sabato 23 gennaio 2016

Terza domenica del tempo ordinario



“Oggi si è compiuta questa scrittura che voi avete ascoltato!”.
Oggi continua a compiersi tra noi quella Parola che non si stanca di risuonare dentro le nostre chiese e nel cuore di ciascuno.
Essa è efficace e compie ciò che dice perché è abitata dallo Spirito di Dio che la rende sempre attuale, nuova. Lieto annuncio per i poveri, i semplici, i piccoli; liberazione per chi è prigioniero del male, avvolto dalla notte, oppresso dall’angoscia.
Dalla Parola nasce e prende vigore la fede; senza la Parola non può esserci fede autentica. Lo vediamo in Maria, donna che crede proprio perché ascolta: “Si compia in me la tua Parola”.
Le letture di oggi sono invito a ciascuno e alle nostre comunità a rimetterci con appassionato entusiasmo all’ascolto della Parola di Dio, che è ascolto di Cristo Gesù.
Con quell’entusiasmo descritto nella prima lettura, dove, tutto il popolo, con gioia e attenzione “tendeva l’orecchio al libro della legge”. E’ descritta una grande liturgia dell’ascolto, dove anche il tempo sembra non contare più, dove tutto è concentrato sulla Parola e dove alla fine questa Parola rigenera quella comunità, la unisce, la rafforza, la rende capace di affrontare tempi e momenti di crisi e di fatica.
Importante tuttavia è l’ascolto assiduo della Parola, sull’esempio di Gesù che, come il vangelo annota, “secondo il suo solito, di sabato, entrò nella sinagoga e si alzò a leggere”.
Questo ascoltare con gli altri, in un solito e costante ritrovarsi, domenicale per noi, diventa alimento e forza per il cammino di fede.
Luca, nell’apertura del Vangelo, ci ha ricordato che ha voluto mettere per iscritto questa Parola del vangelo “in modo che tu possa renderti conto della solidità degli insegnamenti che hai ricevuto”. Solidità: è il frutto dell’ascolto. Una vita che si fa solida, come casa sulla roccia. Dobbiamo tornare a questo nucleo “essenziale” della vita cristiana, perché la Parola, ascoltata e messa in pratica rende solidi i cristiani e le comunità. Rende capaci di un cristianesimo autentico, vero e di costruire comunità più affiatate.
Infatti la parola edifica la chiesa e la unisce in un solo corpo, come Paolo nella seconda lettura ci ricorda: “Tutti siamo stati dissetati da un solo Spirito. Ora voi siete corpo di Cristo”. La comunione fraterna che deve respirarsi nelle nostre comunità non è frutto di trovate geniali e di un ripetersi frenetico di iniziative, ma di assiduo ascolto, insieme, della Parola che ci disseta nello Spirito e ci rende un solo corpo.
Il vangelo dice della gente nella sinagoga che “gli occhi di tutti erano fissi su di lui”. Così dobbiamo fare anche noi: lo sguardo fisso su quel Gesù che oggi è qui nella Sua Parola, per attingere da Lui la forza di portare “un lieto annuncio” dentro le povertà del nostro oggi.
Dalla Parola ci è data la capacità di diventare, dentro la nostra storia, operatori di liberazione; quella liberazione che solo Gesù porta e che ci affida come dono e compito oggi.
Cristiani non estranei al sociale, al politico, ma capaci di stare dentro la realtà guidati, non certo dai propri capricci o dal proprio punto di vista, ma da quella Parola che è luce e verità sulla storia e sull’uomo, da quella Parola che ha la forza di portare ancora oggi liberazione da ogni forma di oppressione e di ingiustizia, di chiusura e di ripiegamento. 
“Mi ha mandato a proclamare la liberazione” dice Gesù.
Questa liberazione oggi ancora è chiamata a compiersi attraverso la presenza di uomini e donne che, abitati dalla Parola di Dio, cercano ogni giorno di attuarla nelle scelte e nella vita.
E’ la preghiera che ci ha introdotti in questa celebrazione e che rinnoviamo su tutti noi: “che la Parola di Cristo ci edifichi in un corpo solo e ci renda strumento di liberazione e di salvezza”.

