sabato 27 giugno 2020

Quattro passi per "camminare in una vita nuova" - Tredicesima domenica del tempo ordinario

“Anche noi possiamo camminare in una vita nuova”. Queste parole di Paolo nella seconda lettura le sento molto attuali. Sono invito alla speranza, alla fiducia: si può ricominciare, si possono aprire nuovi cammini. “Possiamo”, è possibile di fatto, “camminare in una vita nuova”.

La domanda che nasce è: in cosa consiste questa vita nuova? Si leggono ogni giorno suggerimenti, inviti, proposte per camminare verso un nuovo futuro dopo questo tempo di prova; sono sollecitazioni ad inventare cammini diversi. Tuttavia noi cristiani sappiamo che questa vita nuova è già iniziata e continuamente si attua qui, oggi, a partire da quel Battesimo che ci ha resi figli di Dio, viventi per Dio, in Cristo Gesù. “Siamo stati battezzati in Cristo Gesù”, ora viviamo con Lui e per Lui, sapendo che “la morte non ha più potere su di Lui”. Lui è la perenne novità che chiama a un cammino sempre nuovo perché mai pienamente realizzato.

Prendendo consapevolezza di questa bella notizia lasciamoci aiutare dalla sua Parola a delineare la vita nuova che deriva da Lui. Nel Vangelo Gesù, con alcuni detti sintetici e al contempo decisi, ci indica la strada. Per ben dieci volte si usa l’espressione “Chi”. In questi “Chi” possiamo identificarci.

Primo passo. “Chi ama padre o madre, figlio o figlia più di me non è degno di me”. Comprendiamo bene: non ci dice di amare meno, di trascurare le relazioni, anzi! Gesù non chiede limitazioni, ma potenziamento. Che consiste nel mettere Lui sopra tutto e tutti. Amare Gesù ‘più di’ madre, padre, figlio, non vuol dire amare meno gli altri, ma amarli meglio, nel modo più autentico e vero. Un detto dice: solo se Dio è al primo posto, tutte le altre saranno al posto giusto. Mettere Gesù - Dio – prima e sopra ogni altra persona o cosa, ci apre a un amore vero che passa attraverso Lui, fino ad amare come Lui ci ha amati. Se in questi mesi abbiamo riscoperto l’importanza e anche la fatica delle relazioni, occorre ora imparare e viverle in modo nuovo, in modo autentico e questo è il primo passo che Gesù ci indica.

Secondo passo. Intraprendere la stessa via di Gesù che è la via della croce, che non si identifica con la sofferenza, piuttosto nel farsi dono. “Chi non prende la propria croce e non mi segue… Chi avrà tenuto per sé la propria vita, la perderà e chi avrà perduto la propria vita per causa mia, la troverà”. Parole che stravolgono i nostri schemi e rinnovano tutto. Nel perdersi, nel donarsi, nel morire a relazioni di possesso, si nasce a relazioni nuove di autentico amore, ci si apre a una vita non certo persa, bensì ritrovata e realizzata. La scelta è tra una vita piena e una vita vuota. Ma è in questo perdersi donandosi la legge vera della vita che porta alla pienezza della vita stessa. Ce lo insegna anche la natura… In questi mesi abbiamo intuito la verità di queste parole in chi ci ha dato esempio di vita spesa a servizio degli altri…

Terzo passo. “Chi accoglie voi, accoglie me…”. Invito a fare dell’accoglienza reciproca lo stile di vita cristiana. L’accoglienza per Gesù è tanto importante che egli non esita a stabilire delle equivalenze sorprendenti: “Chi accoglie voi, accoglie me e chi accoglie me accoglie colui che mi ha mandato”. Accogliere non è buonismo, scelta politica, ma atto di fede, capacità di vedere Dio nel fratello, nella sorella, nel piccolo, nell’ultimo. Resta uno dei segni più importanti per misurare la reale fedeltà al vangelo delle comunità cristiane!.

Quarto passo. “Chi avrà dato da bere anche un solo bicchiere d’acqua fresca a uno di questi piccoli perché è un discepolo, in verità io vi dico: non perderà la sua ricompensa. Dall’accogliere al condividere, all’essere solidali. Che non è solo dare, ma anche ricevere. Si rimane arricchiti dall’altro, si attua uno scambio vitale. Lo ricorda bene anche la prima lettura… Doni un bicchiere d’acqua e ricevi l’eternità, la vita di amore di Dio: ecco la vera ricompensa. E’ la solidarietà concreta verso i piccoli del mondo vissuta da papa Francesco e da tante persone, gruppi, comunità: impariamo dal loro esempio!

Emerge così in tutta la sua novità e concretezza la vita nuova dei figli di Dio. Relazioni nuove che nascono dalla nuova relazione con Dio, il Padre di tutti, che ci vuole figli e fratelli in Lui. Camminiamo dunque in questa novità di vita!

