sabato 30 novembre 2019

Svegli, per un rinnovato cammino! - 1° Avvento


Buon anno! Così oggi possiamo salutarci noi cristiani, all’inizio di un nuovo anno liturgico.
Buon anno significa l’augurio di una nuova opportunità, di una nuova occasione. Ci è dato ancora del tempo: un anno.
E per noi cristiani questo tempo non è semplicemente monotona ripetizione di abitudini, tradizioni, ordinarietà…
Ma è piuttosto un dono prezioso, un’occasione di novità.
Per noi il tempo non è semplicemente ‘cronos’ (un susseguirsi di giorni), ma è soprattutto ‘kairos’ (dono di grazia).
Ecco perché l’apostolo Paolo nella 2a lettura ci invita a essere “consapevoli del momento”, del tempo, dell’oggi. E il motivo di tutto ciò è chiaro: “la nostra salvezza (Gesù) è più vicina di quando diventammo credenti”.  Ecco perché il tempo è dono di grazia: perché Lui, il Signore del tempo, è venuto a viverlo con noi. E’ venuto, nato, morto e risorto. Verrà alla fine dei tempi. Vivo per sempre, viene oggi in ogni giorno e in ogni ora.
L’Avvento che oggi iniziamo dunque non è solo preparazione al Natale (al ricordo della sua prima venuta) bensì invito a prepararci alla venuta definitiva imparando a riconoscerlo e accoglierlo giorno dopo giorno.
Ecco perché il vangelo richiama a tutti noi la necessità di vegliare, cioè di stare svegli. Già Paolo ci ha detto: “è ormai tempo di svegliarci dal sonno”.
Per molti versi, il tempo attuale potrebbe essere definito come quello della Bella addormentata: si aspetta un principe … che forse non verrà mai. Invece del principe, potrebbe anche arrivare un despota.
Vegliare è innanzitutto non cadere in una vita superficiale (come al tempi di Noè… dove non si accorsero di nulla…): è il rischio di una normalità di vita che diventa ‘anestesia totale’ fino ad annullare e spegnere  ogni slancio dello Spirito.
Rischio che degenera poi in tiepidezza: l’amore si raffredda proprio a causa dell’appiattimento della vita al solo aspetto materiale e a causa dell’impatto con le prove, le fatiche, la lotta contro il male che dilaga. Si cade così nella superficialità e nell’indifferenza. E’ la grande tentazione. E’ il pericolo serio: che si passi il tempo a nostra disposizione, quello dell’esistenza, senza accorgerci degli altri, di chi soffre, di chi è solo, di chi ha fame, di chi è esule, di chi piange… e senza deciderci davvero per qualcosa di grande, senza deciderci a dare spazio a Gesù, alla sua Parola di verità, al suo amore. Vegliate dunque. Uno stare svegli che ci deve portare a ‘rivestire’ la nostra vita di atteggiamenti nuovi. Paolo ci invita a “indossare le armi della luce”; poi specifica: “Rivestitevi di Cristo”: lui è la luce e di lui (del suo pensiero, del suo modo di giudicare e di agire) dobbiamo rivestirci. E’ quell’abito battesimale che occorre tirar fuori dall’armadio del nostro ripostiglio interiore, per vivere in pienezza il nostro Battesimo.
Così “andiamo con gioia incontro al Signore”. Lui il venuto, viene e verrà. Viviamo allora questo tempo, come ci suggerisce Isaia, “camminando alla luce del Signore”. E la luce del Signore è la sua Parola, che ci invita a trasformare le lance in falci, i cuori di pietra in cuori di carne. Ci invita a costruire una umanità fraterna, unita, solidale, perché questo è il desiderio di Dio rivelato in Gesù. Rivestiamoci quindi dei pensieri e della vita stessa di Cristo.
Il popolo di Dio, la Chiesa, è sempre chiamato  a essere profetico e predicare un tempo di trasformazione delle armi da guerra in strumenti per coltivare; talvolta invece, anche tra i credenti, sussiste una tendenza, magari velata, a incrementare un clima di conflitto e di contrapposizione, a seminare odio e menzogna, disprezzo e rifiuto verso l’altro.
Sia questa sua Parola ad accompagnare i passi del nuovo anno perché possiamo tendere a un sempre maggior radicamento in Cristo e con Lui lavorare per una storia più umana e cristiana.
Buon Avvento dunque.

domenica 24 novembre 2019

Scommetti che... Gesù re dell'universo.


