mercoledì 30 luglio 2014

Una proposta per l'animazione del Santuario



In seguito allo spostamento della comunità dei frati cappuccini finora custodi del Santuario, nasce l'esigenza di continuare a mantenere aperto e vitale questo luogo di preghiera e spiritualità.



A questo scopo la presente proposta vuole continuare a valorizzare il Santuario della Madonna del Soccorso come luogo di fede e di ricerca di Dio attento al discernimento vocazionale in un ambiente mariano. La col­laborazione tra l'esperienza spirituale della Tenda di Mamre e del Centro Diocesano Vocazioni sembra particolarmente adatta a raggiungere questo scopo.


La Tenda di Mamre

L'esperienza si caratterizza per una proposta di vita fraterna secondo il Vangelo, nel riferimento ai valori monastici proposti da San Benedetto e at­tuati in particolare secondo la regola camaldolese di San Romualdo. Essa nasce dal cammino di ricerca di d. Sergio Tettamanti, prete diocesano obla­to Camaldolese con la Comunità monastica Camaldolese dell'Eremo S.Giorgio (Rocca di Garda - VR). La proposta, accolta e soste­nuta dalla Diocesi di Como e dal suo Vescovo, ha avuto inizio nel 2010 presso la comunità di Zelbio (Co) e ora potrebbe continuare, dopo quattro anni di ‘rodaggio’, presso il Santuario del Soccorso.

Questa esperienza consiste in una proposta di vita che si fonda su tre 'colonne': l'ascolto della Parola di Dio e l'ascolto di ogni persona, fatto, si­tuazione; la preghiera, personale e comunitaria, che viene a caratterizzare il ritmo di tutta la giornata; la carità, espressa in una vita so­bria, essenziale e condivisa fraternamente. L'ascolto, la preghiera e la carità sono attuate e vissute nel silenzio che crea il clima necessario per poter in­contrare e conoscere Dio e se stessi; nell'essenzialità e nella sobrietà della vita; nella condivisione vissuta con quanti sono ospiti o di passaggio; nel lavo­ro quotidiano per riscoprire il valore delle cose, della natura e la fecondità della fati­ca; nell'apertura al mondo e alla vita dell'intera umanità, a ogni cammino religioso e di ricerca; nel seguire il Vangelo di Gesù, quale unica regola di vita, per imparare a vivere come Lui ha vissuto e ad amare come Lui ci ama, verso una comunione sempre più piena col Padre nello Spirito. A fon­damento di tutto sta una riscoperta di un’autentica vita spirituale che, a par­tire dal Battesimo, deve caratterizzare l'esistenza di ogni cristiano.


Il Centro Diocesano Vocazioni

Ormai da diversi anni il Santuario del Soccorso è luogo di rife­rimento diocesano per la preghiera per le vocazioni e il discernimento vo­cazionale. I pellegrinaggi del Terzo Sabato, il pellegrinaggio annuale dei Giovani con il Vescovo e la possibilità di strutturare gli ambienti del San­tuario come luogo di accoglienza e di ritiro per singoli o piccoli gruppi di giovani, rendono tale spazio una feconda possibilità per la vita diocesana.


II Santuario

Il Santuario, dedicato alla Madonna del Soccorso, fa da sfondo a questi cammini, offrendo un ambiente mariano che costituisce un prezioso contesto di fede ove attraverso Maria si incontra Gesù. L'esperienza a carattere monastico della Tenda di Mamre, infatti, accoglie il riferimento maria­no e lo orienta verso il suo obiettivo: portare a Cristo. L'impostazione della vita del Santuario, dando priorità al silenzio, all'ascolto della Parola, alla preghiera liturgica delle Ore e all'Eucarestia, continuerà a garantire gli aspetti tipicamente mariani (pellegrinaggi, rosa­rio, feste...) orientandoli ancora di più al loro pieno significato.


La proposta

Per quanto riguarda la vita del Santuario si mantiene l'orario di apertura e chiusura attualmente in vigore e garantendo un'unica celebrazione eucari­stica quotidiana ad un orario da definire. Anche alla domenica verrà cele­brata una sola celebrazione dell'eucarestia orientativamente alle 11 del mattino.

Accanto alla vita del Santuario, la Tenda di Mamre prevede un suo tem­po di celebrazioni aperte a tutti coloro che volessero partecipare, con il se­guente orario da valutare una volta avviata l'esperienza in loco:



Feriale
Festivo*
ore 6.00 Ufficio delle Letture

ore 7.30 Lodi
ore 7.30 Lodi
ore 12.00 Ora media e Angelus
ore 11.00 Celebrazione Eucaristica
ore 17.00 Celebrazione Eucaristica
ore 17.30 Vespri
ore 17.30 Vespri
*il sabato sera, alle 21.00 Veglia o Adorazione Eucaristica



La collaborazione tra Tenda di Mamre e Centro Diocesano Vocazioni potrebbe rendere il Santuario un luogo di esperienza spirituale che, dalla ri­scoperta del Battesimo, porta a una vita spirituale nella sequela del Signore Gesù e della sua Parola, sull'esempio di Maria, e apre al discernimento al fine di scoprire le modalità specifiche per ciascuno nel vivere la propria vocazione battesimale.



Il Santuario potrebbe così crescere diventando: un servizio di animazio­ne e proposta spirituale per tutti; un luogo di ricerca e di discernimento vo­cazionale per i giovani; uno spazio di incontro per preti (giornate di ritiro, di silenzio e preghiera personale...); un luogo per incontri aperti ai vari set­tori della pastorale (famiglie, missioni, caritas, catechisti...); un ambiente ricco di potenzialità artistiche-storiche e di bellezza naturali per una cate­chesi aperta a tutti: pellegrini e turisti; un'opportunità di accoglienza e ascolto per ogni persona al di là del suo credo e delle sue convinzioni per­sonali e religiose.


Gli ambienti

Il Santuario e il viale con le sue cappelle è un primo spazio aperto a tutti che potrà essere ancora di più valorizzato grazie ai continui interventi di re­stauro e di conservazione già in atto. L’attuale casa dei frati adibita ad abitazione di don Sergio con uno spazio per don Michele ed alcuni ambienti  da riservare all’ospitalità di quanti intendono condividere un tempo di preghiera e silenzio.

In prospettiva c'è la possibilità di valutare la ristrutturazione sia dei lo­cali sovrastanti la trattoria che dei cascinali sottostanti il piazzale del San­tuario.

Anche gli spazi agricoli (orto ed uliveto) e l'eventuale possibilità di in­tegrare l’antico eremo di san Benedetto diventerebbero luoghi di possibili esperienza di preghiera, silenzio e lavoro.
 

