Sulla scia del successo ecco che Pietro ci
riprova; la prima volta – ricordate il vangelo di domenica scorsa? – aveva
risposto bene a Gesù (“Tu sei il Cristo,
il Figlio del Dio vivente”). Ora dunque non teme di prendere la parola,
anzi “lo prese in disparte e si mise a
rimproverarlo”, dice il testo di oggi (continuazione del brano di domenica).
Ma stavolta Pietro non riceve elogi e
riconoscimenti. Tutt’altro: se prima Gesù gli cambiò nome e vita, ora lo chiama
Satana e lo allontana da sé “Và dietro a
me Satana”. A dire il vero Pietro era mosso da tanto
amore per Gesù: non voleva affatto vederlo soffrire e poi morire; pensando a
Lui come Messia non accettava la sconfitta della croce, della morte. Gesù aveva
infatti dato per la prima volta, con chiarezza, l’annuncio della sua passione: “cominciò a spiegare ai suoi discepoli che
doveva andare a Gerusalemme e soffrire molto…”. Davanti a questa
prospettiva Pietro interviene: “Questo
non ti accadrà mai!”. Quasi a insegnargli cosa deve fare: si fa maestro del
Maestro, con la pretesa di insegnare a Dio cosa è giusto, gli si pone davanti
per indicargli la strada da seguire, ovviamente secondo i suoi calcoli umani.
Diventa così ostacolo, scandalo, proprio perché “non pensi secondo Dio, ma secondo gli uomini”.
Oggi Gesù viene a dire, a Pietro, ai
discepoli, a noi che non poche volte abbiamo la stessa arroganza di Pietro, che
non dobbiamo avere la pretesa di insegnare a Dio, e ci invita ad avere l’umiltà
di imparare da Lui, mettendoci alla sua sequela, accettando di camminare dietro
a Lui e di vivere come Lui.
Per due volte Gesù dice: “dietro a me”: a Pietro: “Và dietro a me”, e ai discepoli: “se qualcuno vuol venire dietro a me…”.
Dietro a Gesù è il posto del discepolo per
imparare da lui a fare della vita un dono offerto e non una proprietà da
difendere e trattenere solo per sé, perché “chi
vorrà salvare la propria vita, la perderà; ma chi perderà (donerà) la propria vita per causa mia la troverà”.
E’ questo il cambio di prospettiva
richiesto; il passare da pensare “secondo
gli uomini”, al pensare “secondo
Dio”. Gli uomini pensano secondo una logica di potere, di dominio (e così
immaginavano il Messia). Dio invece ha pensieri di amore, di servizio, di dono.
E il discepolo è chiamato a farli suoi: “rinneghi
se stesso”; non vuol dire disprezzo per la propria vita, bensì la capacità di ri-orientarla secondo una
logica nuova, secondo la logica di Dio. Si rinnega l’io umano e terreno che ci
chiude in noi stessi, in una ricerca egoistica della nostra realizzazione, per
aprirci a un io nuovo che ci apre alla novità di Dio, ai suoi pensieri, al suo
modo si essere e di agire.
Arrivando così a sperimentare che in Dio il
nostro io interiore si scopre esaltato, realizzato, addirittura divinizzato! E’
un perdere per ritrovarsi, per
guadagnare veramente se stessi. “Infatti
quale vantaggio avrà un uomo se guadagnerà il mondo intero, ma perderà
(fallirà) la propria vita?”.
E realizzare il proprio io, la propria vita
si attua, secondo Gesù attraverso il “prenda
la sua croce e mi segua”. Che sta a significare: il saper prendere,
assumere, l’ amore come capacità di farsi dono e di servire; il vivere nella
carità che si offre senza misura; l’accettare di non essere capiti, di subire
incomprensione e disprezzo.
Come Gesù.
Perché solo vivendo come Gesù la vita
arriva a trovare tutta la sua pienezza di realizzazione, proprio perché è vita
donata per amore e non trattenuta per orgoglio e desiderio di potere.
Non per nulla al rinnegare e perdere si sovrappongono e sostituiscono altri verbi: trovare, salvare. A questo ci porta Gesù
se sappiamo stargli dietro, se lo seguiamo con fiducia senza la pretesa di
essere noi a stabilire ciò che è giusto che lui faccia ci conduce non a ‘una
vita meno vita’ fatta solo di rinunce, bensì alla ‘vita-vita’, fatta di gioia e
di crescente pienezza di senso e di scelte.
E in questo nuovo modo di essere sta il
vero culto; quello che Paolo nella seconda lettura chiama “culto spirituale”: “offrire i vostri corpi (cioè tutta la nostra
persona e vita) come sacrificio vivente”,
come dono d’amore. Questo è il culto cristiano: “non conformatevi a questo mondo, ma lasciandoci trasformare rinnovando
il nostro modo di pensare, per poter discernere la volontà di Dio, ciò che è
buono, a Lui gradito e perfetto”.
Il cristiano dunque, così rinnovato nella
mente e nel cuore, è colui che è sedotto dall’Amore, sta dietro all’Amore, vive
con questo fuoco dentro, come il profeta Geremia e trova in questo fuoco la
forza anche per far fronte alle sue debolezze e crisi: “non penserò più a Lui… ma nel mio cuore c’era come un fuoco ardente”.
Noi cristiani, pur in mezzo a tante fatiche
e difficoltà, dobbiamo tornare a sentire il Signore come passione, a lasciarci
bruciare dentro dalla sua Parola e così seguirlo, giorno dopo giorno, compiendo
scelte che hanno la misura dei pensieri di Dio e non dei nostri limitati
calcoli umani. Solo così il Signore ci “renderà secondo le nostre azioni” e la nostra vita non sarà affatto
persa, ma pienamente realizzata a immagine di Colui che è per sempre il Vivente.
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