sabato 27 gennaio 2018

Quarta domenica del Tempo ordinario



Lo stupore apre e chiude questo episodio del vangelo. Ed è curioso notare che questo stupore non deriva dal miracolo di guarigione che si è compiuto, ma lo precede.
“Erano stupiti del suo insegnamento”: è la Parola di Gesù che genera stupore. Parola che è autorevole - “insegnava loro come uno che ha autorità”  -  perché è Parola vera, efficace, liberante. E anche alla fine del brano lo stupore-timore è legato ancora alla Parola: “Che è mai questo? Un insegnamento nuovo, dato con autorità”.
La guarigione descritta documenta, attesta questa autorità della Parola che appunto perché vera, diventa efficace e liberante.
Gesù, il profeta Messia atteso, non si presenta facendo promesse elettorali impossibili, non illude la gente con parole vuote o false, ma dice il vero e quanto dice lo compie liberando così la vita, la nostra vita, dagli artigli del male. E’ venuto appunto a portare il male a rovina: “sei venuto a rovinarci” grida lo spirito impuro.
Gesù appare veramente quale profeta preannunciato da Mosè: “Il Signore tuo Dio susciterà in mezzo a te un profeta”. Lui è venuto a dirci le parole di Dio. Più ancora lui stesso è la Parola di Dio che si compie, si attua e offre a tutti salvezza.
E per compiere questa liberazione non ha bisogno nemmeno di dire tante complicate parole: “Taci. Esci”. Non una parola in più. Basta poco, perché quella parola ha forza e autorità in sé, è Parola di Dio che ciò che dice fa.
Oggi giornata della Parola, voluta dopo il giubileo da papa Francesco in tutta la chiesa, anche noi siamo invitati a stupirci.
Stupirci davanti a una Parola, quella di Dio appunto, che forse ancora poco conosciamo e ascoltiamo. Parola tuttavia che ha anche oggi la forza, l’autorità, di compiere ciò che dice, di liberarci dai vincoli del male. Noi che galleggiamo ogni giorno in mezzo a un mare di parole, e tante così inutili, false, inefficaci, che generano solo male, divisione e non certo vita, non sentiamo il bisogno, la necessità di una Parola diversa, vera, efficace, liberatoria?
Dobbiamo tornare a sentire fame e sete della Parola di Dio; a trovare in essa la “luce per i nostri passi”; troveremo così anche un senso nuovo per la nostra vita, per ciò che siamo e facciamo ogni giorno.
Troveremo nella Parola di Dio soprattutto la forza per affrontare il male che quotidianamente, nelle sue più svariate forme, ci tenta, ci affascina, ci inganna.
In questa giornata si sovrappongono alcuni motivi di riflessione: la memoria della Shoah, accompagnata sul nostro territorio dalla beatificazione (sabato prossimo) di Teresio Olivelli che, giovane, finisce la sua vita in un campo di concentramento.
Oggi inoltre ricorre l’annuale giornata a sostegno dei malati di lebbra.
Volti diversi di un male che ieri come oggi è presente e segna la vita di uomini e donne. Abbiamo bisogno di far sì che le nostre coscienze siano illuminate da una Parola vera, che ci aiuti a non cadere, davanti al male, nell’indifferenza o peggio ancora nella connivenza con esso.
La Parola di Dio è guida che ci rende capaci di riconoscere il valore della vita umana, la dignità di ogni persona; essa apre il cuore alla compassione e alla misericordia, rende capaci di solidarietà di tenerezza verso chi soffre. Alimenta, in chi la ascolta, sentimenti di pace, di giustizia, di autentica fraternità.
Abbiamo più che mai bisogno che oggi il mondo torni a stupirsi vedendo che esistono ancora uomini e donne che sanno dire e vivere parole vere, efficaci e liberatorie, perché si sono lasciati plasmare il cuore e la mente dalla Parola stessa di Dio.
“Ascoltate oggi la voce del Signore”: questa preghiera diventa anche invito, appello, perché non passi giorno senza un momento di ascolto della Parola di Dio.
Ascoltare la Parola di Gesù non è un passatempo per chi non ha altro da fare, ma dovere preciso di ogni cristiano. Senza ascolto non può esserci fede. Senza questa Parola vera, non si dà vita cristiana. Anzi si cade lentamente sotto la schiavitù del male.
Se invece ci apriremo all’ascolto ci ritroveremo, quasi senza accorgerci, plasmati e trasformati da quella stessa Parola. Uomini e donne nuovi nei pensieri e nelle azioni. Veri figli del Padre che con stupore e gioia quotidianamente pendono dalle sue labbra per ricevere il nutrimento della sua Parola vera, efficace e liberatoria. Parola di vita eterna.

