Sagrato della Basilica di San Pietro - Venerdì, 27
marzo 2020
Dal Vangelo
secondo Marco (4,35-41)
35In quel medesimo
giorno, venuta la sera, disse loro: «Passiamo all'altra riva». 36E,
congedata la folla, lo presero con sé, così com'era, nella barca. C'erano anche
altre barche con lui. 37Ci fu una grande tempesta di vento e le onde
si rovesciavano nella barca, tanto che ormai era piena. 38Egli se ne
stava a poppa, sul cuscino, e dormiva. Allora lo svegliarono e gli dissero:
«Maestro, non t'importa che siamo perduti?». 39Si destò, minacciò il
vento e disse al mare: «Taci, calmati!». Il vento cessò e ci fu grande
bonaccia. 40Poi disse loro: «Perché avete paura? Non avete ancora
fede?». 41E furono presi da grande timore e si dicevano l'un
l'altro: «Chi è dunque costui, che anche il vento e il mare gli obbediscono?».
«Venuta la sera» (Mc 4,35). Così inizia il Vangelo che abbiamo
ascoltato. Da settimane sembra che sia scesa la sera. Fitte tenebre si sono
addensate sulle nostre piazze, strade e città; si sono impadronite delle nostre
vite riempiendo tutto di un silenzio assordante e di un vuoto desolante, che
paralizza ogni cosa al suo passaggio: si sente nell’aria, si avverte nei gesti,
lo dicono gli sguardi. Ci siamo trovati impauriti e smarriti. Come i discepoli
del Vangelo siamo stati presi alla sprovvista da una tempesta inaspettata e
furiosa. Ci siamo resi conto di trovarci sulla stessa barca, tutti fragili e
disorientati, ma nello stesso tempo importanti e necessari, tutti chiamati a
remare insieme, tutti bisognosi di confortarci a vicenda. Su questa barca… ci
siamo tutti. Come quei discepoli, che parlano a una sola voce e nell’angoscia
dicono: «Siamo perduti» (v. 38), così anche noi ci siamo accorti che non
possiamo andare avanti ciascuno per conto suo, ma solo insieme.
È facile ritrovarci in questo racconto. Quello che risulta difficile è
capire l’atteggiamento di Gesù. Mentre i discepoli sono naturalmente allarmati
e disperati, Egli sta a poppa, proprio nella parte della barca che per prima va
a fondo. E che cosa fa? Nonostante il trambusto, dorme sereno, fiducioso nel
Padre – è l’unica volta in cui nel Vangelo vediamo Gesù che dorme –. Quando poi
viene svegliato, dopo aver calmato il vento e le acque, si rivolge ai discepoli
in tono di rimprovero: «Perché avete paura? Non avete ancora fede?» (v. 40).
Cerchiamo di comprendere. In che cosa consiste la mancanza di fede dei
discepoli, che si contrappone alla fiducia di Gesù? Essi non avevano smesso di
credere in Lui, infatti lo invocano. Ma vediamo come lo invocano: «Maestro, non
t’importa che siamo perduti?» (v. 38). Non t’importa: pensano che Gesù
si disinteressi di loro, che non si curi di loro. Tra di noi, nelle nostre
famiglie, una delle cose che fa più male è quando ci sentiamo dire: “Non
t’importa di me?”. È una frase che ferisce e scatena tempeste nel cuore. Avrà
scosso anche Gesù. Perché a nessuno più che a Lui importa di noi. Infatti, una
volta invocato, salva i suoi discepoli sfiduciati.
La tempesta smaschera la nostra vulnerabilità e lascia scoperte quelle
false e superflue sicurezze con cui abbiamo costruito le nostre agende, i
nostri progetti, le nostre abitudini e priorità. Ci dimostra come abbiamo
lasciato addormentato e abbandonato ciò che alimenta, sostiene e dà forza alla
nostra vita e alla nostra comunità. La tempesta pone allo scoperto tutti i
propositi di “imballare” e dimenticare ciò che ha nutrito l’anima dei nostri
popoli; tutti quei tentativi di anestetizzare con abitudini apparentemente
“salvatrici”, incapaci di fare appello alle nostre radici e di evocare la
memoria dei nostri anziani, privandoci così dell’immunità necessaria per far
fronte all’avversità.
Con la tempesta, è caduto il trucco di quegli stereotipi con cui
mascheravamo i nostri “ego” sempre preoccupati della propria immagine; ed è
rimasta scoperta, ancora una volta, quella (benedetta) appartenenza comune alla
quale non possiamo sottrarci: l’appartenenza come fratelli.
«Perché avete paura? Non avete ancora fede?». Signore, la tua Parola
stasera ci colpisce e ci riguarda, tutti. In questo nostro mondo, che Tu ami
più di noi, siamo andati avanti a tutta velocità, sentendoci forti e capaci in
tutto. Avidi di guadagno, ci siamo lasciati assorbire dalle cose e frastornare
dalla fretta. Non ci siamo fermati davanti ai tuoi richiami, non ci siamo
ridestati di fronte a guerre e ingiustizie planetarie, non abbiamo ascoltato il
grido dei poveri, e del nostro pianeta gravemente malato. Abbiamo proseguito
imperterriti, pensando di rimanere sempre sani in un mondo malato. Ora, mentre
stiamo in mare agitato, ti imploriamo: “Svegliati Signore!”.
