A pochi giorni dal
Natale di Gesù, la Parola di Dio ci chiama allo stupore, alla meraviglia. Colui
che contiene in sé l’universo intero e che è creatore di ogni cosa, energia che
a tutto da vita, ha deciso di venire in mezzo a noi. Questo è a dir poco grandioso.
Ma la cosa ancor
più impensabile è che per venire in mezzo a noi non sceglie ciò che è sublime,
grande, perfetto, pur nei limiti dell’umano; no. Sceglie ciò che è piccolo,
povero, chi non si impone, chi non conta. “E
tu Betlemme, così piccola… da te uscirà per me colui che deve essere il
dominatore”. Due donne: Maria,
Elisabetta. Sconosciute. Una ancora vergine, l’altra sterile e anziana. Qui,
il Dio infinito sceglie di manifestarsi.
Ma questa
manifestazione si fa ancor più sorprendente.
Infatti poteva
manifestarsi in loro con segni particolarmente prodigiosi o anche solo in modo
puramente spirituale: un messaggio, una rivelazione… No. La scelta è quella del
corpo.
E’ l’immagine che
torna in tutte le letture. “Partorirà
colei che deve partorire” dice il profeta. Nel vangelo è un canto di grembi
che danzano, di bambini che sussultano di gioia, di donne incinte. E infine la
lettera agli Ebrei afferma: “un corpo mi
hai preparato… ecco io vengo per fare, o Dio, la tua volontà”.
Ecco compiersi
l’inaudito: il Dio dell’universo sceglie come luogo, spazio per la sua presenza
tra noi un corpo, il corpo.
La salvezza ci
raggiunge “nel corpo” prima che
nell’anima. Il corpo è il luogo dell’adempimento della volontà di Dio: “un corpo mi hai preparato… ecco io vengo
per fare, o Dio, la tua volontà”.
E questa volontà
non è altro che il vivere fino in fondo il nostro corpo, la nostra umanità,
perché la salvezza si gioca e si compie nella relazione con l’altro,
nell’incontro. Questa la via scelta da Dio e rivelata a noi attraverso Maria
nel suo incontrarsi con Elisabetta.
Maria accoglie
nel suo corpo vergine il Dio che si fa carne e si sente spinta a mettersi in
viaggio per portare ad altri questa presenza inspiegabile. “Si alzò e andò in fretta”. Un corpo che si mette in movimento
per andare a portare, a far toccare con mano, ad altri, che siamo abitati da
Dio.
E questo avviene
nell’incontro, descritto in modo delicato e splendido da Luca. Un incontro che
si apre con un saluto: “salutò
Elisabetta. Appena Elisabetta ebbe udito il saluto di Maria, il bambino
sussulto nel suo grembo”. Si scopre anche lei abitata da Dio, dalla Vita; “fu colmata di Spirito Santo”. Basta un
saluto perché l’altro si senta abitato, amato da Dio. Salutare è donare
salvezza.
Saluto e salvezza
sono parole che si richiamano; hanno una radice comune. Il saluto di Maria
diventa saluto di salvezza; una salvezza che pervade il corpo e l’anima di
Elisabetta, così come prima ha pervaso il corpo e l’anima di Maria davanti al
saluto dell’angelo.
Tutto ciò, per
ricordarci che il Natale è la festa della concretezza e non tanto o solo dei
buoni sentimenti, della poesia, o peggio festa di favole, di panettoni e
regali...
La concretezza di
un Dio che prende carne e fa della carne lo spazio della salvezza. Fa
dell’incontro con gli altri il luogo dove si rende presente il suo amore che ci
salva.
Celebrare il
Natale dunque deve mettere in gioco tutto noi stessi a partire dal nostro corpo
che è chiamato a diventare lo spazio concreto dove Dio continua oggi a farsi
presente.
Il vero presepe
siamo ciascuno di noi. Abitati da Cristo, in modo simile a Maria, per diventare
portatori di Lui a chiunque incontriamo.
Perché questo
avvenga è indispensabile che si crei in noi lo spazio adatto, attraverso il
nostro farci e riconoscerci piccoli, bisognosi di Lui e in particolare
attraverso l’ascolto della Sua Parola.
“Beata colei che ha creduto nell’adempimento di ciò
che il Signore le ha detto”: è la prima delle
beatitudini del vangelo.
Maria crede perché
ascolta. E ascoltando permette alla Parola di prendere carne nel suo corpo. In
lei vediamo l’immagine di ciò che ogni credente è chiamato a vivere: generare
in noi Gesù attraverso l’ascolto della Parola e con la concretezza della nostra
vita, con il nostro corpo, con tutto noi stessi portarlo agli altri attraverso
la gioia dell’incontro, la capacità dell’accoglienza reciproca, l’abbraccio che
scaturisce dal perdono, il gesto di servizio concreto che genera solidarietà e
fraternità.
E perché no?
attraverso anche il semplice saluto.
In questi giorni
chissà quanti ‘buon Natale’ ci scambieremo. Ma che senso hanno? Facciamo
diventare questi saluti, saluti di salvezza. Un augurio di benedizione, di
pace, di gioia; saluto che dice: ‘possa abitare anche in te quel Dio che è la
nostra gioia e la nostra vita’. Saluto che
manifesta volontà di accoglienza, desiderio di fraternità, disponibilità ad
aiutarci.
Anche noi come Maria
facciamo sentire agli altri quella vita più grande che portiamo in noi: la
presenza di Gesù che non aspetta altro di trovare spazio nel nostro corpo e di
poter raggiungere, attraverso la nostra vita, la vita di quanti incontriamo
Nessun commento:
Posta un commento