Scommetti che…: le nostre giornate e i nostri dialoghi sono spesso accompagnati da questa frase. Scommetti che vince l’Inter? Scommetti che domani ci sarà il sole? Scommetti che Tizio alla fine molla Tizia?....
Scommettere è, alla fine, prendere parte, mettersi da una parte piuttosto che da un’altra…
La festa di oggi la possiamo vivere come una scommessa…
Siamo al termine di una anno liturgico durante il quale come cristiani abbiamo seguito Gesù, passo passo.
Siamo pronti a scommettere per Lui? A riconoscere che alla fine è Lui che vince? Sì perché attribuire a Gesù il titolo di re, come oggi la chiesa fa, altro non è che riconoscere che è Lui il vincitore, che la sua vita, la sua Parola, le sue scelte sono vincenti.
E il brano di vangelo ci porta al momento cruciale, nel vero senso della parola…, dove siamo tutti chiamati ad assumere la nostra posizione, a prendere parte per Lui o contro di Lui, a scommettere dunque su chi vince veramente.
La frase centrale è una scritta: “Costui è il re dei Giudei”.Su questa affermazione i diversi personaggi sono chiamati a scommettere. Da una parte quanti lo deridono (la maggior parte): popolo, capi, soldati. Dall’altra malfattori/ladroni che in modo diverso prendono anch’essi posizione.
Il punto centrale su cui la scommessa si muove è: “se tu sei il re dei Giudei salva te stesso”. Salva te stesso: allora sì che ti riconosciamo vincente, re, Messia…
Ci siamo anche noi tra tutti questi personaggi; anche noi chiamati a prendere posizione. A scommettere.
Se sei Dio salva te stesso, salva noi, me, tutti, rendici la vita facile, liberaci da tutti i problemi… E’ la tentazione di scommettere su una logica di forza, di potere, di dominio..
Non a caso il vangelo ci presenta uno, l’unico, la minoranza, che vede Gesù con occhi diversi, che arriva a fidarsi di lui a scommettere su di Lui. Il cosiddetto buon ladrone, che probabilmente di buono aveva poco…, ma che alla fine sa decidere da che parte stare. Le sue parole ci dicono cosa ha visto in Gesù: uno che sta al nostro fianco, che condivide le nostre pene (“condannato alla stessa pena come noi”); uno che ha sempre fatto del bene (“egli non ha fatto nulla di male”); uno del quale ci si può fidare (“ricordati di me”) perché nonostante tutto lo si riconosce vincente (“quando sarai nel tuo regno”).
Scommettere su Gesù, riconoscerlo vincente, re, anche per noi cristiani significa oggi accostarci a lui come il buon ladrone.
Riconoscere in Lui il Dio che condivide le nostre pene, che fa bene ogni cosa, che non ci abbandona pensando solo a se stesso (salva te stesso), ma si perde per noi, si dona per salvarci con Lui nel suo regno, aprendoci le porte a una vita feconda, piena, realizzata.
Significa per noi riconoscere allora che ci si salva solo perdendoci, donandoci; che il più grande non è chi salva se stesso, ma salva gli altri donando se stesso. Gesù, aveva detto ai suoi discepoli che solo chi perde la sua vita la salva; ora sceglie di salvare se stesso perdendosi, donandosi e non scendendo dalla croce. Questa è la strada anche per noi: scegliere di vivere donandosi; perderci per ritrovarci e salvarci. Gesù capovolge la logica di potere e di forza che regge L’idea umana di re, di vincitore. Gesù vince perché si perde, condivide e così facendo salva gli altri e se stesso.
La chiesa, di cui ciascuno di noi è parte, scommette su Gesù, seguendo questa stessa strada, fino a perdersi per stare con quanti si sono persi e condividere così la presenza misericordiosa di Dio, far fiorire lì, dal basso, il suo Regno.
La festa di oggi dunque ci invita da una parte a ringraziare (2 lettura) Dio che in Gesù ci dona pienezza di vita. Dall’altra a sentirci uniti a Gesù; come dice la prima lettura: “noi siamo tue ossa e tua carne”, siamo uno con Te.
Questo non è altro che scommettere che con Lui e facendo come Lui possiamo generare una storia nuova, far fiorire il suo Regno che trova tutta la sua forza nell’amore che si dona, condivide e serve, si perde per far sì che tutti possano ritrovarsi, salvarsi, realizzare la propria vita. 
Tornando alla frase centrale: “Costui è il re dei Giudei”?. No, non solo: Gesù è il re dell’umanità, dell’universo, è il cuore della storia, perché è l’amore che non trattiene nulla e donando tutto salva tutti.

giovedì 14 novembre 2019

Domenica 17 novembre: Giornata mondiale dei poveri.


La speranza dei poveri non sarà mai delusa  (Sal 9,19)

Le parole del Salmo manifestano una incredibile attualità. Esprimono una verità profonda che la fede riesce a imprimere soprattutto nel cuore dei più poveri: restituire la speranza perduta dinanzi alle ingiustizie, sofferenze e precarietà della vita.