Le collaborazioni

Innanzitutto la necessità di una collaborazione concreta per quanto ri­guarda gli aspetti amministrativi, artistici e culturali, di volontari per lavori legati all'orto, bosco, uliveto, viale e cura del Santuario e della eventuale rivitalizzazione dell'eremo di san Benedetto. Una volta presenti in loco si potranno raccogliere le disponibilità già presenti o integrarne di nuove.

La vita del Santuario è inserita nel territorio parrocchiale e vicariale, an­che se deve poter godere di una propria autonomia. Si tratterà con il tempo di trovare adeguate forme di collaborazione pastorale. In particolare l'esperienza della Tenda di Mamre si pone come esperienza in sé autono­ma, dove è offerta e garantita l'accoglienza di chi vi accede, mentre non prevede una diretta presenza sul territorio. In questo modo il Santuario può diventare ancora di più punto di riferimento a servizio del territorio e della Diocesi.

Dal punto di vista amministrativo potrebbe essere interessante costituire una agile associazione che potrebbe raccogliere persone già legate al San­tuario o all'esperienza delle Tende di Mamre per gestire con maggior fra­ternità e corresponsabilità, la vita del Santuario.

Senza silenzio non si fa la rivoluzione.

Un testo di Carlo Maria Martini
 
Tra le molte cose che si possono dire sulla maniera in cui è vissuta oggi la dimensione contemplativa dell’esistenza, viene in mente la disabitudine alla pratica della preghiera e alle pause contemplative. In questo la nostra civiltà occidentale si distingue nettamente dalle civiltà dell’Oriente, dove sono in onore la pratica e le tecniche contemplative e il gusto per la riflessione profonda. Forse la gente prega e riflette più di quanto non sappia o non dica. Si tratta di aiutarla a dare un nome più preciso, un indirizzo più costante, a certe impennate del cuore che, più o meno intensamente, sono presenti nella storia di ognuno.
L’esodo massiccio dalle città nei periodi di vacanza e nei fine settimana esprime in fondo anche questo desiderio di ritorno alle radici contemplative della vita. Lo sfondo generale lo dà la cultura occidentale attuale, che ha un indirizzo tutto teso al «fare», al «produrre», ma che genera per contraccolpo un bisogno di silenzio, di ascolto, di respiro contemplativo. Sia l’attivismo frenetico sia certe maniere di intendere la contemplazione possono rappresentare una «fuga» dal reale. Per far evolvere questa situazione non basterà risvegliare una ricerca di preghiera, occorrerà anche purificare, orientare certe forme scorrette o insufficienti di ricerca. In particolare occorrerà evitare le contrapposizioni tra azione, lotta e rivoluzione da un lato, e contemplazione, silenzio e passività dall’altro.
Bisognerà dare uno specifico orientamento sia all’azione sia alla contemplazione. (...) Va tenuto presente anzitutto il tono esasperato che assumono le contraddizioni della civiltà industriale. Questo rende ancor più stimolante e profetico il compito di elaborare modelli e forme di preghiera contemplativa per l’uomo d’oggi. Si può ricordare la crisi di certi adulti che, sparite certe forme tradizionali di preghiera legate al ritmo pre-industriale, faticano a trovare nuove forme. Si può ricordare la consolante richiesta di silenzio contemplativo da parte di certi giovani. E la confluenza di più civiltà nella trama internazionale della nostra società. Il confronto con le forme di preghiera provenienti soprattutto dall’Oriente può diventare uno stimolo per una più rigorosa scoperta degli originali valori della preghiera cristiana, sullo sfondo di un dialogo e di un reciproco arricchimento con altre tradizioni.
La proposta di riflettere sulla dimensione contemplativa della vita intende provocare il recupero di alcune certezze che hanno patito qualche scolorimento e qualche eclissi: l’importanza del silenzio, il primato dell’essere sull’avere, sul dire, sul fare, il giusto rapporto persona-comunità. Mi pare venuto il momento di ricordare che l’abitudine alla contemplazione e al silenzio feconda e arricchisce, che non si ha azione o impegno che non sgorghi dalla verità dell’essere profondo. L’uomo «nuovo» – cui la fede ha dato un occhio penetrante che vede oltre la scena e la carità, un cuore capace di amare l’Invisibile – sa che il vuoto non c’è e il niente è eternamente vinto dalla divina Infinità. Sa che l’Universo è popolato da creature gioiose, e di essere spettatore e già in qualche modo partecipe dell’esultanza cosmica, riverberata dal mistero di luce, amore, felicità del Dio Trino. Perciò l’uomo nuovo, come il Signore Gesù che all’alba saliva solitario sulle cime dei monti, aspira ad avere per sé qualche spazio immune da ogni frastuono alienante, dove sia possibile tendere l’orecchio e percepire qualcosa della festa eterna e della voce del Padre.

L'icona della Trinità di Andrej Rublev

ICONA della TRINITA’ di Andrej Rublev – Mosca 1422

Nato nel 1360 e morto il 29 gennaio 1430, Andrej Rublev visse santamente, come monaco e figlio spirituale di san Sergio di Radonez. Fu iconografo, per obbedienza e per dono di natura.
Nel 1988 il Concilio della Chiesa russa lo canonizzò, descrivendolo: «Famoso iconografo, autore di molte icone, ora celebrato asceta di vita santa, che profuse largamente il suo amore cristiano verso il prossimo». La memoria liturgica fu fissata nel giorno 17 luglio.

L'icona della Trinità è stata definita «l'icona delle icone» nel 1551 dal Concilio dei cento capitoli. Le sue dimensioni sono di 142 per 114 centimetri.

Tra tutte le icone, la più grande, profonda e artisticamente pregevole è l'icona della Trinità di Andrej Rublev, la quale, a giudizio di molti, è un capolavoro di rara profondità teologica, di bellezza incomparabile e di finissima ricchezza di simboli.

Andrej Rublev l'ha preparata nel 1422, per la canonizzazione di Sergio di Radonez, morto trent'anni prima, fondatore del monastero Trockij dove Rublev viveva.

È conservata nel Museo Tretjakov di Mosca. La contemplazione del mistero della Trinità aveva costituito l'esperienza più marcata ed affascinante di san Sergio, che l'aveva vissuta dapprima come eremita nelle foreste che circondano Mosca, poi l'aveva condivisa con alcuni fratelli attratti dalla sua santità. Questa esperienza - questo carisma - ­doveva descrivere in una icona il monaco Andrej Rublev.

