sabato 9 agosto 2025

"Sentinella, quanto manca della notte?" - XIX domenica del tempo ordinario

“Tutto qui sembra una notte che non finisce mai.” Così il cardinale Pizzaballa diceva sabato scorso ai giovani intervistato da Gaza. Una notte che non finisce mai.

Questa immagine della notte fa da sfondo alle letture odierne: la richiama il vangelo nella breve parabola, ne parla la prima lettura e di fatto è presente, anche se non nominata, nella seconda rievocando il cammino di Abramo.

E’ un’immagine che indica non solo uno spazio temporale, bensì una situazione esistenziale. Oggi non è difficile riconoscere che stiamo attraversando uno di questi momenti di notte.  E’ proprio in questi momenti che diventa importante riconoscere di avere bisogno di luce, di chiarezza, di sostegno. E’ quanto la Parola di Dio non manca mai di dispensarci.

Una prima indicazione ci è offerta nel ricordarci che, anche nella notte più oscura la storia è e rimane guidata da Dio che libera e salva. Quanto è avvenuto al popolo d’Israele con la prima Pasqua (1 lettura), si ripete oggi per noi popolo di Dio. Dio è fedele alla sua alleanza e non abbandona coloro che si affidano a Lui.

Ne deriva l’invito a saper vivere con fede, perché solo così ogni notte può aprirsi all’aurora e ogni tenebra fare spazio a squarci di luce. Per fede Abramo e Sara, che si riconobbero di “essere stranieri e pellegrini sulla terra”, affrontarono il cammino della loro storia personale e grazie a questa fede in Dio portarono a realizzazione le sue promesse e i suoi doni. “La fede è fondamento di ciò che si spera e prova di ciò che non si vede”. Così ci ha detto la seconda lettura.

L’invito dunque è chiaro anche per noi: essere uomini e donne che affrontano con fede il cammino della vita e sanno vivere di fede. Sanno cioè affrontare non da soli, ma con Dio, affidandosi a Lui e alla Sua Parola, il vivere di ogni giorno, certi – per fede – di poter sperimentare la Sua Presenza che arricchisce, che illumina, che apre alla speranza.

Ma cosa significa vivere di fede per noi oggi? Nel Vangelo Gesù ci aiuta a fare chiarezza. Vivere di fede è saper mantenere viva la consapevolezza che siamo amati e custoditi da un Dio-Padre; che da Lui abbiamo ricevuto un tesoro per il quale deve battere il nostro cuore: questo tesoro consiste nell’essere figli amati, partecipi del suo Regno che siamo chiamati a costruire fin d’ora nell’oggi. “Non temere piccolo gregge, perché al Padre vostro è piaciuto dare a voi il Regno…”.

Questa fede allora, ci apre ad atteggiamenti di vigilanza, di lucidità e di responsabilità.  “Siate pronti, siate svegli”.

Vigilare significa vivere rimanendo lucidi, non lasciandoci suggestionare dalle cose, dai fatti della vita, dalle tentazioni. E’ saper cogliere in ogni attimo, in ogni persona, in ogni circostanza, anche la più oscura e faticosa, la Presenza di Colui che è il tesoro della nostra vita e così agire di conseguenza.

Questa vigilanza ci rende allora anche capaci di responsabilità. Una responsabilità che consiste nell’essere amministratori fidati e prudenti, servi buoni e fedeli. Capaci cioè di vivere amministrando bene la nostra vita e le nostre relazioni con gli altri; questo nell’ottica non del dominio e dello sfruttamento, bensì del servizio, dell’impiego delle proprie capacità per il bene di tutti, per realizzare così la volontà di Colui che ci ha affidato ogni bene; senza dimenticare che “a chiunque fu dato molto, molto sarà chiesto”.

Concludo ancora con le parole del cardinale di Gerusalemme: "Il momento è molto doloroso, stiamo vivendo una notte molto lunga. Però sappiamo anche che le notti finiscono. Ci sono persone capaci di mettersi in gioco perché credono nell’altro. È il momento in cui la Chiesa deve lavorare con tutti coloro che sono disposti a fare qualcosa di bello e di bene per tutti...".

Camminando nella fede, lucidi e responsabili, alla luce della sua Parola, ecco che possiamo – dobbiamo - anche noi metterci in gioco, riconoscere la Sua Presenza che ci accompagna anche nelle notti oscure, scorgere segni di speranza e operare insieme per costruire, quel Regno di giustizia, di fraternità e di pace, che Dio ha posto nei nostri cuori e nelle nostre mani, quale unico tesoro “dove ladro non arriva e tarlo non consuma”.

