sabato 28 marzo 2020

Vieni fuori! - Quinta domenica di Quaresima


In queste settimane davanti ai nostri occhi scorre purtroppo ogni giorno l’immagine della morte.
Abituati a lasciarci incantare da messaggi illusori di una vita piacevole, bella, dove poter fare e avere tutto, assicurandoci piacere, divertimento, realizzazione di ogni nostro desiderio, l’attuale pandemia ci costringe a fare i conti con la nostra fragilità di creature e a guardare in faccia alla morte che silenziosa e imprevista entra nelle nostre case e nei nostri ospedali. Ogni giorno essa segna, con la sua scia di vuoto, la nostra esistenza. Ce ne accorgiamo solo quando ci tocca in prima persona portandoci via persone amate e care in modo tragico e assurdo e nell’assoluta solitudine e lontananza come sta avvenendo.
La morte ci ricorda quanto è illusione il pensare di potere tutto, di voler essere eterni; ci richiama alla nostra fragilità di creature. L’enigma della morte interroga tutti: credenti e non.
La Parola di Dio ascoltata oggi non ci dà risposte e spiegazioni, ma ci fa incontrare con Colui che è più forte della morte e che la morte stessa non è riuscita a tenere in suo potere: Gesù.
Un messaggio di speranza esce con forza dalle righe di questo episodio: la morte vinta e sconfitta dalla vita che è Gesù “Io sono la risurrezione e la vita”. Non una risposta, non una spiegazione, bensì una presenza che condivide, un Dio amico che piange con noi, che lotta con noi, che prende su di sé la nostra morte. “Guarda come lo amava!”, “Gesù scoppiò in pianto”.Una forza scorre sotto tutte le parole del racconto: non è la vita che vince la morte. La morte, nella realtà, vince e ingoia la vita. Invece ciò che vince la morte è l’amore. E capisco che Lazzaro sono io. Io sono Colui–che–tu–ami, e che non accetterai mai di veder finire nel nulla della morte”. (E.Ronchi)
Lui ci prende per mano e ci dice: non temere, “non ti ho detto che se crederai vedrai la gloria di Dio?”. E la gloria di Dio è l’uomo vivente! Gesù è il Dio con noi venuto, non per togliere la morte, ma per condividerla con noi, mettendosi con amore al nostro fianco, soffrendo e piangendo con noi, amandoci, e così liberarci dalla paura della morte, per indicarci un orizzonte di vita e di speranza che va oltre la morte stessa.
L’amore è più forte della morte; l’amore di Dio rivelato in Gesù; ma anche ogni amore umano: amore di medici e infermieri che danno vita e danno la vita, amore di genitori che si spendono per dare vita ai figli, ai disabili, agli ultimi…
E questo Amore più forte della morte è lo Spirito di Dio che ci avvolge e ci abita. Non c’è morte dunque che non possa essere vinta se siamo con Cristo, la vita. Se abbiamo Cristo e il suo Spirito in noi. “Farò entrare in voi il mio spirito e rivivrete!” scrive il profeta Ezechiele nella prima lettura. Conferma Paolo nella seconda: “dal momento che lo Spirito di Dio abita in voi”, lasciandoci da lui guidare, possiamo passare verso la pienezza della vita.
Noi siamo abitati dalla Vita, siamo per la vita, perché abbiamo conosciuto e incontrato l’Amore di colui che è “la risurrezione e la vita”. “Chi crede in me anche se muore vivrà; chiunque vive e crede in me, non morirà in eterno! Credi questo?”.
Credere è accogliere la sua Parola e non solo una generica professione di fede: infatti anche Marta, subito dopo, davanti a Gesù che dice:”Togliete la pietra” ha un attimo di esitazione: “Signore, già manda cattivo odore, è lì da quattro giorni”. Credere non è solo professare una fede, ma accogliere una Parola che ha dello sconvolgente, che può suonarci assurda e difficile da capire. Ma “non ti ho detto che, se crederai, vedrai la gloria di Dio?”. E ancora risuona la Parola: “Lazzaro vieni fuori!”. E la Parola fa risvegliare la vita: “Il morto uscì”.
La sua Parola strappa anche noi dalle nostre tombe se abbiamo il coraggio e la fede di ascoltarla e accoglierla: a noi ancora dice Gesù: “vieni fuori”.
La parola che Gesù rivolge a colui che ama, a noi tutti, è invito a cammini di novità: “Togliete la pietra! Vieni fuori! Liberatelo!”. Attraverso la forza della Parola di Gesù anche noi affrontiamo ogni realtà segnata dalla morte offrendo a chi abbiamo vicino tutta la forza dell’amore che vince la morte e che apre a novità, che invita a venir fuori, a liberarci da ogni legaccio di egoismo per tornare a riabbracciare la vita, a costruire con speranza il futuro nostro e di tutta l’umanità.