Andrej Rublev studiò attentamente il testo della Genesi: in alto si possono rilevare la tenda di Abramo, la quercia presso Mamre, la montagna. Sono lo sfondo storico, soggetto a diventare intensamente simbolico. Il vero quadro però è quello che racchiude in un grande cerchio i tre ospiti  con i quali l'iconagrafo intende indicare le tre Persone divine. Un quadrato, un cerchio e un triangolo formano la struttura dell'icona. La posizione dell'angelo di mezzo è fissata su un asse verticale. Le diagonali segnano le posizioni degli angeli laterali. C'è tutta una inclinazione circolante da destra a sinistra: gli angeli del centro e di destra  si inchinano verso l'angelo di sinistra e persino lo fanno l'albero e la montagna. Con questo semplice movimento, Rublev è riuscito a fare dei tre personaggi una comunità stretta e viva.

La struttura dell'icona, che contiene il movimento da destra verso sinistra, è completata dal movimento da sinistra verso destra, che parallelamente muove anche le persone e le cose. I tre non sono semplicemente persone che siedono vicine, ma costituiscono una profonda unità.  L'angelo di sinistra, sedendo con una certa solennità, ma senza esagerazione, sembra in centrare in sé tutto il movimento del quadro. La distinzione tra le persone è evidente, ma ancora più rimarchevole è la loro unità.

Rublev non evoca solo  la visita di Dio ad Abramo: intende esprimere la Trinità. Composizione geometrica, colori e simboli sono studiati per questo. Anche le aureole sono l'immagine della Trinità, che «in tre persone, è l'unica luce di tre soli». I volti sono giovanili: nessuno sembra più anziano o più giovane, perché in Dio non c'è un prima e un dopo, un ieri o un domani, ma solo un perenne oggi. Sono figure giovanili, e al medesimo tempo contengono la fortezza e l'attrazione di tutti e due i sessi, perché Dio non è né maschio né femmina: in Dio, Uno e Trino, le differenze non sono distrutte, ma unificate e completate (cfr. Galati 3,28; Colossesi 3,11)

Il monaco Andrej Rublev sa che Dio nessuno l’ha mai visto. Sa però che Gesù ci ha manifestato tutto della vita di Dio Padre, Figlio, Spirito Santo. Dopo aver meditato il Vangelo e pregato a lungo, Andrej cerca di tradurre in pittura quanto ha udito. Egli  vuole dircelo tramite i colori ed i gesti dei tre Angeli che hanno visitato Abramo (Genesi 18).

Tutti e tre portano il color azzurro, segno della divinità. Nel Padre (angelo di sinistra) il color azzurro è nascosto: Dio Padre nessuno l’ha mai visto, se non tramite la bellezza ed la sapienza della sua creazione (manto rosa). Il Figlio (angelo al centro) è uomo (tunica rossa sangue); ha ricevuto ogni potere dal Padre (stola gialla) e si è manifestato come Dio attraverso le sue opere. Tutti abbiamo visto la sua divinità: “chi vede me vede il Padre”. Lo Spirito Santo (angelo di destra) è Dio e dà la vita (verde, colore delle cose vive). La vita di amicizia con Dio ci viene da Lui.

Dal Padre ha origine ogni cosa (posizione eretta). Egli chiama il Figlio indicandogli con mano benedicente la coppa al centro.  Il Figlio comprende la volontà del Padre – farsi cibo e bevanda degli uomini – e l’accetta (china il capo e benedice la coppa) – “mio cibo è compiere la volontà del Padre” – chiedendo (col movimento del braccio destro) l’assistenza dello Spirito Consolatore. Questi accoglie la volontà del Padre per il Figlio (mano posata sul tavolo) e col suo piegarsi riporta la nostra attenzione al Figlio e al Padre : vuole metterci obbedienti davanti a Gesù (“nessuno può dire ‘Gesù è Signore’ se non per opera dello Spirito Santo”) e abbandonati e fiduciosi davanti al Padre (“lo Spirito grida nei nostri cuori: Abbà, Padre!”).

C’è posto anche per me in questo circolo d’Amore delle Tre Persone: davanti c’è spazio perché io possa partecipare al colloquio intimo e segreto, gioioso e impegnativo: è lo spazio dei martiri (finestrella dell’altare), di chi dà la vita. Il mio posto ha la forma di calice (lo spazio libero tra i due angeli di destra e sinistra). Il Padre chiede anche a me se voglio mangiare e bere alla sua mensa e offrire la mia vita insieme a Gesù come cibo e bevanda per gli uomini; e lo Spirito, se accetto, mi fa entrare nel riposo di chi è finalmente alla soglia della casa del Padre.

Andrej Rublev scrisse l’icona della Trinità affinché gli uomini contemplando la divina comunione imparassero a vivere sulla terra.

Per approfondire:
“Contemplazione della Icona della Trinità” di Giovanni Dutto; Effatà Editrice.

I mille anni di Camaldoli.

Nel 2012 si è celebratro il millenario di fondazione dell'Eremo di Camaldoli. Ne parliamo con il priore generale, dom Alessandro Barban, a cui chiediamo innanzitutto un bilancio storico. «Rivisitando -- ci dice -- la loro storia millenaria, la comunità di Camaldoli e la congregazione camaldolese tengono presenti tre indicazioni di massima. Primo, la figura di san Romualdo con il suo carisma, che ha segnato un momento di sintesi, e una svolta, nel monachesimo occidentale. In questi ultimi cinquant'anni, Romualdo e la sua proposta monastica sono stati maggiormente focalizzati sia alla luce dei nuovi studi storici, sia in seguito al concilio Vaticano II che ha invitato a tornare alle fonti della propria esperienza religiosa. Secondo, abbiamo avuto una storia molto ricca che si è intrecciata per mille anni con quella della Chiesa e con quella degli uomini. Vi sono state diverse fasi. Nei primi tre secoli (xi-XIV) la congregazione nasce e si organizza: è un periodo caratterizzato da figure eccezionali (quali Ambrogio Traversari e Paolo Giustiniani) e da un impegno culturale e di apertura che si comprende solo tenendo presente qualità e livello spirituale delle nostre comunità (Camaldoli, Firenze, Venezia). Ricordo il mappamondo di fra' Mauro camaldolese: non è solo un'opera cartografica geniale, ma l'invito a guardare alla storia di terre lontane e di popoli sconosciuti, dilatando il proprio orizzonte. Quindi il secolo XVII, che segna l'attenzione alle nuove scoperte scientifiche (pensiamo alle ricerche matematiche di Grandi, monaco camaldolese che ha insegnato alla Normale di Pisa) e il XVIII, in cui si cerca di comprendere i cambiamenti del tempo. Purtroppo, l'Ottocento segna la fase più difficile anche per la nostra congregazione, soppressa prima da Napoleone e poi dal Regno d'Italia. La storia camaldolese sembrava finita, invece, i monaci tornano all'eremo verso la fine del secolo e, successivamente, al monastero. Nel 1935 si riapre la foresteria che, soprattutto dopo il concilio, diverrà luogo di ricerca, studio e confronto su temi teologici, biblici e patristici anche per tantissimi laici, da Montini a Pellegrino, da Dupont a Martini e De la Potterie, da La Pira a Moro e Lazzati, da Dossetti a Barsotti.

