, di una cultura che in ogni modo
cerca di catalogare e incasellare anche Dio entro parametri del passato. Infine
occorre non dimenticare che, ogni risposta che riusciremo a formulare, sarà pur
sempre approssimativa perché Dio è inesauribile e sempre diverso da come noi lo
possiamo pensare e scoprire.
Ma ciò che più conta è arrivare a questo
incontro personale, a questo tu per tu con quel Gesù che non si stanca di
domandare “Ma tu chi dici che io sia?”.
Se abbiamo il coraggio di confrontarci con
Lui e di ricercare il suo volto, ebbene, questo incontro non può che
trasformare la nostra vita. “Tu sei il
Cristo” arriva a dire Simone; “E io a
te dico: tu sei Pietro” risponde Gesù: gli cambia il nome, gli affida una
nuova prospettiva di vita.
L’incontro con Lui ci cambia: cambia non
tanto il nome, cambia soprattutto la vita. Gesù trasforma colui che lo ricerca,
lo riconosce e lo accoglie, riponendo in lui tutta la sia fiducia. Quello che
avviene con Pietro, si ripete, anche se in modi e forme diverse, anche con
ciascuno di noi.
L’incontro con Gesù ha dato a Pietro e da a
ogni suo discepolo, dunque anche a noi, solidità, responsabilità e libertà.
Ci rende solidi sulla roccia del suo amore,
unendoci a lui per edificare, con lui e su lui, la sua chiesa.
Ci affida le chiavi, cioè la responsabilità
di saper aprire le porte della vita, del regno di Dio ai nostri fratelli (sono
le chiavi del paradiso… nel senso che noi possiamo essere di aiuto per tanti a
entrare in una vita bella, buona, vera).
Ci offre infine tanta fiducia da lasciarci la
possibilità di “legare e sciogliere”,
cioè di saper offrire a tutti l’opportunità di svincolarsi dal male per legarsi
all’Unico Signore che dona a tutti pienezza di vita e questo imparando a
costruire relazioni fondate sulla misericordia, la correzione fraterna, il
sostegno reciproco.
E’ pur vero che da sempre in queste righe
la chiesa ha letto il primato, l’autorità, affidati a Pietro: ma se di primato
si tratta è pur sempre un primato di amore, di servizio al fine di manifestare
il volto del Padre, di offrire a tutti la sua misericordia, di aprire a tutti
la possibilità di varcare porte di vita e non di morte.
Con Pietro quindi siamo coinvolti anche tutti noi,
chiesa di Gesù, perché, riconoscendo che Lui è il Cristo, il Figlio del Dio
vivente, diventiamo sempre più capaci di annunciarlo e farlo incontrare a ogni
uomo e donna lungo il nostro cammino. Questa è la missione della chiesa e non
altre: essere trasparenza di Dio e del suo mistero di amore e di misericordia
che vuole offrire a tutti pienezza e solidità di vita.