Riportiamo una riflessione di E.Ronchi tratta dal quotidiano "Avvenire".
In questa settimana santa, il ritmo
dell'anno liturgico rallenta: sono i giorni del nostro destino e sembrano
venirci incontro piano, ad uno ad uno, ognuno generoso di segni, di simboli, di
luce. La cosa più bella che possiamo fare è sostare accanto alla santità delle
lacrime, presso le infinite croci del mondo dove Cristo è ancora crocifisso nei
suoi fratelli. E deporre sull'altare di questa liturgia qualcosa di nostro:
condivisione, conforto, consolazione, una lacrima. E l'infinita passione per
l'esistente.
«Salva te stesso, scendi dalla
croce, allora crederemo». Qualsiasi uomo, qualsiasi re, potendolo, scenderebbe
dalla croce. Gesù, no.
Solo un Dio non scende dal legno,
solo il nostro Dio. Perché il Dio di Gesù è differente: è il Dio che entra
nella tragedia umana, entra nella morte perché là è risucchiato ogni suo
figlio.
Sale sulla croce per essere con me e
come me, perché io possa essere con lui e come lui. Essere in croce è ciò che
Dio, nel suo amore, deve all'uomo che è in croce. Perché l'amore conosce molti
doveri, ma il primo di questi è di essere con l'amato, unito, stretto,
incollato a lui, per poi trascinarlo fuori con sé nel mattino di Pasqua.
Qualsiasi altro gesto ci avrebbe
confermato in una falsa idea di Dio. Solo la croce toglie ogni dubbio. La croce
è l'abisso dove Dio diviene l'amante. Dove un amore eterno penetra nel tempo
come una goccia di fuoco, e divampa.
L'ha capito per primo un estraneo,
un soldato esperto di morte, un centurione pagano che formula il primo credo
cristiano: costui era figlio di Dio. Che cosa ha visto in quella morte da
restarne conquistato? Non ci sono miracoli, non si intravvedono risurrezioni.
L'uomo di guerra ha visto il capovolgimento del mondo, di un mondo dove la
vittoria è sempre stata del più forte, del più armato, del più spietato. Ha
visto il supremo potere di Dio, del suo disarmato amore; che è quello di dare
la vita anche a chi dà la morte; il potere di servire non di asservire; di
vincere la violenza, ma prendendola su di sé.
Ha visto sulla collina che questo mondo porta un altro mondo nel grembo, un altro modo di essere uomini.
Ha visto sulla collina che questo mondo porta un altro mondo nel grembo, un altro modo di essere uomini.
Come quell'uomo esperto di morte,
anche noi, disorientati e affascinati, sentiamo che nella Croce c'è attrazione,
e seduzione e bellezza e vita. La suprema bellezza della storia è quella
accaduta fuori Gerusalemme, sulla collina, dove il Figlio di Dio si lascia
inchiodare, povero e nudo, per morire d'amore.
La nostra fede poggia sulla cosa più
bella del mondo: un atto d'amore. Bello è chi ama, bellissimo chi ama fino
all'estremo. La mia fede poggia su di un atto d'amore perfetto.
E Pasqua mi assicura che un amore
così non può andare deluso.
(Letture: Isaia 50,4-7; Salmo 21;
Filippesi 2,6-11; Marco 14,1-15,47).
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