sabato 16 gennaio 2016

Seconda domenica del tempo ordinario



Ed è ancora Epifania! Il cammino del tempo ordinario incomincia con uno sposalizio a Cana di Galilea dove c’era la Madre di Gesù e dove fu invitato alle nozze anche Gesù con i suoi discepoli.
Un fatto che è manifestazione/epifania (‘Gesù manifestò la sua gloria’) e che segna così una continuità, un legame con il tempo del Natale. Gesù che si era manifestato alle genti (ai Magi), che si era manifestato al suo popolo (nel battesimo) ora si manifesta ai suoi “familiari” (ai discepoli e a Maria).
E questo quasi per evidenziare che la salvezza, con lui entrata nella nostra storia, ora riempie di sé le pieghe ordinarie e quotidiane della nostra vita. Gesù ci manifesta lo straordinario amore di Dio, dentro il ripetersi ordinario della nostra vita. Il tempo ordinario dunque che inizia non è di fatto meno importante delle grandi feste; anzi: è in questo tempo che siamo chiamati a metterci in gioco, ad accogliere o rifiutare quel Gesù che ha scelto di manifestarsi nella vita ordinaria.
L’episodio ascoltato si svolge proprio in un clima ordinario, famigliare, così come tipicamente famigliare è una festa di nozze: la madre, Maria, è stata invitata, con lei c’è anche Gesù che viene considerato parte della famiglia insieme ai suoi discepoli, che li vediamo spettatori attenti: non dicono nulla, osservano e alla fine credono (‘i suoi discepoli cedettero in Lui’). Come i discepoli, anche noi siamo chiamati a farci attenti, a riconoscere Gesù nella nostra vita e a credere in lui, nella manifestazione del suo amore.
Proprio questo contesto familiare e nuziale, per Gesù fu l’inizio dei segni. Il primo dei segni. Non solo primo di una lunga serie, ma piuttosto l’archetipo, il modello, il segno originario attraverso cui leggere e interpretare tutti gli altri segni che seguiranno, per preparare il Grande Segno della Pasqua, l’ora del pieno compimento dell’amore, l’ora attesa, l’ora qui anticipata dal pressante invito della Madre. “Non è ancora giunta la mia ora…”: certo essa si compirà con il segno della Pasqua, tuttavia con questo segno ne anticipa il significato profondo (non per niente ‘segni e ora della gloria’ sono i punti chiave sui quali si muove il vangelo di Giovanni).
Proviamo a cogliere quali sono questi tratti tipici che caratterizzano i segni di manifestazione della gloria, dell’amore di Gesù in mezzo a noi.
Come i discepoli, mettiamoci con attenzione a guardare in profondità ciò che avviene a Cana (non fermiamoci a una lettura superficiale che vedere nell’episodio solo la consacrazione delle nozze… è una prospettiva troppo limitata.. occorre aprirci al ricco simbolismo che caratterizza questo brano).
Un primo aspetto evidente è quello del banchetto nuziale e dell’immagine dello sposo e della sposa. Tema ricorrente in tutta la Bibbia per indicare la relazione tra Dio e il suo popolo. Per indicare l’ALLEANZA che Dio vuole realizzare con Israele.
Nella 1 lett. Isaia canta questa alleanza che vede compiersi dopo l’esilio babilonese: un Dio che viene a portare consolazione e speranza a Gerusalemme, non più abbandonata e devastata, ma amata come una sposa, terra sposata. Immagini molto belle… che trovano però il loro compimento solo in Gesù. Ed è proprio tipico dei segni che Gesù compie, a partire dal segno di Cana, manifestare il realizzarsi definitivo dell’Alleanza sponsale tra Dio e il suo popolo. Lui è lo sposo e Israele, sua sposa, simboleggiata qui nella figura di Maria, ‘madre di Gesù e donna’, così come viene chiamata qui e poi nell’ora sotto la croce. E’ la sposa che invoca la mancanza e il bisogno “non hanno più vino”. In lei è rappresentato il resto di Israele che attende il compimento dell’ora del Messia. Nella sua invocazione risuona ancora oggi il grido della chiesa, dell’umanità provata e sofferente “non abbiamo più vino”: siamo provati, limitati, poveri… Gesù viene a dirci che in lui si compiono le nozze tra Dio e l’umanità tutta: siamo dunque amati, non più abbandonati, sempre.
C’è un secondo aspetto simbolico importante: il vino. E’ il simbolo della gioia, dell’abbondanza, della riuscita della festa. Senza di esso sarebbe un fallimento lo sposalizio. Quel vino inoltre è riconosciuto “come vino buono tenuto da parte fino alla fine” quasi a indicare il dono abbondante, totale e definitivo da esso simboleggiato. E’ il dono che si attuerà nell’ora della croce dove dal cuore trafitto di Gesù uscirà “sangue e acqua”. Lì, nella sua ora, diventerà chiaro che questo vino nuovo e migliore Gesù lo dona nel suo stesso sangue versato per tutti. Vino reso sangue, nell’ora della cena, che versato in abbondanza sigilla il patto d’amore con il suo popolo. Vino che riempiendo con abbondanza le anfore di pietra usate per le abluzioni indica il superamento della legge rituale giudaica, ma indica anche la novità che trasforma i nostri cuori di pietra, come le anfore, in cuori di carne, finalmente capaci di amare. Vino che continua a riversarsi in noi attraverso il suo Spirito d’amore annunciato da lui stesso quando gridando disse: “Se qualcuno ha sete venga a me e beva, chi crede in me. Questo disse dello Spirito che avrebbero ricevuto”. Tutti i segni di Gesù parleranno di un’abbondante dono d’amore che si riversa su di noi, il dono della sua vita che ci è data nel suo spirito e che ha la forza di fare nuove tutte le cose, a iniziare dai nostri cuori di pietra, fino a portare gioia, pienezza, abbondanza d’amore dentro la nostra storia.
E per ultimo, ma non meno secondario, un terzo aspetto caratteristico dei segni di Gesù; direi la condizione perché quanto è stato detto possa compiersi: la fede. Fede come ascolto: “Qualsiasi cosa vi dica fatela” ci dice Maria. L’ascolto fiducioso dello sposo.  E’ ancora lei la sposa-madre a invitarci a questo ascolto obbediente. Solo così può compiersi la festa di nozze, l’alleanza tra Dio e il suo popolo e il dono del sangue e dello Spirito: nella Parola accolta e vissuta.
Ecco quindi tre indicazioni che caratterizzano i segni che Gesù compie (da questo fino all’ultimo, l’ora della croce): riassumibili in tre parole: alleanza, dono, fede.
Tutto ciò cosa dice alla nostra vita?
Ci ricorda che se accogliamo Gesù come nostro famigliare, se lo invitiamo alla tavola della nostra vita, anche noi possiamo vedere la sua gloria, il suo amore, arrivando, come i primi discepoli, a credere in Lui, a una fede più solida, più vera.
Se lasciamo che egli interagisca con la nostra vita scopriremo di avere anche noi “un nome nuovo che la bocca del Signore indicherà“(1 lett: mio sposo, mio amato), ci renderemo conto di quanta “diversità di carismi” (2 lett) lo Spirito ci farà dono, cambiando l’acqua della nostra mediocrità con il vino nuovo, buono e sovrabbondante del suo amore.
E’ invito quindi a non temere innanzitutto di fare spazio a Gesù nella nostra vita, nelle nostre case e famiglie, sapendo che è il fare spazio non a un di più, non a un padrone che limita la nostra libertà e felicità, ma allo sposo, al solo che può trasformare l’ordinaria acqua del nostro vivere, nell’abbondante vino dell’amore, ridando significato, bellezza e gioia alle nostre relazioni, al nostro vivere quotidiano.
E’ invito a aprire il cuore alla sua Parola (‘qualsiasi cosa vi dice fatela’) con fiducia; come quei servi che non hanno esitato a compiere un gesto a dir poco folle (portare acqua in tavola…); eppure le cose folli e strane che la parola ci indica (come dare la guancia a chi ci percuote, perdonare o lasciare tutto per seguirlo..) alla fine sono quelle che trasformano la nostra vita e lasciano manifestare in noi la sua Presenza. 
E’ invito a rimanere aperti ai suoi doni che ogni domenica in particolare, nel banchetto dell’Eucaristia, si rinnovano per noi; aperti allo Spirito che ha il potere di suscitare in noi una ricchezza di capacità (2 lett.) e di guidarci a costruire, nella ricerca del bene comune e nella condivisione, l’unica famiglia dei figli di Dio, a costruire la Chiesa chiamata a diventare sempre più la sposa bella, adorna dei diademi della fraternità e della pace; una chiesa famiglia, dove ha spazio il dialogo, l’accoglienza, l’attenzione ai sofferenti, ai terremotati, ai perseguitati per la fede, agli ultimi… Dove ancora oggi possa rinnovarsi l’esperienza gioiosa dell’incontro sponsale tra Dio e il suo popolo, attraverso quella carità che è frutto e dono dell’unico e abbondante Spirito che il Padre e il Figlio non cessano di riversare su tutti noi.