sabato 20 gennaio 2018

Terza domenica del Tempo ordinario


Nel vangelo di Giovanni la prima parola pronunciata da Gesù è stata “Chi cercate?” – l’abbiamo ascoltata e meditata domenica scorsa. Oggi, inoltrandoci nel vangelo di Marco, diverso è l’inizio della missione pubblica di Gesù. “Il tempo è compiuto e il regno di Dio è vicino; convertitevi e credete al Vangelo”: queste le prime parole che l’evangelista pone sulle labbra di Gesù, presentandolo quasi come un nuovo Giona venuto tuttavia ad annunciare vita, salvezza.
Un annuncio che porta con se una notizia sorprendente. Il lungo cammino del tempo arriva al suo compimento e Dio è qui, la sua Presenza è vicina, con noi, in noi, ora e per sempre.
Un annuncio che risuona ancora oggi perché abbiamo a non dimenticare che la Sua Presenza sempre ci accompagna. Sempre e ovunque.
“Il regno di Dio è vicino” è qui, è presente oggi come allora dentro una storia difficile. Il brano infatti si apre con l’accenno alla prigionia di Giovanni il battista che lo porterà alla morte violenta; proprio mentre il potere politico tenta di far tacere la voce della verità e della giustizia, proprio in quel momento e in quel contesto Dio si fa vicino, presente.
In luoghi considerati di periferia e in balìa di pagani e profughi, quale era allora la Galilea, proprio lì, “lungo il mare di Galilea”, Dio si fa vicino, presente.
Ieri come oggi: in mezzo a situazioni di violenza e di emarginazione, di povertà e di ingiustizia, Dio continua a stare con noi, vicino e presente.
E’ qui tra noi e per tutti noi, nessuno escluso; soprattutto vicino a coloro che sono più soli e fanno maggior fatica a vivere. Proprio lì è presente, lì dove invece noi facciamo fatica a riconoscerlo.
Ecco perché Gesù fa seguire subito un appello: “Convertitevi e credete a questa buona notizia”. Convertirsi significa infatti girare lo sguardo e orientare tutta la nostra vita verso di Lui. Solo uno sguardo nuovo, orientato su Gesù, ci permetterà di riconoscere la sua vicinanza. Lo hanno intuito i primi discepoli che hanno immediatamente orientato su di Lui la loro vita, seguendolo. Hanno intuito la verità di quell’annuncio farsi concreto in quella persona che li invitava a “pescare uomini”, a lavorare per una umanità nuova, libera dai gorghi di quel male che fa annegare ogni speranza e uccide la dignità delle persone.
Se Dio è qui, dentro questa nostra storia, vuol dire che è possibile una storia altra, dove ci si prende per mano e ci si aiuta a liberarci gli uni gli altri dalle acqua mortifere del male.
E’ per questa storia che i primi discepoli sono stati pronti a collaborare. E’ per una storia secondo i disegni di Dio che noi cristiani siamo ancora oggi chiamati a collaborare.
Anche oggi occorrono mani che si tendono ai fratelli per offrire sostegno e liberazione; messaggi di speranza che risuonano nelle nostre strade e case; occhi che sappiano riconoscere la Sua presenza anche dove altri vedono solo buio e male.
Il Regno di Dio  è in mezzo a noi! Riconosciamolo, facciamo crescere questa Presenza. Questo è ciò che conta soprattutto.
Soprattutto portiamo avanti insieme questo annuncio e questa testimonianza. Insieme imparando a costruire comunione, armonia, unità tra di noi, nelle nostre comunità e anche con chi è diverso da noi.
Siamo nella settimana di preghiera per l’unità dei cristiani. E mai come oggi si fa sempre più urgente la capacità di essere uno, di armonizzare le diversità, di annunciare insieme, dentro questo mare tormentato della storia, la buona e bella notizia che Gesù ha portato e ha affidato alla sua chiesa: “Il Regno di Dio è qui”.
Con Gesù, seguito, ascoltato e amato, diventiamo insieme “pescatori di uomini”, per riportare a speranza quanti sono sommersi da tanta disperazione, per donare gioia a quanti si nutrono solo di tristezza e scontentezza.
E’ la grande missione della chiesa tutta, unita in Gesù per far risuonare ancora oggi nel cuore di ogni uomo e donna l’annuncio che non siamo soli a lottare e a vivere, ma Lui è qui con noi e in noi sempre.