Dovremo dire che abbiamo fatto storia: nel medioevo, non accettando le logiche feudatarie stringenti e mantenendo viva la dialettica tra eremo, monastero e mondo; nell'umanesimo, imparando il latino e il greco, arricchendo le nostre biblioteche di testi patristici e filosofici, essendo presenti con Traversari al concilio di Ferrara-Firenze, fissando le regole sulla foresta di Camaldoli scritte da Paolo Giustiniani, conosciute come Codice forestale camaldolese; e soprattutto, nel secondo dopoguerra, con il Codice di Camaldoli (sintesi del pensiero politico cattolico dell'epoca) e l'influenza post-conciliare esercitata dalla nostra comunità sulla Chiesa italiana. La nostra storia e la nostra presenza come monaci nella Chiesa di oggi sono stati richiamati nell'omelia di Benedetto XVI quando, il 10 marzo scorso, ci ha voluto incontrare a Roma nella chiesa di San Gregorio al Celio, per celebrare il nostro millenario. Sono ancora molto grato al Papa che, accogliendo l'invito, ci ha onorato con la sua visita, incoraggiandoci a proseguire il nostro cammino monastico.

Tre gli aspetti essenziali del carisma camaldolese.
Come sono cambiati, se sono cambiati, in questi mille anni? 

È san Bruno di Querfurt che menziona nella sua opera agiografica La vita dei cinque Fratelli la sintesi monastica di Romualdo: il cenobio, cioè la vita di comunione, per coloro che vengono dal mondo e sono ancora dei principianti; l'eremo, ovvero la pratica della solitudine, per i più maturi e per quelli che vogliono dedicarsi interamente alla vita contemplativa; l'evangelium paganorum, ovvero la missione ad extra (oggi potremo parlare di evangelizzazione) per coloro che volevano diffondere il Vangelo rischiando il martirio. Sappiamo che il monachesimo missionario era sostenuto nella corte di Ottone III, ma non era valorizzato dal monachesimo tradizionale che si rifaceva a Montecassino e, poi, a Cluny. Su indicazione del fondatore, le prime regole eremitiche di Camaldoli delineano e organizzano la vita monastica tra eremo e monastero. La storia della congregazione testimonia la centralità di entrambi, ma anche una forte diffusione dei camaldolesi in tante città importanti del centro-nord Italia, fino ad arrivare alla nascita di altre due congregazioni: la prima di carattere eremitico (i monaci camaldolesi di Monte Corona, ancora presente in Italia e all'estero) e la seconda di tipo cenobitico (la cui storia termina nel 1935). Dopo la scoperta della Vita dei cinque Fratelli nell'Ottocento, abbiamo constatato che la storia dei monaci camaldolesi ha vissuto di fatto l'indicazione tripartita indicata da Bruno di Querfurt mettendola in atto secondo una pluralità di forme. Oggi pensiamo che la ricchezza di tale carisma possa essere vissuta secondo il carattere e la personalità di ciascun monaco, ma in tutti noi dovremo far maturare la dimensione eremitica della conoscenza di sé e dell'incontro interiore con Dio, il tratto della comunione nel saper accogliere col dialogo e la fraternità l'alterità dell'altro, e l'apertura a servire Dio, la Chiesa e gli uomini attraverso la pastorale dell'evangelizzazione.

Insieme con tutta la congregazione camaldolese, lei sta riflettendo sull'attualità della spiritualità benedettina camaldolese nella sua apertura al futuro.

Credo sia importante distinguere tra futuro e avvenire. Il futuro è il frutto dei nostri programmi e delle nostre aspettative; l'avvenire, invece, è da intendersi come il venire nuovo e sorprendente di Dio alle nostre comunità, alle nostre vite personali, alla Chiesa e alla storia di oggi. Spero che il monachesimo in generale, e quello camaldolese in particolare, sia capace di intercettare questo avvenire, e di tradurlo alla luce del Vangelo in esistenza e quotidianità concrete. Siamo a un bivio: da una parte, c'è la perdita di speranza causata dalla stanchezza, dalla delusione e dalla depressione che minano la nostra fede e la nostra società (specie qui in Europa); dall'altra, c'è il rischio di fermarci “qui” e “ora”, come se non ci fosse ulteriore strada da percorrere. Anzi, mi pare che, intuendo il nuovo che arriva, siamo tentati in tutti i campi (dalla politica all'economia, dalla cultura alla società, anche dentro la Chiesa stessa), a guardare indietro, a ciò che siamo stati e abbiamo conseguito (sperando di non fare la fine della moglie di Lot!), piuttosto che prepararci ai cambiamenti che si dovranno affrontare nei prossimi anni. Chi guarda al domani cercando di discernere cosa si sta preparando in Europa e negli Stati Uniti, in Cina, India e Africa (per richiamare gli scenari continentali più interessanti)? Ci rendiamo conto che l'Europa è chiamata sì a continuare i suoi rapporti con gli Stati Uniti, ma a divenire soprattutto l'interlocutrice della Cina? Una civiltà millenaria come quella cinese, proprio per la sua storia, può trovare solo nell'Europa la realtà culturale più corrispondente a se stessa. Credo che -- se non per scelta, almeno per necessità -- giungeremo alla costituzione della Comunità politica europea. Ma questa Europa nuova è tutta da costruire. Poi c'è l'area islamica, dall'Egitto all'Indonesia, attraversata dal virus del fanatismo religioso, finanziato da evidenti interessi politici. Questo fanatismo terroristico è già di per sé un progetto perdente, e non aiuterà i Paesi musulmani a partecipare alle trasformazioni in atto. I Paesi islamici riusciranno ad acquisire la democrazia e a praticarla? Non mi pare che a tutt'oggi la religione musulmana riesca ad accogliere il principio della libertà delle persone. Ritengo, inoltre, che nei prossimi due decenni assisteremo a novità sorprendenti in tanti settori della scienza e della tecnologia, novità che implicheranno un nuovo discorso morale e uno sguardo di comprensione differente rispetto a quello di oggi. Il cambiamento ci sorprenderà, non solo perché sarà più veloce rispetto a qualsiasi altro processo storico precedente, ma perché sarà sconvolgente sul piano del contenuto. La politica in Occidente inoltre diventerà sempre più pragmatica, disgiunta da una seria riflessione culturale. Assisteremo alla lotta tra forme diverse di capitalismo: parliamo già oggi di capitalismi differenti (da quello delle banche a quello della produzione e del lavoro, dal capitalismo del petrolio a quello della fusione nucleare o a quello dell'idrogeno e della green economy).