mercoledì 6 gennaio 2016

Preghiera per l'Epifania...


Lasciamoci illuminare dal mistero che celebriamo, dalla Parola del Signore che abbiamo ascoltato, e per ogni nostra debolezza e infedeltà, pregando insieme gli uni per gli altri, chiediamo la misericordia di Dio:
Se non ho sempre cercato il Signore come dovevo, in tutte le circostanze, in tutte le occasioni e con i mezzi che il Signore ci dà e continua a darci e a mettere a nostra disposizione: Liturgia, Scrittura, conoscenza; se abbiamo confuso la nostra fede con la ricerca, meglio, la nostra fede col possesso di Dio, invece di continuare a cercare; per questa supponenza di conoscere Dio, per noi e per la Chiesa: Signore, pietà!
Se soprattutto non mi sono aperto allo Spirito, alla luce di Dio che mi illumina dentro; se abbiamo fatto dello stesso Cristo delle formule culturali; se abbiamo pensato di possedere Cristo, mentre è il Cristo che deve possedere noi; per quel tanto che non abbiamo lo spirito a guidarci a ogni conoscenza di Cristo, per noi e per la Chiesa: Signore, pietà!
E se soprattutto non avvertiamo che Dio non solo è in ogni uomo, ma nell’ultimo, nell’emarginato, nell’umiliato e offeso, nel più povero e dimenticato e magari nell’innocente che paga per noi e continua a pagare; se non abbiamo questa sensibilità della presenza di Dio nell’ultimo di tutti i fratelli, per noi e per la Chiesa: Signore, pietà!
Dio, tu sei la sorpresa senza fine, imprevedibili sono le forme sotto cui ti celi: che nessuno si stanchi di cercarti, Signore. Il segno che ti abbiamo trovato è il fatto che ti cerchiamo ancora e ti cerchiamo sempre, e nessuno osi mai dire: io so tutto di Dio e dell’uomo. Per lo stesso Cristo nostro Signore. Amen.