sabato 13 gennaio 2018

Seconda domenica del Tempo ordinario


“Che cosa cercate?”. E’ la domanda che Gesù rivolge ai due che, su suggerimento di Giovanni Battista, si mettono a seguirlo.
Sono, nel vangelo di Giovanni, le prime parole poste sulla bocca di Gesù: “Che cosa cercate?”.
Una domanda che oggi risuona per tutti noi.
Un invito a compiere una veloce indagine interiore per trovare una risposta. Cosa cerchi nella vita? “Che cosa cercate?” Sì, perché siamo tutti cercatori, migranti di desideri… Un po’ tutti come il giovane Samuele (prima lettura), alla ricerca di quella voce che può dare pienezza alla propria vita. E’ di ogni uomo e donna cercare; cercare felicità, cercare senso alla vita, cercare affetto e amore, cercare realizzazione e successo, cercare sicurezza e pace… Siamo tutti migranti alla ricerca, a volte inconsapevole, di qualcosa, di qualcuno.
Come ritornano vere le parole di Agostino: “Inquieto è il nostro cuore”. E di questa inquietudine lui ne ha fatto esperienza. Ma arriva alla fine a riconoscere “Inquieto è il nostro cuore finché non risposa in Te”. La sua ricerca approda all’incontro con Colui che sazia ogni desiderio. Così anche per i primi discepoli che arrivano a incontrare Gesù, a dimorare con Lui, a seguirlo.
“Che cosa cercate?”. Noi che ci sentiamo cristiani da una vita: cosa cerchiamo? E’ Gesù che cerchiamo? cosa ci aspettiamo da Lui?
Come vorrei che la mia e nostra risposta fosse come quella dei due discepoli: “dove dimori?”. Una risposta che dice di un desiderio profondo: quello della comunione, dello stare insieme. Dimorare insieme con Gesù. Ecco quello che loro vogliono e che anche noi desideriamo. Perché la fede cristiana non è un cercare risposte, soluzioni, dottrine, idee, ma cercare una persona per stringere con essa una relazione d’amore, per entrare con essa in una comunione di vita. Cercare Gesù per stare con Gesù, per dimorare con Lui.
E’ mai possibile questo?
“Venite e vedrete”: le sue parole ai discepoli sono una sfida anche per noi. Ci dicono che solo se concretamente lo seguiamo possiamo stabilire questa dimora, questo legame. Venire e vedere infatti non significa semplicemente ‘togliersi una curiosità’, bensì accettare di camminare con Lui, di fare la sua stessa strada, di vivere secondo la sua Parola. Infatti Lui dimora dove “due o tre sono uniti nel suo nome”, dove uomini e donne si accolgono e si amano come fratelli e sorelle, dove conflitti e sbagli si affrontano non con vendetta e odio, ma perdono, dialogo, aiuto reciproco, dove ci sono uomini e donne pronti a mettere la loro vita a servizio fino a farne dono per altri.
Quando si vive così, come Gesù, si dimora in Lui, si è in quella comunione d’amore che ci unisce al Padre e tra tutti noi come fratelli.
Una comunione che dobbiamo allora costruire ogni giorno. Se cerchiamo Gesù, se desideriamo dimorare con Lui, viviamo in comunione con tutti, vicine e lontani.
Oggi, la giornata mondiale del migrante e del rifugiato ci invita ad allargare questa comunione con tanti altri nostri fratelli e sorelle. Papa Francesco ci suggerisce alcuni verbi da coniugare nella vita: accogliere, proteggere, promuovere e integrare. Sono un movimento di amore da attuare verso migranti e profughi, ma non solo. Anche tra noi, nelle nostre case; come c’è bisogno di imparare sempre di nuovo ad accoglierci, proteggerci gli uni gli altri, a promuovere il bene di ognuno e di integrarci gli uni con gli altri al di là di ogni differenza.
Da questo processo nasce la comunione, la capacità di dimorare insieme gli uni con gli altri e insieme con Dio.
“Che cosa cercate?”. Se cerchi Gesù vuol dire che cerchi la comunione, la fraternità, il rispetto di tutti. Se non cerchi e non costruisci questi valori non dire che cerchi Gesù, perché lui dimora lì, dove ci si accoglie, ci si vuole bene.
Come cristiani a volte corriamo il rischio di illuderci di cercare Gesù chiudendoci però agli altri, se non addirittura rifiutando gli altri. Questo è impossibile. Al contrario: chi sa accogliere, proteggere, promuovere e integrare l’altro, vicino o lontano che sia, di fatto cerca, anzi trova Gesù, dimora con Lui, vive in quella comunione d’amore che unisce Gesù al Padre e con il loro Spirito unisce tutti noi. Sì perché noi “non apparteniamo a noi stessi” ci ricorda Paolo, ma “il nostro corpo è tempio dello Spirito Santo… ricevuto da Dio”, lo Spirito dell’amore che ci rende tutti figli e fratelli.
Mossi da questo Spirito noi non smettiamo mai allora di cercare Gesù, di desiderare quella comunione alla quale Lui ci invita ripetendoci ancora oggi: “Venite e vedrete”.
Mossi da quest’unico Spirito tutti insieme, l’umanità tutta, siamo sospinti in un cammino di ricerca che porta, lentamente e faticosamente, verso una sola meta: la comunione universale. Destino unico e definitivo per tutti; punto di arrivo di ogni desiderio e ricerca.

