Non
possono passare inosservate le parole, cariche di forza, pronunciate da Paolo e
ascoltate nella seconda lettura: “vi dico
e vi scongiuro…”. Sono rivolte a cristiani che, pur agli inizi della
diffusione del vangelo, con facilità ne annacquavano la sua forza e novità,
tornando a vivere in modo pagano, potremmo dire con il piede in due scarpe:
cristiani, ma che si comportano spesso e volentieri come i pagani. L’invito
è chiaro: “non comportatevi più come i
pagani con i loro vani pensieri”. Di conseguenza l’appello ad “abbandonare l’uomo vecchio…, a rinnovarvi
nello spirito della vostra mente e a rivestire l’uomo nuovo”.
“Uomo vecchio, uomo
nuovo”. La
Parola ascoltata ci aiuta a delineare meglio chi sia l’uno e chi l’altro, il
vecchio e il nuovo.
Già
nella prima lettura che ci riporta al cammino del popolo nel deserto verso la
terra promessa, dopo la schiavitù in Egitto, possiamo cogliere un aspetto
tipico, ancora oggi attuale di chi sia l’uomo vecchio.
Viene
definito con un verbo: mormorare. “Nel
deserto tutta la comunità degli Israeliti mormorò…”. L’uomo vecchio è
innanzitutto il mormoratore, colui che si lamenta con Dio e con tutti, non si
fida; arriva persino a preferire la schiavitù cui era sottoposto alla fatica di
tendere alla libertà.
Anche
nel brano di vangelo si delinea la figura dell’uomo vecchio. Lo vediamo
descritta nell’atteggiamento della folla che si accontenta dei desideri più
elementari: pane da mangiare e pancia piena. Non che si tratti di desideri
sbagliati, anzi! Ma se il vivere si riduce a questo, ci si ritrova vecchi,
senza sogni e progetti, e soprattutto terribilmente chiusi su se stessi e
sempre a caccia di chi può darci ciò che desideriamo, di chi può soddisfare i
nostri bisogni più bassi.
Ecco
perché Gesù stimola la folla, che lo cerca certo ma non sa esattamente cosa
vuole, anzi sembra cercarlo solo perché ha mangiato gratis i pani. Gesù li
spinge a una ricerca di novità, di altro: “Voi
mi cercate perché avete mangiato di quei pani e vi siete saziati…”
Gesù
provoca, invita a passare dai desideri, pur legittimi, di cui la nostra vita è
colma, a qualcosa di più grande: “Datevi
da fare non per il cibo che non dura, ma per il cibo che rimane per la vita
eterna”.
Quanto
vale anche per noi questo richiamo, questa provocazione.
A
volte cadiamo in una vita che ha più del pagano che del cristiano, dove la
tensione è rivolta solo ed esclusivamente a cose buone, ma esclusivamente
terrene. A volte poi rischiamo di cadere anche in una idea errata di Dio
stesso: un Dio mago che deve risolverci tutti i problemi, che deve portarci
fortuna, magari farci vincere al lotto o quanto meno non farci mancare nulla di
quello che vogliamo… E’ il dio dei pagani, non certo il Dio rivelato da Gesù
che, come Padre indubbiamente si prende cura di noi, così come ha fatto anche
con il popolo nel deserto, non facendo mancare loro la manna lungo il cammino,
ma che ci considera figli e come tali vuole che viviamo con responsabilità le
nostre scelte e cerchiamo soprattutto ciò che ci permette di essere e vivere
come figli suoi.
“Che cosa dobbiamo
compiere
– allora – per fare le opere di Dio?”.
E’
la domanda che nasce sulla bocca di quella gente che si sente interpellata e
provocata da Gesù. Il suo invito viene subito interpretato come un fare
qualcosa. “Che cosa dobbiamo fare”.
Ieri
come oggi pensiamo che tutto sia questione di fare, che tutto possa risolversi
con il fare. Viviamo quasi angosciati dal fare, dal produrre, dall’ottenere
risultati… Cosa dobbiamo fare allora per essere uomini nuovi e non vecchi?
Ma
Gesù ancora una volta delude. L’unica
cosa da fare è non fare, sembra voler dire con la sua risposta. “Questa è l’opera di Dio: che crediate in
colui che egli ha mandato”. Questo occorre ed è urgente.
Questo
solo può saziare la nostra fame, dare giusto ordine e orientamento ai nostri
desideri. Credere. Che vuol dire: lasciarsi fare. Lasciarsi amare da Dio, quel
Dio che ha nutrito di manna il popolo e che ora, oggi continua a nutrire anche
noi con quel “pane vivo” che è il suo
stesso Figlio dato a noi per amore.
Credere
è l’opera che ci è chiesta. Credere è il vero fare. E’ ciò che può dare allora
senso e valore a tutto ciò che poi anche operativamente faremo; se questo manca
anche il fare si svuota di significato e valore.
Questo
credere, vera opera che ci è chiesta, non è altro che accogliere Gesù, pane
vivo che sazia la nostra fame. L’immagine è significativa: Gesù deve diventare
noi; come il cibo che si assimila, come il pane che ci nutre. Occorre fare
spazio alla sua presenza, alla sua Parola.
Ecco
allora delinearsi l’uomo nuovo che siamo chiamati ad essere, secondo Paolo. E’
l’uomo che sa vivere nella fede, nella totale fiducia, lasciandosi fare da
Gesù, rivestendosi di Lui per divenire creato a sua immagine.
Questo
ci porterà allora a mettere da parte l’uomo vecchio che si lascia guidare
invece dai desideri più meschini e dalle sue passioni, che primeggia nella
mormorazione e cerca Dio solo come colui che gli risolve i problemi immediati;
che si agita nel fare pensando che ciò gli può garantire l’acquisizione di
meriti e di premi salva condotta…
Rivestiamoci dunque della novità di Cristo, vivendo da
figli che si lasciano fare da un Dio che è Padre. Comprendendo che vera fede è
lasciarci con fiducia rivestire a immagine di Gesù, pane vivo, nutrirci di Lui
e della sua Parola, per essere e agire
ogni giorno quali uomini e donne nuovi a sua immagine.
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