Le religioni saranno le voci critiche e di elaborazione per un discorso profondo di spiritualità da focalizzare a più livelli per il bene dell'umanità. Le Chiese cristiane si sentiranno chiamate a una maggiore collaborazione e a testimoniare una più grande unità. Ci sarà una competizione (speriamo pacifica) tra le fedi rispetto ai problemi che sorgeranno, e alla capacità delle loro risposte di essere significative e profetiche. Confrontandosi con le sfide di domani, alcune di loro (islamismo e induismo) attraverseranno una crisi ancor più profonda di quella attuale. Sarà difficile comprendere la società sempre più inter-connessa dei prossimi decenni: se la valuteremo solo come un esito del nostro futuro e dei poteri politico-economici contrastanti, ci sembrerà una società caratterizzata da grandi contraddizioni e da grandi tradimenti rispetto a idee, valori e progetti del Novecento. Se la guarderemo dal punto di vista dell'avvenire, vedremo l'avvio di tante parabole inedite e di molteplici scenari che non riusciremo sempre a comprendere con lo sguardo di oggi. Non dovremo lasciarci abbagliare dalla loro novità, ma saper intercettare quelle parabole che si costituiranno in proposte compiute, mentre tante altre avranno vita breve. In questo orizzonte il cristianesimo con i suoi valori evangelici (libertà, giustizia, pace, fraternità) avrà tanto da offrire. E se riuscirà a dialogare con il confucianesimo e il buddismo, continuerà a ispirare e forse anche a influenzare positivamente la storia che si aprirà davanti a noi. In questo quadro il monachesimo con la sua sapienza millenaria sarà di grande aiuto per la Chiesa dei prossimi decenni.

(L’intervista integrale sul sito de: L'Osservatore Romano 1° novembre 2012)

L'urgenza di una spiritualità creatrice.

Un interessante riflessione di Ignazio IV Hazim, patriarca ortodosso di Antiochia e vice presidente del Consiglio ecumenico delle chiese.
 
Voglio gridare l'urgenza di una spiritualità creatrice, la sola capace di scuotere il nichilismo dell'occidente, il suo freddo cinismo, e di rispondere alla fame di pane e di dignità di tanta parte dell'umanità. La contemplazione feconda l'azione, e l'azione la verifica. Sprofondare in Dio mediante l'adorazione significa incontrare il Dio-Trinità, il Dio-Amore che ci rinvia al servizio de­gli uomini. «Hai visto tuo fratello? Hai visto Dio!», dicevano gli antichi monaci.
Celebrare liturgicamente la vittoria di Cristo sull'in­ferno e sulla morte significa necessariamente lottare contro tutte le forme di inferno e di morte che devastano la cultura e la società. E contemplare il volto di Cristo significa comprendere che ogni uomo è un volto che esige da me responsabilità e rispetto incondizionato.
Abbiamo bisogno di santi, questi peccatori perdonati e riconoscenti, questi uomini della risurrezione, per­ché solo il santo testimonia pienamente la libertà e dif­fonde la luce. Abbiamo bisogno soprattutto di una santità dell'intelligenza, capace di illuminare tutta la complessità della vita mondiale, capace di aprire profe­ticamente le vie di un'umanità planetaria e trinitaria, unita e nel contempo rispettata nella sua molteplice di­versità.
Abbiamo bisogno di vere comunità in cui la comu­nione non sia una parola vuota, in cui gli uomini reimparino a respirare la bellezza, la condivisione, l' amicizia, per diventare più responsabili e più creativi nella storia. La Chiesa del duemila sarà senz'altro un'im­mensa diaspora di comunità liturgiche e profetiche che irradieranno, a proprio rischio, un amore creativo e liberatore in mezzo agli uomini.
Si ha talora la percezione che l'umanità oggi sia po­sta dinanzi a una scelta decisiva: o il suicidio nucleare, ecologico, la disintegrazione delle anime, dei corpi, delle società, le mostruosità genetiche, oppure il supe­ramento spirituale. È ai cristiani riunificati che spetta aprire le vie di questo superamento, in collaborazione con gli umanisti aperti e con i fedeli di altre religioni quando sanno vincere la tentazione dell'ideologia.
Di fronte alla minaccia di disintegrazione, la reinte­grazione delle comunità eucaristiche e degli uomini eu­caristici. Di fronte alla scienza e alla tecnica fine a se stesse, la finalità dell'uomo immagine di Dio e della terra-sacramento, segretamente penetrata dalla gloria del Risorto.

Ignazio IV Hazim, Nous unir dans la verité ... , pp. 15-16.

La vita spirituale.

Sintesi di alcune riflessioni per ripensare alla spiritualità come cuore di tutto il nostro essere.

SPIRITUALITA’ CRISTIANA:
  • è il cammino di ogni cristiano, il cammino dell’esistenza cristiana
  • guidata dallo Spirito del Padre e del Figlio.
  • ha inizio nel Battesimo,
  • porta alla relazione d’amore col Padre
  • attraverso l’incontro con Gesù, il risorto, l’uomo nuovo,
  • perché possiamo realizzare noi stessi come immagine e somiglianza di Dio (imago Dei) e figli suoi.
  • Lo scopo e la meta sono la santità, cioè la nostra realizzazione piena, la nostra “divinizzazione” attraverso la conformazione a Gesù, che si compie ‘già’ ora lungo il cammino della vita, ma ‘non ancora’ pienamente attuata e manifestata. Ciò avverrà solo nell’incontro definitivo con Lui, nella vita senza fine oltre la morte. (1Gv.3,1-3)

LA VITA SPIRITUALE CHIEDE:
  • L’atteggiamento di ricerca del Vero, del Buono, del Bello: ricerca di Colui che può dare pienezza alla nostra vita.
  • Una corretta conoscenza di sé e l’accettazione di quello che realmente siamo: creature segnate dal limite del peccato, dissomiglianti dall’imago Dei, tentate di essere autosufficienti.
  • L’adesione alla realtà (alla storia, al quotidiano, alle persone…) perché è in essa che si arriva all’incontro e alla conoscenza di Dio (Spiritualità non è evasione e fuga, ma autentica umanizzazione).
  • L’incontro personale e interiore con Dio, scoprendo la sua presenza proprio dentro la nostra vita fragile, debole, incerta, oscura, nel profondo del nostro “io interiore”.
  • Fare spazio a questa Presenza, attraverso la “purificazione del cuore”, diventando capaci di guardare con occhi nuovi se stessi, le proprie imperfezioni e debolezze, la realtà, liberandoci dalle tentazioni egoistiche che ci separano da Lui e dagli altri.
  • Il conformarci a Gesù, volto visibile del Dio invisibile, fatto uomo per rendere noi uomini figli di Dio, portando la nostra umanità alla divinizzazione, attuando ciò attraverso un’opera di conversione permanente,
  • fino ad arrivare, nella contemplazione, a gustare il Suo amore e viverlo, a vedere le cose, i fatti, la storia, le persone con lo sguardo stesso di Dio. (Romani cap.8)