«Perché avete paura? Non avete ancora fede?»


Sagrato della Basilica di San Pietro - Venerdì, 27 marzo 2020



Dal Vangelo secondo Marco (4,35-41)
35In quel medesimo giorno, venuta la sera, disse loro: «Passiamo all'altra riva». 36E, congedata la folla, lo presero con sé, così com'era, nella barca. C'erano anche altre barche con lui. 37Ci fu una grande tempesta di vento e le onde si rovesciavano nella barca, tanto che ormai era piena. 38Egli se ne stava a poppa, sul cuscino, e dormiva. Allora lo svegliarono e gli dissero: «Maestro, non t'importa che siamo perduti?». 39Si destò, minacciò il vento e disse al mare: «Taci, calmati!». Il vento cessò e ci fu grande bonaccia. 40Poi disse loro: «Perché avete paura? Non avete ancora fede?». 41E furono presi da grande timore e si dicevano l'un l'altro: «Chi è dunque costui, che anche il vento e il mare gli obbediscono?».




«Venuta la sera» (Mc 4,35). Così inizia il Vangelo che abbiamo ascoltato. Da settimane sembra che sia scesa la sera. Fitte tenebre si sono addensate sulle nostre piazze, strade e città; si sono impadronite delle nostre vite riempiendo tutto di un silenzio assordante e di un vuoto desolante, che paralizza ogni cosa al suo passaggio: si sente nell’aria, si avverte nei gesti, lo dicono gli sguardi. Ci siamo trovati impauriti e smarriti. Come i discepoli del Vangelo siamo stati presi alla sprovvista da una tempesta inaspettata e furiosa. Ci siamo resi conto di trovarci sulla stessa barca, tutti fragili e disorientati, ma nello stesso tempo importanti e necessari, tutti chiamati a remare insieme, tutti bisognosi di confortarci a vicenda. Su questa barca… ci siamo tutti. Come quei discepoli, che parlano a una sola voce e nell’angoscia dicono: «Siamo perduti» (v. 38), così anche noi ci siamo accorti che non possiamo andare avanti ciascuno per conto suo, ma solo insieme.
È facile ritrovarci in questo racconto. Quello che risulta difficile è capire l’atteggiamento di Gesù. Mentre i discepoli sono naturalmente allarmati e disperati, Egli sta a poppa, proprio nella parte della barca che per prima va a fondo. E che cosa fa? Nonostante il trambusto, dorme sereno, fiducioso nel Padre – è l’unica volta in cui nel Vangelo vediamo Gesù che dorme –. Quando poi viene svegliato, dopo aver calmato il vento e le acque, si rivolge ai discepoli in tono di rimprovero: «Perché avete paura? Non avete ancora fede?» (v. 40).
Cerchiamo di comprendere. In che cosa consiste la mancanza di fede dei discepoli, che si contrappone alla fiducia di Gesù? Essi non avevano smesso di credere in Lui, infatti lo invocano. Ma vediamo come lo invocano: «Maestro, non t’importa che siamo perduti?» (v. 38). Non t’importa: pensano che Gesù si disinteressi di loro, che non si curi di loro. Tra di noi, nelle nostre famiglie, una delle cose che fa più male è quando ci sentiamo dire: “Non t’importa di me?”. È una frase che ferisce e scatena tempeste nel cuore. Avrà scosso anche Gesù. Perché a nessuno più che a Lui importa di noi. Infatti, una volta invocato, salva i suoi discepoli sfiduciati.
La tempesta smaschera la nostra vulnerabilità e lascia scoperte quelle false e superflue sicurezze con cui abbiamo costruito le nostre agende, i nostri progetti, le nostre abitudini e priorità. Ci dimostra come abbiamo lasciato addormentato e abbandonato ciò che alimenta, sostiene e dà forza alla nostra vita e alla nostra comunità. La tempesta pone allo scoperto tutti i propositi di “imballare” e dimenticare ciò che ha nutrito l’anima dei nostri popoli; tutti quei tentativi di anestetizzare con abitudini apparentemente “salvatrici”, incapaci di fare appello alle nostre radici e di evocare la memoria dei nostri anziani, privandoci così dell’immunità necessaria per far fronte all’avversità.
Con la tempesta, è caduto il trucco di quegli stereotipi con cui mascheravamo i nostri “ego” sempre preoccupati della propria immagine; ed è rimasta scoperta, ancora una volta, quella (benedetta) appartenenza comune alla quale non possiamo sottrarci: l’appartenenza come fratelli.
«Perché avete paura? Non avete ancora fede?». Signore, la tua Parola stasera ci colpisce e ci riguarda, tutti. In questo nostro mondo, che Tu ami più di noi, siamo andati avanti a tutta velocità, sentendoci forti e capaci in tutto. Avidi di guadagno, ci siamo lasciati assorbire dalle cose e frastornare dalla fretta. Non ci siamo fermati davanti ai tuoi richiami, non ci siamo ridestati di fronte a guerre e ingiustizie planetarie, non abbiamo ascoltato il grido dei poveri, e del nostro pianeta gravemente malato. Abbiamo proseguito imperterriti, pensando di rimanere sempre sani in un mondo malato. Ora, mentre stiamo in mare agitato, ti imploriamo: “Svegliati Signore!”.