venerdì 5 gennaio 2018

Epifania: per chi ha il coraggio di mettersi in cammino...

“Alzati, rivestiti di luce perché viene la tua luce… su di te risplende il Signore. Le parole del profeta, nella prima lettura, parlano di una ‘manifestazione’. Ecco l’Epifania che oggi celebriamo. Una luce che splende per tutti i popoli. Un Dio non nascosto, ma manifestato. Epifania vuol dire «manifestazione»: è cioè il mostrarsi di Dio agli uomini. Noi non abbiamo un Dio nascosto, ma che si manifesta a tutti coloro che vogliono vederlo e che hanno il coraggio e l'umiltà di cer­carlo. Il Natale dunque non si esaurisce nella festa di una notte, ma apre al cammino di tutta una vita. «Alza gli occhi intorno e guarda: tutti costoro si sono radunati, vengono a te. I tuoi figli vengono da lontano, le tue figlie sono portate in braccio». Tutti dobbiamo oggi alzare il nostro sguardo e metterci in cammino: l'Epifania è la festa di uomini e donne che si met­tono in movimento.
Il Vangelo parla di alcuni Magi: chi sono? Sono uomi­ni in ricerca: in realtà in essi è rappresentata la ricerca che è di ogni uomo e di ogni donna. Tutti cerchiamo qualcosa: pienezza di vita, amore, amici­zia, una felicità che non sia solo di un momento! “Inquieto il nostro cuore finché non riposa in Dio “ scriveva Agostino. Potremmo dire che c'è qualcosa dei Magi in ciascuno di noi. Le loro domande sono anche le nostre, davanti ad un futuro che ci appare incerto e complicato. Loro si mettono in cammino, non restano nel loro mondo, affrontano l'incertezza di un viaggio e accettano di lasciare qualcosa dietro di sé. Non sanno cosa li aspetta, ma capiscono che non possono restare fermi ad aspettare che accada qualcosa. La nostra vita è un pellegrinaggio, spesso alla ricerca di una risposta alle tante domande che salgono dal mondo: la sofferenza, il male, l'ingiustizia; e anche davanti alle incertezze dell’oggi: non si può rimanere ad aspettare… occorre il coraggio di nuovi cammini.
Il cammino dei Magi, come pure il nostro, non è facile: faticoso e pieno di contraddizioni (arrivano alla città sbagliata, trovano un re ma è colui che vuole uccidere il bambino…). Tuttavia non si scoraggiano; sanno continuare e ricercare con pazienza e perseveranza portando nel loro cuore una domanda: «Dov'è colui che è nato?». Il Natale è questa ricerca. Come i pastori nella notte si sono messi in cammino, così i Magi sono messi in viaggio a partire da una domanda: «Dov'è colui che è nato?». Se non ci facciamo mai domande, si può vivere il Natale senza accorger­si di nulla, lasciando tutto così com'è. È il Natale degli abitanti di Gerusalemme, che non si accorsero di nulla e rimasero con le loro sicurezze, protetti dalle mura della loro città. Non fecero nessuno sforzo, scelsero la via semplice di restare gli stessi di sempre. Forse si erano rassegnati, non credevano più possibile un cambiamento, non speravano più nulla. Certamente si sentivano il centro del mondo e quindi per loro esisteva solo quello che li riguardava direttamente. Non si confrontano più con gli altri, con le domande di chi viene da lontano, come i tanti che ancora oggi fanno viaggi difficili rischiando la propria vita, come coloro che hanno idee diverse, seguono cammini religiosi differenti, ma che portano con sé un'enorme voglia di futuro e di speranza. Gli abitanti di Gerusalemme non si lasciano più stupire né commuovere da nulla: come ci scopriamo simili a loro!