LA VITA SPIRITUALE SI ATTUA:
  • Accogliendo e coltivando in noi i doni del Padre: fede- speranza- carità; doni che ci innestano, fin dal Battesimo, in Gesù e ci rendono capaci di essere nuove creature a immagine di Cristo nella vita secondo lo Spirito.
  • Con l’ascolto della Parola di Dio, sorgente della relazione d’amore con Lui (Alleanza) e strada fondamentale per accogliere in noi il Suo Spirito che ci guida alla comprensione della verità intera e alla conformazione a Gesù.
  • Con una  preghiera continua, personale e comunitaria (preghiera liturgica-eucaristia), quale ascolto-dialogo, relazione d’amore, memoria vitale della Presenza di Dio in noi, respiro del cuore.
  • Con la “purificazione del cuore”, attraverso un umile cammino di discernimento e di vigilanza che ci porta a conoscere noi stessi nella verità e ad accogliere Colui che è verità e luce dei nostri passi, esercitandoci (ascesi) a vivere nella carità che a Lui ci unisce e a tutti e a tutto ci apre (contemplazione).

LA VITA SPIRITUALE, CAMMINO PERMANENTE CHE SEGNA TUTTA L’ESISTENZA, PORTA:
  • alla accettazione di noi stessi e alla crescita integrale della nostra persona;
  • al realizzare in noi l’Imago Dei, l’uomo nuovo, che ha in Gesù il riferimento unico, il primogenito di molti fratelli.
  • alla santità, intesa come pienezza e realizzazione del nostro essere figli di Dio secondo la bellezza del disegno del Padre realizzato in Cristo e che ora può realizzarsi anche in noi attraverso l’azione del loro santo Spirito.

Cosa si intende per 'valori monastici'

Per fare chiarezza e riscoprire un cammino per tutti.

I cosiddetti valori monastici altro non sono che l’essenza stessa dell’essere cristiano, il DNA di ogni battezzato che voglia non solo dirsi, ma essere tale. Non sono dunque un optional per alcuni che ‘sentono richiami strani’… né un momento di oasi nel deserto, bensì sono il quotidiano stile di vita, ciò che ci caratterizza e qualifica in quanto cristiani, e questo prima ancora del ‘posto’ o del ‘ruolo’ che nella vita veniamo ad occupare.
Certo che occorre superare l’ambiguità che l’espressione ‘valori monastici’ spesso assume.
Con essa infatti siamo portati subito a pensare a una ‘vita altra’, separata, particolare, diversa e forse contrassegnata da una serie di rinunce che arrivano a farla sembrare poco ‘umana’. Qui sta lo sbaglio; facilitato anche dall’aver relegato i valori monastici dentro i monasteri e a persone che li hanno assunti in modo radicale come stile di vita. Di fatto invece questi valori sono quelli che veramente ci aiutano a umanizzarci fino alla vera consapevolezza del nostro io, aprendo la strada alla nostra piena realizzazione. Per questo essi sono di tutti e per tutti.
Riassumiamoli: la ricerca di Dio nella ricerca di sé stessi, attraverso il silenzio, la meditazione, l’ascolto che genera preghiera e apre all’amore fraterno, alla carità, facendo così del seguire Gesù la strada della nostra piena realizzazione. Se questi sono i cosiddetti valori monastici si tratta allora di valori essenziali per la riuscita di noi stessi. E anche l’espressione ‘valori monastici’ acquista il suo giusto significato: valori che ci conducono a diventare ‘monos’ (monaci), cioè unificati, capaci di realizzarci come persone nell’unità di mente, corpo, spirito e cuore; e solo di conseguenza questi valori portano ad essere “separati”, in quanto ‘non DEL mondo’ pur essendo NEL mondo e PER il mondo.
La sfida allora è aiutarci a comprendere questo e a viverlo nel quotidiano. Aiutare tutti, perché tutti sono interessati a questa riscoperta (uomo e donna, laici, preti, sposi, religiosi…). Per riuscirci credo sia necessario ‘far uscire’ questi valori dal recinto esclusivo del monastero (che tuttavia ha il pregio di conservarli vivi e di costantemente testimoniarli) per riproporli in modo nuovo e concreto alla gente comune e dentro la vita di ogni giorno.
E’ quanto con questa esperienza desidero tentare. Un’esperienza dunque che non vuole riprodurre la vita del monastero, ma permettere di scoprire e far vivere nella vita quotidiana quei valori che possono dare ad essa consapevolezza e pienezza e che dunque sono chiamati a diventare richiamo per tutti e scelte stabili di vita.
Per questo l’esperienza della Tenda di Mamre non vuole essere affatto una chiusura e una fuga dalla vita, bensì una ricerca aperta per far sì che la vita di ogni donna e uomo possa orientarsi verso la piena consapevolezza e realizzazione.

Una proposta di vita “monastica”: (monos = unificato)
perché “tutti siano una cosa sola”. In questo essere UNO sta lo specifico della vita monastica che ci si propone. Ma non tanto l’unità frutto della separazione dal mondo, quanto l’unità attraverso la comunione nel mondo e per il mondo. Quindi non la scelta della separazione, rinuncia del mondo e al mondo, bensì la scelta dell’’accogliere con’, della condivisione e assunzione del mondo, per generarlo all’unità, alla comunione.

“NEL mondo”:
secondo le parole di Gesù  in Gv. 17 “…sono nel mondo… non sono del mondo… io ho mandato loro nel mondo…”. E’ la scelta di essere NEL mondo senza essere DEL mondo e offrire in questo modo, nel quotidiano, la propria testimonianza di vita cristiana “perché il mondo creda…”.
Questo proprio attraverso la realizzazione personale e comunitaria di quei ‘valori monastici’ sopra descritti. Che altro non è che vivere la comune vocazione battesimale. Cosa che appare scontata, ma di fatto oggi bisognosa di essere recuperata e compresa, al fine di attuarsi concretamente nella vita di ogni cristiano.

“nella vita fraterna”:
secondo la consapevolezza che il vivere questi valori NEL mondo chiede la capacità di attuare unità non solo a livello personale, ma anche nella relazione tra uomo-donna che è alla base della struttura sociale. La vita fraterna che si propone vuole proprio rendere sperimentabile e nel contempo far intuire che i valori del vangelo e la sequela di Gesù per essere vissuti non chiedono ‘separazione’, bensì capacità di comunione, di fraternità, di equilibrato rapporto tra uomo e donna e dunque anche tra prete, religioso e donna. Per questo l’esperienza è aperta a una presenza mista e vuole testimoniare come questa comunione tra uomo e donna, vissuta sotto la guida dello Spirito, sia di reciproco aiuto e sostegno nella maturazione verso la pienezza e la realizzazione personale.