«Perché avete paura? Non avete ancora fede?». Signore, ci rivolgi un appello, un appello alla fede. Che non è tanto credere che Tu esista, ma venire a Te e fidarsi di Te. In questa Quaresima risuona il tuo appello urgente: “Convertitevi”, «ritornate a me con tutto il cuore» (Gl 2,12). Ci chiami a cogliere questo tempo di prova come un tempo di scelta. Non è il tempo del tuo giudizio, ma del nostro giudizio: il tempo di scegliere che cosa conta e che cosa passa, di separare ciò che è necessario da ciò che non lo è. È il tempo di reimpostare la rotta della vita verso di Te, Signore, e verso gli altri. E possiamo guardare a tanti compagni di viaggio esemplari, che, nella paura, hanno reagito donando la propria vita. È la forza operante dello Spirito riversata e plasmata in coraggiose e generose dedizioni. È la vita dello Spirito capace di riscattare, di valorizzare e di mostrare come le nostre vite sono tessute e sostenute da persone comuni – solitamente dimenticate – che non compaiono nei titoli dei giornali e delle riviste né nelle grandi passerelle dell’ultimo show ma, senza dubbio, stanno scrivendo oggi gli avvenimenti decisivi della nostra storia: medici, infermiere e infermieri, addetti dei supermercati, addetti alle pulizie, badanti, trasportatori, forze dell’ordine, volontari, sacerdoti, religiose e tanti ma tanti altri che hanno compreso che nessuno si salva da solo. Davanti alla sofferenza, dove si misura il vero sviluppo dei nostri popoli, scopriamo e sperimentiamo la preghiera sacerdotale di Gesù: «che tutti siano una cosa sola» (Gv 17,21). Quanta gente esercita ogni giorno pazienza e infonde speranza, avendo cura di non seminare panico ma corresponsabilità. Quanti padri, madri, nonni e nonne, insegnanti mostrano ai nostri bambini, con gesti piccoli e quotidiani, come affrontare e attraversare una crisi riadattando abitudini, alzando gli sguardi e stimolando la preghiera. Quante persone pregano, offrono e intercedono per il bene di tutti. La preghiera e il servizio silenzioso: sono le nostre armi vincenti.
«Perché avete paura? Non avete ancora fede?». L’inizio della fede è saperci bisognosi di salvezza. Non siamo autosufficienti, da soli; da soli affondiamo: abbiamo bisogno del Signore come gli antichi naviganti delle stelle. Invitiamo Gesù nelle barche delle nostre vite. Consegniamogli le nostre paure, perché Lui le vinca. Come i discepoli sperimenteremo che, con Lui a bordo, non si fa naufragio. Perché questa è la forza di Dio: volgere al bene tutto quello che ci capita, anche le cose brutte. Egli porta il sereno nelle nostre tempeste, perché con Dio la vita non muore mai.
Il Signore ci interpella e, in mezzo alla nostra tempesta, ci invita a risvegliare e attivare la solidarietà e la speranza capaci di dare solidità, sostegno e significato a queste ore in cui tutto sembra naufragare. Il Signore si risveglia per risvegliare e ravvivare la nostra fede pasquale. Abbiamo un’ancora: nella sua croce siamo stati salvati. Abbiamo un timone: nella sua croce siamo stati riscattati. Abbiamo una speranza: nella sua croce siamo stati risanati e abbracciati affinché niente e nessuno ci separi dal suo amore redentore. In mezzo all’isolamento nel quale stiamo patendo la mancanza degli affetti e degli incontri, sperimentando la mancanza di tante cose, ascoltiamo ancora una volta l’annuncio che ci salva: è risorto e vive accanto a noi. Il Signore ci interpella dalla sua croce a ritrovare la vita che ci attende, a guardare verso coloro che ci reclamano, a rafforzare, riconoscere e incentivare la grazia che ci abita. Non spegniamo la fiammella smorta (cfr Is 42,3), che mai si ammala, e lasciamo che riaccenda la speranza.
Abbracciare la sua croce significa trovare il coraggio di abbracciare tutte le contrarietà del tempo presente, abbandonando per un momento il nostro affanno di onnipotenza e di possesso per dare spazio alla creatività che solo lo Spirito è capace di suscitare. Significa trovare il coraggio di aprire spazi dove tutti possano sentirsi chiamati e permettere nuove forme di ospitalità, di fraternità, di solidarietà. Nella sua croce siamo stati salvati per accogliere la speranza e lasciare che sia essa a rafforzare e sostenere tutte le misure e le strade possibili che ci possono aiutare a custodirci e custodire. Abbracciare il Signore per abbracciare la speranza: ecco la forza della fede, che libera dalla paura e dà speranza.
«Perché avete paura? Non avete ancora fede?». Cari fratelli e sorelle, da questo luogo, che racconta la fede rocciosa di Pietro, stasera vorrei affidarvi tutti al Signore, per l’intercessione della Madonna, salute del suo popolo, stella del mare in tempesta. Da questo colonnato che abbraccia Roma e il mondo scenda su di voi, come un abbraccio consolante, la benedizione di Dio. Signore, benedici il mondo, dona salute ai corpi e conforto ai cuori. Ci chiedi di non avere paura. Ma la nostra fede è debole e siamo timorosi. Però Tu, Signore, non lasciarci in balia della tempesta. Ripeti ancora: «Voi non abbiate paura» (Mt 28,5). E noi, insieme a Pietro, “gettiamo in Te ogni preoccupazione, perché Tu hai cura di noi” (cfr 1 Pt 5,7).