 

mercoledì 24 giugno 2020

Estate - IL CORAGGIO DEL CAMMINO

Ritorno ai pellegrinaggi: segno per tutti

di Francesco Ognibene, dal quotidiano “Avvenire”

Non c’è mai stato un 'lockdown dello spirito', semmai è vero il contrario: proprio la cattività della quarantena coatta ha limitato il perimetro del corpo invitando a estendere quello dell’anima. Come se non potessimo vivere senza un orizzonte più vasto di quello che abbiamo sotto gli occhi. La ricerca di un senso dentro un’esperienza aspra come la reclusione per difendersi da un nemico crudele ha incoraggiato tanti a cercare una buona volta dentro e oltre se stessi le risorse per capire e procedere con una direzione in una vita che a una svolta imprevista ha imboccato una salita da strozzare il fiato. Scoprire o ritrovare la compagnia di una prospettiva estesa ha rimesso in movimento l’interiorità di chi si sentiva confinato dentro le solite categorie, a corto di ciò che dà fiato alla quotidianità. E proprio nella reclusione si è fatta viva la speranza come amica, sorella, madre, compagna indispensabile. Tanto da farsi chiaro che, cessato il confinamento fisico, fosse proprio questa la perla preziosa da custodire nel tempo nuovo che si apre, imprevedibilmente rinvenuta in un campo che si pensava solo sabbia e spine.

È una delle certezze intime – quanto effimera sarà il tempo a dircelo – che ci portiamo dentro, traghettando la nostra vita oltre la caduta di frontiere e restrizioni. Si tratta di non soffocarla tra i rovi dei soliti pensieri, delle categorie abituali, delle ansie che già cercano di riguadagnarsi lo spazio perduto. Ora c’è un germoglio, e lo sappiamo bene: possiamo decidere se coltivarlo proteggendolo dalle erbe infestanti che già crescono, oppure lasciarlo essiccare come un’occasione perduta. Un’altra, peccato. Ma sappiamo bene di aver intravisto una vita diversa, persino gustata pur in settimane di fatiche e limitazioni, anche di dolore. Lasciarne evaporare la visione sarebbe uno spreco, lo sperpero di un senso nuovo delle cose. Ecco perché occorre 'qualcosa' che sancisca un punto di svolta: un’abitudine buona e nuova, la rinuncia a uno dei tanti, superflui arredi della vita 'di prima', ma forse più ancora un gesto, una scelta, un progetto in grado di lasciare un segno. Sappiamo di doverlo a quello che siamo stati – tutti, insieme – in un tempo che resterà comunque uno spartiacque nella grande storia globale e in quella ancor più grande di ciascuno di noi, lo vogliamo o no. Qualcosa va fatto.

Ma cosa?

Forse è meglio interrogarsi con onestà su quel che ci è necessario davvero per vivere, decidere di cosa non poter fare a meno nel tempo che ci attende. A tutti servirà saper sperare, non accontentarsi più del piatto di lenticchie servito dal mercato dei consumi facili, di sé, degli altri, delle cose.

Servirà saper viaggiare, a tutto campo: perché abbiamo visto cosa costa non poterlo neppure programmare, e perché di panorami vasti e nuovi ha bisogno il nostro cuore. Abbiamo bisogno di contemplare, di saper ritrovare sempre una luce interiore che non si lascia smorzare dall’affanno quotidiano. E se ci servisse un pellegrinaggio? La parola è grossa, e forse a qualcuno può suonare antiquata (come a tanti, invece, è cara). La notizia di questi giorni che nel cuore dell’estate riprenderanno, con tutte le cautele, i viaggi organizzati nei santuari mariani d’Italia e d’Europa pare un segnale: siamo forse 'attesi'? C’è in queste proposte un richiamo alle origini. Forse perché la meta è una Madre che ci aspetta ogni giorno, paziente, affettuosa. O forse sentiamo la nostalgia di quello che potremmo essere e che abbiamo ritrovato, magari in un solo istante, proprio dentro l’infuriare della pandemia.

Siamo una promessa, un sogno, un progetto ancora da compiere. E se non sarà un viaggio spirituale con un gruppo, allora potremmo immaginarlo anche solo con chi ci è più caro, o amico, magari nell’intreccio con altre motivazioni (la natura, l’arte, la cucina, l’avventura...). Oppure da soli. Conta mettersi in movimento, sentirsi impegnati a non perdere l’appuntamento con un animo nuovo, più grande, anche solo di un poco. Stare fermi vuol dire tornare indietro, arrendersi a quello che crediamo di essere, o che il mondo sembra dirci di noi. Farsi pellegrini dentro noi stessi nei mesi di aria aperta e sole che ci attendono può invece essere il gesto di coraggio che forse ci è sempre mancato. Se non ora, quando?



