Siamo
invitati oggi a uno sguardo alto, a uno sguardo di speranza.
A lasciar
risuonare tra noi le stesse parole del profeta: “Si dirà in quel giorno: ‘Ecco il nostro Dio; in lui abbiamo sperato…
questi è il Signore in cui abbiamo sperato; rallegriamoci, esultiamo….”
Il nostro
sguardo è invitato a posarsi sul volto di Dio per ritrovare speranza e
coraggio. E qual è questo volto di Dio? “Ecco
il nostro Dio…” dice il profeta. Un Dio che prepara un banchetto di festa
per tutti, che vuole per tutti vita piena. Un Dio che dona e non chiede, non
pretende. “Eliminerà la morte… asciugherà
le lacrime su ogni volto”. E’ il Dio della vita, della gioia, della festa,
della consolazione il Dio in cui crediamo e speriamo.
Credere e
sperare in Lui dunque è avere uno sguardo che sa intravedere sempre questa meta
di realizzazione e di novità. E’ camminare nella vita portando nel cuore la
certezza che siamo amati e accompagnati da un Dio che vuole condurci
all’incontro con Lui, incontro di nozze, di gioia, dove la vita tutta trova la
sua pienezza.
Gesù,
nella parabola che parla del Regno di Dio -“Il
Regno dei cieli è simile a…”-, riprendendo queste immagini di festa, di
convivialità, di vita, vuol farci comprendere come tutto ciò riguarda non solo
la meta finale che ci attende oltre questa esistenza, bensì la realtà presente,
il nostro oggi dove il regno di Dio già è presente e cresce. Questo per
ricordarci che la vita già ora deve esprimere tutta la sua bellezza e capacità
di promuovere speranza, gioia, convivialità. Questa nostra vita, oggi deve
essere già un banchetto di nozze, una festa carica di gioia e di convivialità.
L’esperienza
quotidiana sembra invece smentire tutto ciò.
La vita ci
appare ben altro, contrassegnata da morte, lacrime, violenza, delusione, male.
Perché?
E’ forse
tutto un inganno ciò che la Parola ci annuncia? Solo illusione e poesia? Hanno
allora ragione quelli che dicono che la fede è qualcosa che ci estranea dalla
vita e dalla realtà e che serve solo a dare una illusoria e vana consolazione?
La parabola
del vangelo, con molta lucidità, ci porta a comprendere che non si tratta di
un’illusione l’annuncio del banchetto di nozze. Il suo non potersi ancora
compiere in pienezza dipende da noi, dalla nostra indifferenza.
La
parabola, nei diversi personaggi, raffigura tutti noi che, davanti alla
chiamata, più volte ripetuta, “venite
alle nozze”, in modi diversi rispondiamo all’invito. E’ vero che il
racconto vuole evidenziare il rifiuto del popolo di Israele, i “molti chiamati”, e la scelta degli
ultimi, i “pochi eletti”, (i pagani,
i peccatori, i lontani). Ma è anche vero che parlando a noi oggi il racconto ci
costringe a rivedere il nostro modo di rispondere alla chiamata che Dio
rivolge, a tutti e a ciascuno.
Davanti a
un Dio che vuole per noi vita piena, che strappa veli di non senso e di paura,
che asciuga lacrime e vince la morte, occorre lasciarci coinvolgere. Non basta
sapere che Lui è così, se poi rifiutiamo di entrare in quella relazione che
sola può permetterci di fare già ora l’esperienza di una vita che tende alla
pienezza.
Purtroppo
all’invito alla festa, all’occasione unica che può darci realizzazione e vita
si accampano scuse e rifiuti..
E’ il
rischio di ieri e di oggi. L’indifferenza:uno dei nemici più insidiosi e
diffusi della fede, più temibile dell’ateismo e dell’opposizione aperta.
L’indifferenza che porta a trovare scuse: ‘non
ne ho voglia’; a pensare solo ai nostri affari: “non se ne curarono e andarono chi al proprio campo, chi ai propri
affari”. Indifferenti all’invito e protesi solo su noi stessi. E’ così
quando pensiamo che la questione Dio e la fede in Lui, siano fattore secondario
della vita, quasi un di più… se c’è tempo bene altrimenti pazienza… Quando
chiudiamo la nostra vita dentro gli stretti confini di una visione materialistica,
lasciando Dio ai margini.
Dobbiamo
re-imparare a vivere dentro la realtà, con i piedi per terra certo, affrontando
problemi e fatiche, ma pur con uno sguardo oltre, uno sguardo alto, fisso su
quel Dio che, proprio dentro e in mezzo alla vita di tutti i giorni ci rivolge
la sua chiamata a partecipare a una relazione d’amore con Lui, al banchetto
delle nozze.
La
parabola poi ci mette in guardia anche da un altro rischio. E’ rappresentato
nell’immagine di colui che accetta l’invito, ma si presenta senza l’“abito nuziale”. Cosa indica questo “abito nuziale” dimenticato?. Sta a
significare che costui ha risposto all’invito, ma con superficialità, senza
convinzione, senza amore, senza partecipazione, con freddezza. E’ il rischio
che possiamo correre tutti noi; vivere sì una relazione con Dio, ma
superficiale, senza il coinvolgimento dell’amore, più per abitudine che per
convinzione, senza quell’abito nuziale che è la vita nuova (la veste bianca)
ricevuta fin dal Battesimo.
Dono e
responsabilità dunque. In queste due parole si riassume il messaggio di oggi.
Un Dio che desidera farci dono della sua
stesa vita. Noi chiamati ad aprirci con responsabilità a questo splendido dono,
a non accampare scuse, a venir fuori dall’indifferenza, a liberarci da una
religiosità solo apparente che alla fine soffoca la fede e ci rende privi di
quell’abito nuziale che deve invece contrassegnare la nostra vita facendo
risplendere in noi la novità dell’essere figli amati di Dio.
Sull’esempio di
Paolo, rimettiamoci anche noi in cammino imparando a stare dentro alla realtà
quotidiana -“so vivere nella povertà come
nell’abbondanza”- sapendo che “tutto
posso in colui che mi dà forza”. Sapendo che Colui che ci chiama a una vita
piena, alla festa di nozze, è anche Colui che, se ne accogliamo l’invito e
viviamo nel suo amore, ci darà la capacità di rispondere alla sua chiamata e di
realizzare pienamente la nostra vita.
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