In un mondo dove ciascuno è sempre più portato a pensare solo a sé, è forte la tentazione di restare fermi nella città, dentro le mura che pos­sono essere anche le mura delle nostre case. Sembrano dare sicurezza, certezze, contro i pericoli che vengono da «fuori», ma in realtà diventa­no come prigioni per le nostre paure. Per vincere la paura bisogna met­tersi in cammino, farlo insieme, uscire dalle case, cercare gli altri, vede­re la stella, cercare e trovare quel Bambino. Dobbiamo anche noi continuamente vivere chiedendoci: “Dov’è colui che è nato?” Dov’è questo Dio che si è manifestato? Se avremo la pazienza, la perseveranza e il gusto della ricerca, non mancherà di brillare quella stella che ci condurrà a incontrarlo. La stella, la luce della Parola di Dio ci aiuterà a riconoscere che quel Dio non è a Gerusalemme la città santa, ma nella piccola Betlemme, non tra i re ma tra i poveri, non in una reggia ma in una stalla, non potente ma debole, presente proprio lì dove c’è una ferita, una fragilità, una fatica, una sofferenza, un bisogno d’amore. Ecco dov’è, dove si manifesta il Dio dei popoli e delle genti. Davanti a Lui mettiamo la nostra vita (come i Magi: “prostratiti lo adorarono”); a Lui offriamo tutto ciò che siamo: oro (amore), incenso (preghiera) mirra (la nostra fragile umanità). A Lui e non ad altri pieghiamoci; e per le sue vie continuiamo a camminare, non per le vie di Erode, dei potenti di turno, di chi cerca solo di incantarci e ingannarci. “Per un’altra strada fecero ritorno…”. L’incontro con il Dio manifestato in Gesù non è infatti punto di arrivo, fine del cammino, ma piuttosto punto di partenza, di ri-orientamento di tutta la nostra vita, affinché abbiamo a camminare ogni giorno alla luce della Sua Parola, per una rinnovata scoperta della Sua Presenza in mezzo a noi oggi e per diventare sempre più capaci, con Lui, di costruire nella speranza e nella novità e nell’accoglienza e collaborazione con tutti il nostro domani.

mercoledì 3 gennaio 2018

Buon 'passaggio'...verso novità e pienezza. Buon anno!



...accompagnati dalle parole del nostro vescovo Oscar:

Un altro anno è compiuto, uno nuovo è alle porte. Per un cristiano tutto è nelle mani di Dio, che attraverso la signoria di Cristo risorto guida efficacemente la storia e la conduce a pienezza.  Da qui il nostro umile ringraziamento per i benefici ricevuti nell’anno che si chiude.
Contemporaneamente, però, tutto è affidato anche alle nostre mani, alla nostra libertà, alla responsabilità e alla saggezza delle nostre scelte, essendo noi uomini artefici del nostro futuro, così come del creato,  affidatoci da Dio quali custodi e non certo padroni.

Le nostre azioni passate ci seguono, ci aprono strade nuove o le ostruiscono. Noi paghiamo lo scotto delle nostre paure, delle nostre difese, delle nostre prevenzioni. Nello stesso tempo non cessiamo di reinventarci, di aprirci a nuove mete, di tentare altre possibili sviluppi, in un clima che eviti tensioni e contrapposizioni, solo protesi nell'interesse del bene comune.

