sabato 28 aprile 2018

Quinta domenica del Tempo pasquale.


Un’altra immagine bella, chiara e insieme profonda dopo l’immagine del pastore. Un’immagine che ci dice qualcosa di rivoluzionario.
“Io sono la vite, voi i tralci”. Sono queste le parole totalmente nuove. Forse così abituati a risentirle sembra non abbiano a dire nulla di particolare. Di fatto c’è una grande rivelazione: noi siamo direttamente innestati a Lui. Nella nostra vita scorre la sua. Siamo una sola cosa. Vite e tralcio sono la stessa realtà. L’uno vive dell’altra, della stessa linfa vitale. Noi siamo, al di là di ogni nostro merito, abitati da Cristo vita. La sua energia è in noi. In quanto tralci della vite, siamo vite. In quanto creature siamo abitati dall’energia del Creatore che ci è data in Cristo e nel suo Spirito come ci ha ricordato anche Giovanni: “In questo riconosciamo che egli rimane in noi: dallo Spirito che ci ha dato”. “Un Dio che ci scorre dentro” e ci rende figli suoi, perché in noi scorre la stessa vita del Padre e del Figlio amato, il loro Spirito d’amore.
Ma va pure sottolineato il “voi” che Gesù utilizza. Non tanto io-tu, ma io-voi. Questa considerazione allarga il nostro orizzonte e ci fa percepire la nostra vita come parte di un orizzonte più grande.
Il voi è riferito sicuramente alla chiesa, quella comunità che trae la sua linfa vitale da Gesù: la vigna da sempre amata! Ma il voi arriva anche a indicare l’umanità intera: Gesù è Colui che dà vita a tutto l’universo e tutto l’universo altro non è che fecondità di tralci da Lui generati. Questo è veramente grande, rivoluzionario: un modo tutto nuovo di pensare a Dio.
Ci è poi detto lo scopo di questo essere abitati da Lui: “che portiate molto frutto e diventiate miei discepoli”.
Il portare frutto innanzitutto: questo Lui si attende. Questo desidera: ci vuole fecondi. Non ci chiede di rinunciare a realizzarci, di reprimere i nostri desideri positivi, le nostre doti e possibilità, ma di essere fecondi, portatori di frutti, generatori di vita.
La sua energia che scorre in noi –l’amore- non va spenta, bloccata, ma deve trovare spazio di creazione nella nostra vita, nelle nostre opere, nei frutti che siamo chiamati a portare.
E questo sia attua con il diventare discepoli di Gesù. Diventare, giorno dopo giorno, sempre più discepoli che apprendono da Gesù l’arte di portare buoni frutti.
Interessante è notare come il “portare frutto” è strettamente legato al “diventare discepoli”. Quasi a ricordarci che i frutti attesi altri non sono che i frutti stessi che Gesù ha portato e che ora noi come suoi discepoli dobbiamo saper portare. Frutti che maturano “dal seme che muore”, da una vita aperta al dono e al perdono, spesa per gli altri, per il Regno e non conservata per sé, per il proprio comodo.
Ecco la necessità dunque della continua purificazione: “ogni tralcio che porta frutto lo pota” lo purifica  perché porti più frutto”. Non si tratta tanto di un Dio che ama farci soffrire pur di vedere maggiori risultati… Piuttosto di un Dio che ci invita ad affrontare le lotte, le fatiche della vita, garantendo che tutto ciò porterà a una vita più piena. Questo ce lo ha detto attraverso il suo Figlio che, passato dalla potatura della passione e morte, è giunto allo splendore della risurrezione.
Infine un’ultima cosa ci è detta in questo ricco brano. Che tutto ciò, perché diventi possibile, chiama in gioco la nostra libertà e la nostra scelta. Noi dobbiamo far di tutto per “rimanere in” Lui. E’ questo il nostro ‘unico’ impegno: “rimanere in” Lui.
Questo verbo è la parola chiave di tutta la riflessione. Viene ripetuto ben sette volte: rimanere. “Come il tralcio non può portare frutto da se stesso se non rimane nella vita, così neanche voi se non rimanete in me”. “Chi rimane in me e io in Lui, porta molto frutto”.
E’ vero che noi in quanto tralci siamo già in Lui vite. Ma è altrettanto vero che possiamo, nella nostra libertà, decidere di voler fare a meno della vite, di voler fare da soli, di ‘scollegarci’ da questa linfa di energia e di vita. Il risultato è alla fine uno solo: “viene gettato via come il tralcio e secca”. E’ il fallimento di noi stessi.
Rimanere: non accanto, non vicino, ma “in”. E’ un rapporto profondo, vitale che ci è chiesto, di intimità e di comunione. Rapporto che è garantito dallo Spirito che abita in noi e che si attua attraverso l’ascolto della Sua Parola. “Se rimanete in me e le mie parole rimangono in voi chiedete quello che volete e vi sarà fatto”: l’ascolto della Parola porta a mantenere il contatto vitale con Gesù e a consentirgli di prendere dimora in noi.
Ascoltare è far dimorare l’altro in noi, è dimorare in Dio stesso per avere in noi la sua energia e vita che ci rende capaci di “portare frutto”. Quei frutti di amore che hanno la capacità di generare storie nuove, relazioni diverse, gesti e scelte di giustizia e di pace.
Tutto ciò produce la Parola quando, accolta in noi, grazie allo Spirito che la feconda ci fa rimanere in Gesù e con Lui capaci di vivere secondo il Vangelo.

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