 


 

sabato 2 agosto 2025

"Arricchirsi presso Dio" - XVIII° domenica del tempo ordinario

 

Il Vangelo si apre con un dissidio tra fratelli legato alla divisione dell'eredità. La reazione di Gesù è chiara, non vuole essere coinvolto in questioni legate al possesso: "O uomo  chi mi ha costituito giudice o mediatore sopra di voi?".

Tuttavia coglie l’occasione per un richiamo a non farsi prendere nel laccio dell'avidità che genera invidia, invitandoci a riflettere su ciò che dona valore alla vita: "anche se uno è nell'abbondanza la sua vita non dipende da ciò che egli possiede".

La parabola che viene raccontata trova una eco nelle parole di Qoelet nella prima lettura. Tanto lavoro, fatto pure onestamente, l'illusione di essere ora al sicuro, (“Hai a disposizione molti beni per molti anni: riposati, mangia, bevi e divertiti") si infrange al soffio della provvisorietà, di questa nostra vita di cui non siamo i padroni.

Questa provvisorietà dei beni e della vita deve farci riflettere e pensare. E' da intelligenti riporre le nostre sicurezze, i nostri desideri, le nostre aspettative nelle cose, pur belle e buone che siano? No. E' da stolti: "Stolto, questa notte stessa ti sarà richiesta la tua vita. E quello che hai preparato di chi sarà?".

La vera intelligenza e saggezza nasce dalla consapevolezza che, pur vivendo in un mondo pieno di cose belle e buone, tutto è vanità, è provvisorietà. Da qui occorre cercare di costruire la vita su ciò che invece è stabile, duraturo, perenne.

La vita non dipende da ciò che uno ha; la vita dipende da ciò che uno dà. Solo l’Amore resta per sempre. Dio, alla fine non ci chiederà conto dei beni accumulati, ma di che abbiamo fatto della nostra vita, di come abbiamo speso il tempo, le capacità ricevute in dono. Questo significa "arricchire presso Dio".

Tuttavia non deve essere solo il pensiero della provvisorietà e della fugacità dei beni e della vita a spingerci a non accumulare. Prima ancora sta, per il credente, la consapevolezza che Dio ha creato ogni cosa per il bene di tutti, perché ciascuno abbia a sufficienza e tra tutti ci siamo comunione e solidarietà. L’accumulare impedisce questo e genera lotte, divisioni, ingiustizie. Non per niente l’uso sbagliato del denaro, reso idolo, è la causa di tutti i mali, nelle famiglie e nell’intera umanità. Per avere di più si provocano guerre, violenze, si genera corruzione, inganno.

Già ai primi tempi della chiesa l’insegnamento dei Padri su questo tema era molto chiaro. Diceva Gregorio di Nissa: ”Chi ha troppo non è fratello, ma ladro”. Scriveva invece Clemente Alessandrino: “Tutto è stato creato da Dio per la comunione. Pertanto tutte le cose sono comuni, e i ricchi non pretendano di possedere più degli altri. Dunque, il seguente argomento: “Questo è a mia disposizione e ne ho in abbondanza: perché non goderne allora?” non è né umano, né sociale. Viceversa, è proprio dell’amore dire: ”E’ a mia disposizione, perché non farne parte a quelli che ne hanno bisogno?”. Costui sì è un uomo compiuto, poiché ha adempiuto il comandamento ‘Amerai il prossimo tuo come te stesso”.

Così facendo si arricchisce la nostra vita, si dà ad essa bellezza e senso e liberi da ansie, discordie e invidie, si trova pace, capacità di condivisione, di solidarietà e di fraternità.

Questo significa, secondo le parole di Paolo, "cercare le cose di lassù e non quelle della terra". Vivere cioè in pienezza la nostra vita su questa terra senza attaccarci ad essa, ma aperti e orientati a realizzare quanto Cristo ci ha annunciato: il suo Regno di giustizia e di pace.

Così possono nascere nuovi stili di vita, imparando a praticare una effettiva condivisione e solidarietà che ci fa tutti più ricchi davanti a Dio, riscoprendo e vivendo il rispetto per il creato, quale dono per un cammino che porti a maggiore giustizia, a una vita più fraterna e solidale.