La condizione che è posta ai discepoli del Signore Gesù, per essere coerenti evangelizzatori, è di seminare segni tangibili di speranza. A tutte le comunità cristiane e a quanti sentono l’esigenza di portare speranza e conforto ai poveri, chiedo di impegnarsi perché questa Giornata Mondiale possa rafforzare in tanti la volontà di collaborare fattivamente affinché nessuno si senta privo della vicinanza e della solidarietà. Ci accompagnino le parole del profeta che annuncia un futuro diverso: (Ml 3,20). «Per voi, che avete timore del mio nome, sorgerà con raggi benefici il sole di giustizia»

Dal Messaggio di Papa Francesco - per il testo intengrale clicca qui: Messaggio Papa


venerdì 1 novembre 2019

Santità per tutti


“Siamo carovana di Dio che torna alla casa del Padre” dice un canto scout. Un’immagine bella di una umanità in cammino verso una casa, verso un Padre. Un’immagine che esprime bene la festa di oggi.
E’ la moltitudine immensa di cui parla la prima lettura.
Da questa immagine lo spunto per alcune riflessioni.
Innazitutto la santità di cui parliamo oggi è una santità allargata: di tutti e per tutti. Nessuno escluso. Se uno solo è Dio ed è Padre, se Lui ci ha voluti suoi figli (come ci ha detto la seconda lettura) perché abitati dal Suo stesso Spirito, non possiamo che essere tutti attesi da Lui il Santo, non possiamo che riconoscere nella santità l’orizzonte della nostra vita. Dunque non solo i cristiani… Ma uomini e donne che la vita non l’hanno tenuta gelosamente per sé, ma sono stati generativi di una storia nuova, secondo Dio, uomini e donne che hanno vissuto da figli e fratelli, che hanno generato relazioni profende di amore, di pace: questi i santi.
Si tratta di uomini e donne silenziosi, cioè non appariscenti… (oggi c’è questa mania di apparire…). I santi invece non fanno rumore, non sono super eroiche cercano successo…
Sono piuttosto “i santi della porta accanto”: uomini e donne, nonni, genitori, amici… sconosciuti, che in modo silenzioso e nascosto hanno lasciato segni di vita.
Impariamo a riconoscerli, a ringraziarli, a seguirne l’esempio.
La quotidianità come spazio per una vita bella, realizzata, cioè santa. Quella quotidianità fatta di piccole cose, a volte ripetitive, ma vissute con amore rinnovato. Non dimentichiamo l’importanza di queste piccole cose attraverso le quali Dio si rivela e santifica la nostra vita:
Ricordiamo come Gesù invitava i suoi discepoli a fare attenzione ai particolari. Il piccolo particolare che si stava esaurendo il vino in una festa. Il piccolo particolare che mancava una pecora… Il piccolo particolare della vedova che offrì le sue due monetine…. La comunità che custodisce i piccoli particolari dell’amore, dove i membri si prendono cura gli uni degli altri e costituiscono uno spazio aperto ed evangelizzatore, è luogo della presenza del Risorto che la va santificando secondo il progetto del Padre.
Piccoli segni tuttavia intessuti di Vangelo (sia che queste persone l’abbiano conosciuto o meno…), intessuti di quelle Beatitudini che del vangelo sono il cuore. Sono la mappa, la strada della santità.
P.Francesco nella Gaudete ed exultate le commenta e le concretizza, traducendole in scelte, atteggiamenti quotidiani, da attuarsi con il coraggio di una vita alternativa, controcorrente (e per questo faticosa a volte…la fatica della santità che porta a “lavare le vesti nel sangue dell’Agnello”).
Questo è il cammino della carovana di Dio…
E per noi cristiani questo cammino dovrebbe essere più agevole: abbiamo la grazia di conoscere, di sapere, di aver incontrato il Santo. A volte invece tentenniamo….
Scopriamo invece persone che pur non conoscendo Cristo vivono come lui e realizzano la Sua Parola che pure non conoscono. Questo da una parte conferma che la santità è per tutti, nessuno escluso. Nel contempo tuttavia ci sprona a dare un colpo d’ala alla nostra vita, a dare respiro al nostro vivere per saper tendere a quella santità che rende la vita feconda, generativa, capace di portare dentro le relazioni quotidiane e dentro la storia del nostro tempo tutta la freschezza e bellezza del vangelo.
La festa di oggi non si riduca allora a un momento di velata rassegnazione (loro sì, ma io cosa vuoi che faccia…) o a un momento di isolata nostalgia nel ricordo di chi è già oltre, di chi ci sta davanti (i nostri defunti), ma riaccenda in noi la consapevolezza che ciascuno, io per primo posso vivvere la santità, perché Dio mi abita, mi da forza, mi ha reso figlio suo e la mia vita ha un orizzonte di infinito: Dio stesso il Santo. Dunque non crescere nella santità è fallire la vita, è sciuparla fino a restituirla infeconda.
Noi siamo figli di Dio: mossi da questa certezza viviamo da figli che ascoltano la voce del Padre, la sua Parola, come ha fatto la tutta santa, Maria, così da rendere la nostra vita capace di generare, di dare carne a quella stessa Parola attraverso le nostre scelte quotidiane.