 

 

sabato 20 giugno 2020

"Non abbiate paura!" - XII domenica del Tempo ordinario

Ecco la bella notizia di cui abbiamo bisogno: non abbiate paura. Più volte risuona oggi questo invito.

La paura è da sempre il nostro nemico originario: già Adamo ed Eva per paura si nascondono…; per paura si nascondono i talenti…; si ha paura in mezzo alla tempesta; per paura si fugge nella notte della passione e della croce…

La paura avvolge e paralizza la vita. Occorre innanzitutto imparare a riconoscerla. Oggi prevale la paura del virus e degli effetti negativi che porta con se (problemi lavorativi, economici, ma anche ansia, scoraggiamento; e poi la paura della malattia e della morte…). Ma quante altre paure… Viviamo a volte con la paura degli altri, che ci impedisce di guardare l’altro per quello che è realmente;  nasce così la paura dello straniero, del diverso, insieme a pregiudizi, incomprensioni, fino a violenze e odio.

Nei giovani serpeggia spesso la paura di un futuro incerto, del domani e di quanto la vita porterà con sé…

E poi ognuno conosce le paure più intime, personali: le fragilità, le debolezze, le incoerenze, rinnegamenti della nostra fede..… ferite che generano paura e ci chiudono in noi stessi.

L’analisi potrebbe così continuare a lungo.

Gesù non è però venuto per fare la lista delle nostre paure e giudicarci bensì a liberarci, a guarirci dalla paura, a incoraggiarci: non abbiate paura… E lo ripete con insistenza. Soprattutto ci invita a individuarne l’antidoto che può sconfiggere la paura.

Noi pensiamo che ciò che vince la paura è il coraggio. Ma non è così. Se la paura è un veleno che ci paralizza, l’antidoto che la vince e che ci permette poi di trovare anche il coraggio, si chiama fede. La fede è il contrario della paura. Dove c’è la vera fede non può abitare la paura.  Perché avete paura? Non avete ancora fede?”…

Ma “a molti credenti manca solo la vera fede” dicevano i Padri del deserto. Quale vera fede? Certo quella in Dio! Sì, ma in che Dio? A volte rischiamo di avere un’immagine di Dio che suscita Lui stesso paura, sgomento, che ci mette in continuo stato di apprensione… La nostra fede è nel Dio che Gesù ci ha rivelato come Padre. Il Padre che si prende cura di noi come e più dei passeri del cielo e perfino dei capelli del nostro capo. Quel Padre che vede in ciascuno di noi un figlio suo amato e che non abbandona nessuno in balia della morte. Non abbiate paura dunque, voi valete di più…; è una dichiarazione d’amore: ai miei occhi tu vali, voi valete! Il non abbiate paura non sta quindi nel fatto che le difficoltà spariscono, non è invito consolatorio (‘andrà tutto bene’), ma sta nel fatto che dentro tutto ciò che siamo e viviamo Dio è coinvolto, è partecipe, è vicino come Padre che non ci abbandona.

Sta qui la sorgente che genera rinnovata fiducia e coraggio.

Una fede che genera il coraggio per nuove scelte: di vita, di donazione, di servizio, di amore gratuito e disinteressato, di impegno sociale e politico, di cura e custodia del creato. Nuove scelte per superare tante paure e aprirci a un futuro di speranza, per costruire oggi un futuro diverso.

Una fede che genera nuove relazioni: apre al coraggio di guardare all’altro come a un fratello, a una sorella, a riconoscerne la dignità e il valore in ogni momento della sua vita, a costruire relazioni di fraternità, di uguaglianza, di pace e di giustizia.

Apre pure al coraggio di fare della vita un dono totale al Signore, al suo servizio, a servizio della sua chiesa, nella scelta della consacrazione, della missione, del servizio sacerdotale così da “riconoscerlo davanti agli uomini” senza timore, così da “annunciare dalle terrazze” quello che Lui ci suggerisce nell’intimo del cuore. Davanti a noi la figura bella di suor Maria Laura Mainetti: il suo esempio, il suo coraggio!

Tutti comunque, battezzati, siamo chiamati alla scelta di vivere fino in fondo il Vangelo e di testimoniarlo. E’ un coraggio che dobbiamo ritrovare oggi. Un coraggio che non chiede chissà quali gesti eclatanti, ma il vivere il quotidiano alla luce della Parola di Dio. Il coraggio di dire apertamente nella luce, quello che ascoltiamo all’orecchio… Non abbiate paura: ricordiamoci di questa parola di Gesù e viviamo secondo il vangelo, con rinnovato coraggio, confidando nel Padre che Lui ci ha rivelato, nel Suo Amore fedele.

sabato 13 giugno 2020

Mangiare per vivere! - Corpo e sangue del Signore Gesù

Dopo alcuni mesi di “digiuno eucaristico” abbiamo ripreso a celebrare insieme l’Eucaristia. Un digiuno che – mi auguro – ci porti tutti a riscoprire il valore, l’importanza di questo gesto per gustarlo e viverlo maggiormente. Torniamo a Messa più consapevoli, più partecipi, più gioiosi, nonostante i limiti che ci sono ancora richiesti.