E' questo l'uomo nuovo di cui parla Paolo fatto a immagine di Cristo. Lo si costruisce e realizza solo con il coraggio del distacco: il coraggio del "fate morire ciò che appartiene alla terra... quella cupidigia che è idolatria.... vi siete svestiti dell'uomo vecchio con le sue azioni e avete rivestito il nuovo". Un uomo nuovo, un nuovo umanesimo che dobbiamo costruire insieme con una vita capace di liberarsi dalla schiavitù delle cose, capace giorno dopo giorno di "arricchirsi presso Dio" generando comunione e solidarietà verso tutti.


sabato 26 luglio 2025

"Nel respiro di Dio" - XVII domenica del tempo ordinario

 

“Gesù si trovava in un luogo a pregare”. Questo fatto ha sicuramente destato un fascino particolare sui suoi discepoli. Infatti, vedendo Gesù pregare “uno dei suoi discepoli gli disse: Signore, insegnaci a pregare”. Insegnaci a fare come fai tu, a entrare in questa relazione così profonda con Dio. “Insegnaci a pregare” è la richiesta del discepolo. Perché a pregare si impara: e si impara solo da Lui, l’unico maestro e Signore.

“Insegnaci a pregare” e non insegnaci le preghiere… Pregare è cosa differente dalle preghiere, dalle formule, dai riti. Pregare è entrare nella relazione d’amore con Dio riconosciuto e amato come Padre.

Anche noi abbiamo bisogno, sempre, di imparare a pregare. Sappiamo anche tante preghiere, ne diciamo forse anche molte, ma ciò non significa che sappiamo pregare.

La preghiera di Gesù non è questione di parole recitate, ma di un cuore aperto, accogliente, disponibile, in ascolto verso il Padre e la sua volontà. Solo da un cuore così in sintonia con Dio possono nascere parole semplici e profonde come quelle che Gesù ci suggerisce: “Quando pregate dite: Padre nostro…”.

C’è dunque anche un dire ma che deriva da un aver accolto nella fede, da un aver posto un atto di fiducia totale in Dio. Un Dio non pensato come Colui che fa ciò che gli dico, Colui che deve risolvermi ogni problema e spianarmi la strada, Colui che – se c’è – deve far andare tutto per il verso giusto… Queste sono nostre idee di Dio e pretese; immagini di Dio che impediscono la preghiera cristiana.

Gesù ci dice: Dio è Padre. Solo se Dio è percepito come Padre e a Lui ci si affida totalmente, allora si può entrare in una relazione d’amore, come figli insieme al Figlio, pronti a riconoscere la Sua presenza, il suo amore, la sua volontà e vivere con Lui e per Lui.

Questo Padre, che Gesù ci rivela, è un Padre buono che sa dare cose buone ai suoi figli. Anzi, Gesù ci rivela che questo Padre dà “lo Spirito santo a quelli che glielo chiedono”.

Questa è la novità sorprendente della preghiera cristiana. Dio dà la sua stessa vita, presenza, forza: il Suo Spirito. Dà sé stesso e “dandoci sé stesso, Dio ci dà tutto” (Caterina da Siena), entra in comunione con noi, diventa vita della nostra vita.

Se è così, allora è la preghiera che ci fa vivere. Io vivo perché prego; prego per vivere, allo stesso modo in cui respiro per vivere; prego per vivere meglio e in pienezza la mia vita.

Pregare così mi trasforma: mi rende giorno dopo giorno figlio amato a immagine del Figlio Gesù: “con Gesù Dio ha dato vita anche a noi e con Lui siamo risorti” come dice Paolo nella seconda lettura.

Pregare così mi trasforma: mi rende ‘casa’ del Suo Spirito; mette il mio cuore, la mia mente, tutta la mia vita in sintonia con Dio, il Padre, per vivere da figlio e per costruire relazioni nuove, fraterne, capaci di innervare il Regno di Dio dentro la storia e di trasformarla.

Niente di più concreto e di più efficace della preghiera! E la prova che la nostra preghiera è autentica è la vita che si apre a un amore universale, fraterno, solidale e accogliente, come è l’amore del Padre rivelato in Gesù.

Non stanchiamoci allora di percorrere questo cammino: impariamo ogni giorno di nuovo a pregare come Gesù. “Chiedete e vi sarà dato, cercate e troverete, bussate e vi sarà aperto”. Ora sappiamo bene cosa chiedere e cercare e a chi bussare: al cuore stesso del Padre. “Dio esaudisce sempre; non le nostre domande ma le sue promesse. La promessa di essere con noi sempre”. (D.Bonhoffer). A Lui chiediamo, con insistenza e perseveranza, per noi e per tutti, il Suo Spirito affinché ci avvolga, ci trasformi e ci renda, giorno dopo giorno, suoi figli amati e fratelli capaci di amarci gli uni gli altri.