«Perché avete paura? Non avete ancora fede?». Signore, ci rivolgi un
appello, un appello alla fede. Che non è tanto credere che Tu esista, ma venire
a Te e fidarsi di Te. In questa Quaresima risuona il tuo appello urgente:
“Convertitevi”, «ritornate a me con tutto il cuore» (Gl 2,12). Ci chiami
a cogliere questo tempo di prova come un tempo di scelta. Non è il tempo
del tuo giudizio, ma del nostro giudizio: il tempo di scegliere che cosa conta
e che cosa passa, di separare ciò che è necessario da ciò che non lo è. È il
tempo di reimpostare la rotta della vita verso di Te, Signore, e verso gli
altri. E possiamo guardare a tanti compagni di viaggio esemplari, che, nella
paura, hanno reagito donando la propria vita. È la forza operante dello Spirito
riversata e plasmata in coraggiose e generose dedizioni. È la vita dello
Spirito capace di riscattare, di valorizzare e di mostrare come le nostre vite
sono tessute e sostenute da persone comuni – solitamente dimenticate – che non
compaiono nei titoli dei giornali e delle riviste né nelle grandi passerelle
dell’ultimo show ma, senza dubbio, stanno scrivendo oggi gli avvenimenti
decisivi della nostra storia: medici, infermiere e infermieri, addetti dei
supermercati, addetti alle pulizie, badanti, trasportatori, forze dell’ordine,
volontari, sacerdoti, religiose e tanti ma tanti altri che hanno compreso che
nessuno si salva da solo. Davanti alla sofferenza, dove si misura il vero
sviluppo dei nostri popoli, scopriamo e sperimentiamo la preghiera sacerdotale
di Gesù: «che tutti siano una cosa sola» (Gv 17,21). Quanta gente
esercita ogni giorno pazienza e infonde speranza, avendo cura di non seminare
panico ma corresponsabilità. Quanti padri, madri, nonni e nonne, insegnanti
mostrano ai nostri bambini, con gesti piccoli e quotidiani, come affrontare e
attraversare una crisi riadattando abitudini, alzando gli sguardi e stimolando
la preghiera. Quante persone pregano, offrono e intercedono per il bene di
tutti. La preghiera e il servizio silenzioso: sono le nostre armi vincenti.
«Perché avete paura? Non avete ancora fede?». L’inizio della fede è
saperci bisognosi di salvezza. Non siamo autosufficienti, da soli; da soli
affondiamo: abbiamo bisogno del Signore come gli antichi naviganti delle
stelle. Invitiamo Gesù nelle barche delle nostre vite. Consegniamogli le nostre
paure, perché Lui le vinca. Come i discepoli sperimenteremo che, con Lui a
bordo, non si fa naufragio. Perché questa è la forza di Dio: volgere al bene
tutto quello che ci capita, anche le cose brutte. Egli porta il sereno nelle
nostre tempeste, perché con Dio la vita non muore mai.
Il Signore ci interpella e, in mezzo alla nostra tempesta, ci invita a
risvegliare e attivare la solidarietà e la speranza capaci di dare solidità,
sostegno e significato a queste ore in cui tutto sembra naufragare. Il Signore
si risveglia per risvegliare e ravvivare la nostra fede pasquale. Abbiamo
un’ancora: nella sua croce siamo stati salvati. Abbiamo un timone: nella sua
croce siamo stati riscattati. Abbiamo una speranza: nella sua croce siamo stati
risanati e abbracciati affinché niente e nessuno ci separi dal suo amore
redentore. In mezzo all’isolamento nel quale stiamo patendo la mancanza degli
affetti e degli incontri, sperimentando la mancanza di tante cose, ascoltiamo
ancora una volta l’annuncio che ci salva: è risorto e vive accanto a noi. Il
Signore ci interpella dalla sua croce a ritrovare la vita che ci attende, a
guardare verso coloro che ci reclamano, a rafforzare, riconoscere e incentivare
la grazia che ci abita. Non spegniamo la fiammella smorta (cfr Is 42,3),
che mai si ammala, e lasciamo che riaccenda la speranza.
Abbracciare la sua croce significa trovare il coraggio di abbracciare tutte
le contrarietà del tempo presente, abbandonando per un momento il nostro
affanno di onnipotenza e di possesso per dare spazio alla creatività che solo
lo Spirito è capace di suscitare. Significa trovare il coraggio di aprire spazi
dove tutti possano sentirsi chiamati e permettere nuove forme di ospitalità, di
fraternità, di solidarietà. Nella sua croce siamo stati salvati per accogliere
la speranza e lasciare che sia essa a rafforzare e sostenere tutte le misure e
le strade possibili che ci possono aiutare a custodirci e custodire.
Abbracciare il Signore per abbracciare la speranza: ecco la forza della fede,
che libera dalla paura e dà speranza.
«Perché avete paura? Non avete ancora fede?». Cari fratelli e
sorelle, da questo luogo, che racconta la fede rocciosa di Pietro, stasera
vorrei affidarvi tutti al Signore, per l’intercessione della Madonna, salute
del suo popolo, stella del mare in tempesta. Da questo colonnato che abbraccia
Roma e il mondo scenda su di voi, come un abbraccio consolante, la benedizione
di Dio. Signore, benedici il mondo, dona salute ai corpi e conforto ai cuori.
Ci chiedi di non avere paura. Ma la nostra fede è debole e siamo timorosi. Però
Tu, Signore, non lasciarci in balia della tempesta. Ripeti ancora: «Voi non
abbiate paura» (Mt 28,5). E noi, insieme a Pietro, “gettiamo in Te ogni
preoccupazione, perché Tu hai cura di noi” (cfr 1 Pt 5,7).
papa Francesco