Nella Messa c’è tutta la concretezza dell’amore di Dio per noi (che nessuna diretta televisiva potrà mai dare…). La Messa è fatta di corpo e di sangue: di un Dio dono per noi; di noi che facciamo corpo con Lui per imparare a farci dono reciproco.

La festa di oggi fa risuonare nella Parola di Dio questa concretezza: Dio è un Dio che nutre, che offre se stesso, corpo e sangue, la vita tutta per noi. Ricordandoci il legame essenziale tra il mangiare e il vivere: più volte ritorna l’espressione “chi mangia… vivrà”. Per vivere – lo sappiamo bene – occorre mangiare, nutrirsi; senza energie non si cammina, non si fa nulla, non si vive.

E’ per questo che Dio si fa conoscere al suo popolo come il Dio che nutre: già con Mosè nel cammino lungo il deserto Dio nutre il popolo con la manna e gli dona così vita conducendolo alla terra promessa.

Poi manda il suo Figlio: Gesù nasce in una mangiatoia a Betlemme, la casa del pane, e fa della sua vita un dono per tutti, nutrendo l’umanità con il suo amore misericordioso. Per questo si presenta, davanti ai giudei affermando: “io sono il pane della vita”; “se non mangiate la mia carne non avete in voi la vita”.

Pane, carne, corpo e sangue: immagini che dicono di una vita offerta per amore. E Gesù, con la sua vita donata a noi, è sorgente di ogni energia. Con la sua vita alimenta la nostra e ci dona la forza per affrontare il cammino dell’esistenza, con tutte le sue fatiche e prove, in mezzo a ogni deserto.

Questa sua energia inoltre, non è solo sostegno individuale, ma diventa anche legame tra tutti noi che attingiamo ad essa, infatti: “poiché vi è un solo pane, noi siamo, benché molti, un solo corpo: tutti infatti partecipiamo all’unico pane”.

L’eucaristia diventa fermento di comunione, di unità, legame di amore tra tutti coloro che vi partecipano, perché unendoci alla vita di Cristo ci rende il suo corpo, la sua famiglia: “il pane che spezziamo non è forse comunione con il corpo di Cristo?” ci ricorda Paolo. Così dall’eucaristia nasce e si edifica la comunità, la chiesa.

Ecco dunque cosa produce il nutrimento che Dio offre attraverso Gesù: energia vitale per ciascuno (vivrà per me), legame d’amore tra tutti (un solo corpo).

Questo veniamo a celebrare e a vivere ogni domenica. Non “a sentire”, “a vedere”, ma a vivere da protagonisti; qui ad attingere da Gesù vita, forza, capacità di amare.

Per realizzare questo impariamo a venire alla Messa senza dimenticare mai due verbi: “ricordati” e “mangia”.

Ricordati” innanzitutto (1 lett. - memoriale). Ricordati dell’Amore. Ricordati che la tua vita va avanti ed è sostenuta da un’energia d’amore che è Dio. Quando sei stanco e sfiduciato, quando il peccato e il male ti assalgono, quando le forze vengono meno… ricordati che Dio ti nutre, che Lui si è fatto vicino e presente per essere la tua forza, la tua energia vitale. Quando le liti e le divisioni sembrano prevalere, quando l’invidia e l’orgoglio seminano tra noi antipatie e contrasti: ricordiamoci che c’è un pane che unisce, che ci lega di nuovo nella capacità di generare comunione e fraternità. Ricordati dell’amore che Dio ha per te.

Dunque “mangia”. Questo nutrimento non è per i perfetti, ma per i deboli, i peccatori, i fragili. Se sai che Lui ti nutre, non sciupare il dono che ti è offerto. Partecipa al banchetto come commensale, nutrendoti di questa presenza che è Gesù, della sua Parola e del suo Pane. Alimenta e fa crescere così la tua vita battesimale, di figlio di Dio, con la forza del Suo Spirito.

Con questa rinnovata consapevolezza impariamo a vivere la Messa. Non ci servono più Messe – il “pane dei figli, non deve essere gettato..”-; ci servono Messe più vissute con consapevolezza. “Se non mangiate e non  bevete non avete in voi la vita” ammonisce Gesù. “Chi mangia…rimane in me e io in Lui… colui che mangia me vivrà per me”: sono parole chiarissime, che ci dicono la comunione profonda che nasce da questo incontro, da questo lasciarci nutrire, amare, da Dio attraverso Gesù, cibo ed energia che ci sostiene e ci unisce.