Noi siamo anche debitori di quanti, nel tempo, ci hanno preparato, a loro volta, la casa comune che è il nostro mondo. Anche solo osservando la nostra Cattedrale, soprattutto l’altare, di cui è ricorso quest’anno il 700^ anniversario della sua consacrazione, ci rendiamo conto della ricchezza che ci è stata donata. A loro volta, i nostri figli saranno determinati dall'impegno o meno con cui noi, in questa nostra precisa epoca della storia, avremo creato le condizioni per un loro futuro.

Siamo tutti coinvolti in una medesima avventura, affascinante, da una parte, ma, dall'altra, anche piena di enigmi. Non possiamo permetterci di voltarci dall'altra parte, come se niente dipendesse da noi, come se le difficoltà, tuttora persistenti, fossero causate solo dagli altri; non possiamo ritirarci nel nostro ristretto orizzonte, dove tutto funzionerebbe secondo la nostra unica prospettiva. Non è più possibile delegare ad altri i doveri e le responsabilità di ciascuno. A tutti il compito di partecipare, di prendere l'iniziativa, di aprirsi al futuro da persone coinvolte e non solo da spettatori. Solo lavorando insieme possiamo contribuire efficacemente alle soluzioni che affliggono l'umanità e che rendono la nostra società uno spazio accogliente e ospitale.

Dobbiamo fare i conti, piuttosto, con la realtà complessa e articolata, che ci supera, che ci conduce al di là dei nostri confini, che ci dischiude nuovi orizzonti, imparando a convivere, qui nella nostra terra, con una cultura pluralista, frutto della presenza di persone provenienti da altre parti del mondo. Le persone, sebbene diverse da noi, non possono essere ritenute delle minacce o nemici da temere, ma devono essere ospitate come fratelli in umanità.

Il nostro compito consiste nel riflettere sul nostro stile di vita e i nostri ideali, riconoscere i valori fondamentali e ineludibili, che promuovono il bene dei singoli e insieme il bene comune, e nello stesso tempo, imparare a chiamare per nome ciò che condiziona l'uomo, lo degrada e gli fa rinunciare alla sua dignità regale, che deriva dalla comune appartenenza alla famiglia dei figli di Dio.

Non siamo figli unici, ma membri di un vasto mondo articolato, chiamati a vivere la nostra comune umanità dentro il nostro territorio. Il mio ministero di comunione e di sintesi, mi aiuta a tenere aperti gli occhi ed accorgermi dei tanti casi che mi vengono presentati e che a volte mi trovano incapace di soluzioni a breve scadenza.

Penso alla tante famiglie divise, dove non c'è armonia, né intesa tra marito e moglie, ma ostilità e a volte anche violenza, alla incapacità di dialogo  tra genitori e figli, ai giovani senza prospettive di lavoro, alle tante persone vittime delle varie forme di dipendenze, alcune delle quali frutto del troppo progresso. Penso alla solitudine degli anziani, lasciati soli dai propri figli, a quanti, non più giovani, hanno perso ogni prospettiva di lavoro e hanno vergogna di confidare ai loro figli la loro umiliante situazione, tentando anche, a volte, di togliersi la vita.

Penso ai profughi che ospitiamo, i quali hanno lasciato le loro terre d’ origine, fuggendo dalla guerra, persecuzioni e degrado ambientale e altre forme di violenza organizzata. Accogliere queste persone non basta, occorre favorirne l’ integrazione, permettendo che essi partecipino pienamente alla vita della nostra società .

Assieme a queste povertà materiali, ne esistono però altrettante, a livello spirituale, non abbastanza sottolineate, e più gravose ancora, perché tolgono la pace, non favoriscono rapporti interpersonali significativi, condannano l’ uomo a vivere una sola dimensione: un benessere materiale, senza respiro d'anima, alla ricerca di gratificazioni immediate. Quante persone snaturano gli avvenimenti più importanti della vita, come  il nascere o  il morire, privano i legami affettivi di stabilità, coerente e fedele, fondano tutto sull'incertezza del provvisorio, o su gioie apparenti, che non sono altro che evasioni dagli impegni della storia.
Se si toglie alla vita la sua dimensione trascendente, non c'è più spazio per Dio, ma anche per le persone, ridotte a semplici concorrenti, esseri anonimi e senza volto, invece che fratelli.
Le speranze che il mondo consumista di oggi offre ai giovani sono troppo piccole per riempire il cuore degli esseri umani, assetati di infinito.