Una mediazione dell'esperienza monastica.


Uno degli obiettivi che ci stanno a cuore è offrire un approccio ai valori monastici, nella consapevolezza che sono valori perenni e fondamentali per la vita di ogni persona.
L’attualità della proposta di vita monastica oggi.

Occorre innanzitutto riconoscere la bellezza, l’importanza e l’attualità dell’esperienza monastica oggi. Non si tratta tanto della vita monastica legata alle sue antiche strutture, quanto piuttosto dei valori che da secoli questa esperienza ha consegnato alla storia e ancora oggi ha da offrire all’uomo contemporaneo. A dire il vero sono diversi coloro che mettono in rilievo come la tradizionale vita monastica abbia bisogno di rinnovarsi se vuole essere ancora capace di dare il suo contributo alla comunità degli uomini. Viene invece ad emergere il pullulare di nuovo forme di vita monastica o di vita di fraternità cristiana che, riproponendo i valori di fondo del monachesimo in forma e modalità nuove, non solo si diffondono un po’ ovunque, ma hanno anche un’incidenza più significativa e più diffusa lì dove la gente vive. Dalla vita monastica infatti ereditiamo una serie di valori antichi e sempre nuovi, che in particolare oggi è necessario riscoprire e vivere per la ‘salute’ dell’uomo contemporaneo. Faccio riferimento in particolare: al cammino di ricerca di Dio, al Suo primato nella vita, al vivere con in e per Cristo dando all’esistenza una concreta ‘svolta’ (conversio morum) per realizzarsi in pienezza come vita di figli; questo attraverso il silenzio, l’ascolto della Parola, la preghiera, l’accoglienza e la carità fraterna, la sobrietà e povertà di vita, il lavoro come custodia del creato e generatore di condivisione e giustizia, l’amore per il bello e per tutto ciò che vi è di autenticamente umano.  Come non riconoscere in questi valori un bisogno e un’esigenza dell’uomo di oggi sempre più disorientato da una vita frenetica, rumorosa, tesa al primeggiare e all’avere, ma che alla fine non lascia se non insoddisfazione, depressione, vuoto? Anche nelle nostre comunità cristiane poi corriamo il rischio di adeguarci a una vita tesa quasi tutta al fare, all’agire, alla ricerca di risultati perdendo di vista l’essenziale: il primato di Dio e della Sua Parola.

Il bisogno di una “mediazione”.

Necessita allora di ritornare ai valori autentici della vita cristiana trasmessi dalla ricca esperienza monastica, trovando tuttavia il modo di “mediare” tali valori al fine di permettere a tutti di incontrarli e di confrontarsi con essi. Oggi c’è sempre più gente che frequenta monasteri e conventi sia per passare le vacanze, sia per giornate di silenzio e di ricerca. Anche la stampa nazionale più volte ha evidenziato questo fenomeno in crescita. E’ un segnale del bisogno detto sopra. Tuttavia sono solo una minima parte coloro che hanno la possibilità di vivere queste esperienze; ma quanti altri hanno lo stesso desiderio senza poterlo realizzare. Non solo: anche chi ha vissuto qualche giorno in un monastero sente la necessità di poter continuare anche nel suo quotidiano la tensione verso quei valori ricercati, e non sempre trova questo nelle nostre comunità parrocchiali tutte indaffarate nell’organizzazione di mille iniziative e nell’attuazione di linee pastorali che a volte passano lontano dai bisogni veri e profondi delle persone. Si impone così questo bisogno di ‘mediazione’ intesa proprio come la possibilità di rendere i valori e l’esperienza monastica alla portata di tutti, di ogni battezzato, affinché possa vivere tutto ciò rimanendo semplicemente battezzato e impegnato nella sua vita secolare. Volendo non si tratta di una novità: già nella raccolta della Filocalia l’intento dei redattori era precisamente quello di proporre a tutti i cristiani quella ricerca spirituale che era confinata nei monasteri.
Oggi purtroppo questo bisogno di tanti, non trovando adeguate risposte nella comunità cristiana, sfocia nell’adesione a forme vaghe di pseudo spiritualità, nel new age se non nell’ingresso in gruppi che si rifanno alle più strane tradizioni orientali o addirittura in sette.
E’ dunque da vedere come segnale positivo il nascere di piccole comunità che si ispirano alla vita monastica e cercano di riproporne i valori lì dove la gente vive, nelle chiese locali, con esperienze accostabili non solo occasionalmente, bensì quotidianamente. Mi limito qui a riportare l’introduzione al libro di Mario Torcivia: “Guida alle nuove comunità monastiche italiane”.
Negli ultimi decenni del XX secolo sono sorte numerose realtà ecclesiali che, pur rifacendosi al carisma monastico, in verità hanno scelto di non far parte degli ordini tradizionali. Sobrietà di vita, presenza d’uomini e donne, inserimento pieno nella chiesa locale, spiccata sensibilità ecumenica, scelta del lavoro per provvedere al proprio sostentamento, dialogo con la cultura e la società contemporanee, accoglienza fraterna hanno fatto sì che questi luoghi divenissero un punto di riferimento per credenti e no. Sono, infatti, decine di migliaia le persone che, annualmente, decidono di trascorrere periodi di tempo presso queste comunità per vivere giornate di silenzio e preghiera e per partecipare a settimane bibliche e di spiritualità. Questa è la prima opera su queste nuove forme di vita monastica, le quali sebbene ancora giovani, rappresentano uno dei soggetti più espressivi del panorama ecclesiale italiano postconciliare.”

L’esperienza de “La Tenda di Mamre”.

Da quanto detto sopra si chiarisce il motivo che sta alla base dell’esperienza proposta. Si tratta di un’esperienza che si pone come ‘mediazione’ dello stile di vita monastico per renderlo accessibile a chiunque. Un’esperienza che mette alla sua base i valori fondanti lo stile di vita ereditato dal monachesimo pur attuandoli in una forma nuova dentro la chiesa locale. Un’esperienza che tuttavia non vuole essere indipendente dalla realtà monastica tradizionale, bensì trovare in essa il riferimento costante per una verifica e una permanente formazione che devono stare alla base dell’esperienza stessa.
“Nella notte della nostra barbarie tecnologica i monaci devono essere come alberi che silenziosamente esistono nell’oscurità e con la loro presenza vitale purifica l’aria”. (Thomas Merton, in “Un vivere alternativo” Ed. Qiqajon pag. 64). 

Il rapporto tra questa esperienza e la chiesa locale.