papa Francesco












venerdì 27 marzo 2020

Verso la beatificazione di p.Giuseppe Ambrosoli


Oggi ricorre il 33°anniversario della morte del servo di Dio P.Giuseppe Ambrosoli, la cui beatificazione verrà celebrata e proclamata in terra di Uganda, a Kalongo, il 22 novembre 2020.
Facendo memoria del suo esempio e della sua eroica testimonianza preghiamo affidando alla sua intercessione in particolare tutti Medici, chiamati in ogni parte del mondo a testimoniare con la loro opera quell’Amore che viene dal cuore stesso di Dio.
Di seguito alcune parole di p.Giuseppe per la nostra riflessione:  
“Dio e’ Amore, c’e’ un prossimo che soffre e io sono il loro servitore”
“O Gesù un dono più grande dell’Eucaristia non potevi farcelo. Fa che corrispondiamo al tuo amore e al tuo desiderio con una vita veramente eucaristica. Questa non consiste solo nel fare la comunione, ma specialmente nel vivere la vita di Gesù in noi durante la giornata, ascoltare ed adorare Gesù operante nel cuore”.
Infine una testimonianza del Vescovo A. Maggiolini:  “P. Ambrosoli  viveva in profondità lo stile di Gesù’:”Il Figlio dell’uomo è venuto per servire e non per essere servito”. E’ la logica dell’ Eucarestia, del pane spezzato, vita donata per sfamare fratelli e sorelle… La sua opera missionaria e medica è stata quasi un ripetersi del grande miracolo della moltiplicazione dei pani, accompagnato dal nascondersi a quanti lo volevano esaltare e premiare per le sue abilità e successi”.





Proprio in questa giornata papa Francesco ci invita alla preghiera per noi e per tutto il mondo colpito da grave pandemia, alle ore 18 da piazza S. Pietro. Partecipiamo unanimi all’invocazione universale, certi che verrà ascoltata, anche grazie all’intercessione di p. Giuseppe, medico delle anime e dei corpi.


mercoledì 25 marzo 2020

Festa dell'Annunciazione


L’Italia in preghiera il 25 marzo. Dopo l’esperienza del rosario per l’Italia, il momento di momento di preghiera per il Paese promosso dalla Conferenza episcopale italiana, Avvenire, Tv2000, InBluradio, Sir e Federazione dei settimanali cattolici, d’intesa con la Segreteria generale della Cei, invitano i fedeli, le famiglie e le comunità religiose ad unirsi al Papa nella recita del Padre Nostro alle ore 12 e a ritrovarsi, lo stesso giorno, alle 21 per recitare insieme il Rosario che verrà trasmesso da TV2000 e InBluradio.

La festa dell’Annunciazione trova nella "preghiera dell'Angelus" la sua sintesi e la sua attuazione nella nostra vita. E’ l’”Eccomi” che con Maria ogni giorno rinnoviamo perché Dio non si stanchi mai di fecondare la nostra vita con la sua visita e di prendere carne nella nostra storia. Recitiamola a mezzogiorno richiamati dal suono delle campane in comunione con la Chiesa tutta.