Davanti a questi esempi di povertà materiale e immateriale, vogliamo tutti sentirci coinvolti e sostenerci reciprocamente, in un comune impegno per dare un'anima alla società, perché sia "a misura d'uomo" e alle persone la garanzia per una vita piena, intensa e felice.

La comunità cristiana, se vuol offrire un aiuto concreto alla società e presentare un' immagine di Chiesa "esperta in umanità", nel tentativo di rendere il mondo più umano, dovrà  favorire sempre più l'incontro con le istituzioni civili, con gli organismi di partecipazione, per costruire e sviluppare con essi  una cultura fondata sulla misericordia, mediante delle scelte essenziali e significative, che il prossimo Sinodo diocesano potrà proporre e favorire.
Vogliamo partecipare alla costruzione di una cultura fondata sulla misericordia, in cui nessuno guarda all'altro con indifferenza, né gira lo sguardo quando vede la sofferenza dei fratelli.

Sempre più comprendiamo come la Chiesa debba mettersi a servizio del mondo, portando un messaggio di speranza, soprattutto a quella parte di umanità ferita, dolorante, che ha bisogno di compassione e di aiuto per ritrovare se stessa, senza sentirsi giudicata, ma piuttosto accolta e sostenuta da una comunità cristiana che si presenta "col volto di mamma", come ha auspicato papa Francesco. La fede in Cristo rende la persona libera, piena di gioia e capace di compassione.

Mi è caro ricordare ora uno dei prossimi appuntamenti che coinvolgerà anche la Chiesa di Como e la società civile, ossia la beatificazione a Vigevano, il prossimo 3 febbraio, di Teresio Olivelli (1916-1945),  nativo di Bellagio, membro attivo dell'Azione Cattolica, rettore del collegio universitario Ghislieri di Pavia, alpino nella campagna di Russia, membro della Resistenza e infine internato in un campo di concentramento nazista, in cui offrì la sua vita per difendere un suo compagno di prigionia. A buon diritto, il papa S. Giovanni Paolo II definì  la sua morte "simile a quella di S. Massimiliano Kolbe". I suoi gesti eroici non furono improvvisati, ma frutto della sua paziente formazione, della abituale intimità con Dio e con l'esercizio quotidiano e feriale della carità.

Non posso poi tralasciare un appello che mi sembra importante e che deve interessare tutti. Nel prossimo mese di marzo saremo chiamati alle urne.
Siamo in un periodo in cui i partiti e gli uomini politici hanno generato delusione e lontananza dall’impegno politico. Il malcontento e la diffidenza verso i leaders politici si sono approfonditi a causa di aspettative non soddisfatte e problemi non risolti. L’astenersi dal voto, a cui tutti invece siamo obbligati, non deve essere  espressione di questa delusione. Non deve essere il partito dei rinunciatari a prevalere, e nemmeno i leaders populisti possono assumere le responsabilità di governo sfruttando le rabbie e le paure della gente, a causa di promesse di cambiamento seducenti, quanto irrealistiche. Ciascuno in coscienza si orienti verso quei candidati che presentano programmi che facilitino il bene possibile, che tutelino la dignità e il rispetto delle vita delle persone, che facilitino la solidarietà  e non si limitino a promesse aleatorie. Mancare al voto è da considerarsi un vero e proprio peccato di omissione, che non fa altro se non delegare in bianco, senza compromettersi responsabilmente.

Una iniziativa che mi sento di raccomandare alla comunità civile è quella di  favorire la presentazione della prima parte della Costituzione italiana, nel settantesimo della sua promulgazione, dove sono enumerati i fondamentali principi, diritti e doveri per una società libera e democratica. In un epoca in cui si sono smarriti gli ideali del vivere civile, è urgente aiutare le persone e la società a riscoprire l'essenziale di una civiltà veramente umana.
Potrebbero nascere sani dibattiti da parte delle grandi famiglie culturali ideologiche, che insieme hanno redatto a suo tempo la Costituzione, e organizzare interventi educativi anche nelle nostre scuole superiori,  per aiutare i giovani ad attualizzare quei principi fondativi, base del nostro vivere civile.

A conclusione, auguro a tutti che Gesù, nato nelle nostre vite, possa essere donato, a nostra volta, a quanti non hanno mai sperimentato amore e gesti di tenerezza, poiché tutti hanno diritto di toccare con mano la grazia di Dio, di cui noi siamo stati partecipi.