Perché tale esperienza svolga la sua funzione di ‘mediazione’ della vita monastica occorre che, oltre ad essere collegata a una comunità di monaci (nel nostro caso con la Congregazione Camaldolese), sia altresì radicata nel contesto della chiesa locale, nella Diocesi; questo con il riconoscimento del Vescovo e il rimanere ‘prete diocesano’ a servizio della Diocesi stessa.
Resta importante anche cogliere i motivi che fanno di questo rapporto un rapporto essenziale. L’espressione della vita monastica attraverso queste nuove esperienze nella chiesa locale è segno che il monachesimo è a pieno titolo nella chiesa in cui vive, perché sottolinea la radicalità degli elementi di fondo di cui la medesima deve vivere. Riporto un testo, che condivido e riprendo in toto, di un prete diocesano iniziatore di una nuova esperienza nella chiesa diocesana di Venezia, d. Giorgio Scatto: “Lo scopo della nostra particolare presenza nella chiesa è semplicemente quello tradizionale di sempre per la vita monastica, perseguito non in un Ordine esistente, ma al contrario in seno ad una comunità diocesana: di fatto un ritorno ad una situazione frequente in antico. Crediamo che la chiesa, per essere veramente tale, deve avere nel suo seno tutte le vocazioni e, per così dire, tutte le funzioni e quindi – fra gli altri – anche dei cristiani che testimoniano la continuità, nella chiesa locale in quanto tale, della vita di preghiera e di silenzio, in una comunione piena con il Vescovo, con i suoi fedeli, con i suoi santi e con i suoi morti. In questo quadro, storico concettuale, non ci proponiamo altro scopo che quello di vivere in comune, da cristiani, secondo il massimo di coerenza possibile… Nessuna fuga dal mondo… e neppure fuga dalla chiesa”.  Il patriarca Cè inoltre, nell’omelia in occasione dell’inizio di questa nuova esperienza così afferma: “Oggi non nasce nella chiesa di Venezia un nuovo ordine religioso, ma il presbiterio di questa chiesa si arricchisce di un nuovo dono…”. D. Giorgio poi aggiunge: “La scelta, poi, di una parrocchia (luogo dove vivere l’esperienza) manifesta ulteriormente la dimensione monastica dentro la realtà della gente comune. La sfida odierna, infatti, è per una spiritualità che sia significativa per l’uomo contemporaneo…”.
Una comunità monastica che vive in parrocchia lancia, così, la scommessa di un monachesimo popolare in cui non v’è più quel distacco, evidenziato anche dalla separatezza di luogo cercata dai monaci, tra questi ultimi e il popolo. 
La diocesanità di questa esperienza poi, oltre che agli aspetti detti sopra, è vissuta anche in altri modi. Ad esempio con l’offrirsi quale segno e luogo di preghiera e di contemplazione della Parola di Dio a disposizione di tutta la comunità diocesana, sia sacerdoti che laici; con il dare l’opportunità di trovare spazi di silenzio e di ascolto per quanti lo desiderano; con il mantenersi in contatto con la chiesa diocesana attraverso alcuni sacerdoti che più da vicino siano interessati e coinvolti nel cammino e nelle scelte di questa esperienza, realizzando così un anello di congiunzione effettivo con tutto il presbiterio locale… La presenza del monachesimo in una Chiesa locale dovrebbe essere silenzioso, ma eloquente richiamo ad una vita cristiana sempre più vera e viva” (Viktor J. Dammertz OSB vescovo emerito di Augsburg).

Strumenti e aiuti.

Alcune indicazioni per aiutarti a vivere ogni giorno la proposta della Tenda.

Per l’ascolto della Parola di Dio e il suo studio e approfondimento:
si pone come fondamentale lo strumento della lectio divina, da assimilare sempre più come metodo e da vivere ogni giorno con un congruo tempo ad essa dedicato. Essa potrà orientarsi o sulla Parola della liturgia dle giorno e su una lettura continuativa del testo biblico.
“Il sole che si leva ti trovi sempre con il Libro in mano” (san Girolamo)

Per una preghiera, personale e comune, vissuta in un clima di silenzio che caratterizzi la vita di tutta la giornata:
si tratta di imparare a vivere in essa come un pesce nell’acqua, facendo della preghiera il respiro di tutta la giornata;
per questo è innanzitutto di grande aiuto il silenzio come clima esteriore e interiore che facilita l’ascolto e la preghiera: esso deve essere ricercato e voluto in ogni ambiente  e momento della giornata e richiesto anche ad eventuali ospiti (escluso il momento del pranzo); per la preghiera poi può essere di aiuto l’approfondimento della Preghiera di Gesù o preghiera del cuore secondo l’insegnamento della Filocalia, come pure utile torna la memorizzazione e la ripetizione di semplici passi biblici meditati nella lectio.
“In ciascuno di noi abitano un eremita e un cenobita. Di più, in ogni cenobita vive un eremita e in ogni eremita batte un cuore di cenobita. L’uno e l’altro ci dicono qualcosa di essenziale sulla preghiera. L’eremita ci insegna a pregare incessantemente. La preghiera continua va di pari passo con l’azione dello Spirito santo in noi, come dice in maniera incomparabile Paolo in Rm 8,26, e come dice anche Isacco il Siro: “Chi porta in sé lo Spirito di Dio e gli offre ospitalità nel proprio cuore e nel proprio spirito diviene tempio dello Spirito santo. Mangi, dorma o vegli, la preghiera gli aderisce all’anima. I semplici movimenti del suo spirito purificato sono altrettante voci silenziose che nel segreto fanno salire verso l’Invisibile la loro salmodia.”
Il cenobita, dal canto suo, ci insegna a pregare giorno dopo giorno a ore fisse. È così che l’orante si integra nella comunione universale, il popolo radunato dalla parola di Dio, l’unico corpo di Cristo.” (dal libro)

Per vivere la carità, espressa in una vita sobria, essenziale e condivisa fraternamente:
fondamentale strumento per vivere questo aspetto sono i due punti precedenti: dall’ascolto della Parola e dalla preghiera veniamo resi capaci di accogliere la carità di Dio, contempliamo in Cristo la sua attuazione e veniamo trasformati interiormente dallo Spirito per diventare sempre più capaci di essere lo specchio di questa carità.
Da qui devono allora derivare due modi di attuarla: vivere e manifestare l’amore verso Dio nella sua totalità (con tutto il cuore…) e vivere e manifestare l’amore al prossimo allenandosi a “vedere “ Lui negli altri e ad “amare  come Lui” gli altri… Inoltre a questo ci si deve aiutare attraverso:
- l’offerta quotidiana della vita e delle preghiera per le necessità e i bisogni degli altri e del mondo (intercessione).
- la condivisione del tempo e dei beni con gli altri, vicini e lontani.
- un’accoglienza dell’altro senza pregiudizi (vedere Gesù) e una capacità di ascolto attento dell’altro.