sabato 31 ottobre 2015

Siamo una comunione!



La festa di tutti i santi che noi oggi celebriamo è davvero un memoriale dell'autunno glorioso della Chiesa. E’ la festa contro la solitudine, contro ogni isolamento che sta nel cuore dell'uomo.
Oggi noi dovremmo cantare: «Non siamo soli, siamo una comunione!». Oggi dovremmo rinnovare il canto pasquale perché, se a Pasqua contemplavamo Cristo Vivente per sempre alla destra del Padre, oggi, grazie alle energie di risurrezione sprigionate dalla Pasqua, noi contempliamo quelli che sono in Cristo alla destra del Padre: i santi. A Pasqua cantavamo che la vite era vivente, risorta, oggi la Chiesa ci fa cantare che i tralci hanno dato loro frutto, che i tralci mondati e potati dal Padre sulla vite che è Cristo, hanno portato una vendemmia abbondante e che questi grappoli, questi frutti della vite sono insieme un unico vino: quello del Regno di Dio. Se non ci fossero i santi, se noi non credessimo alla comunione dei santi del cielo e della terra, saremmo chiusi in una solitudine disperata e disperante. Non è certo un caso che il «Credo» ci faccia dire nella nostra confessione di fede, non solo «credo nel Padre, nel Figlio e nello Spirito santo», ma anche «credo la Chiesa, credo la comunione dei santi, la remissione dei peccati e la vita eterna». Gesù è venuto perché gli uomini, fatti sue pecore, abbiano la vita e l'abbiano in abbondanza, venuto per fare di noi i veri figli di Dio, realmente, venuto per stare con noi quale fratello, ma anche per portarci là dove lui è. «Dove sono io, voglio che sia anche il mio servo» (cf. Gv 17,24 e 12,26) ha detto Gesù legiferando, con una parola creatrice e forte: non l'ha solo chiesto al Padre, ha detto: «io voglio», con un atto di volontà di Dio, efficace.
Ecco, noi oggi contempliamo questo mistero: i morti con Cristo, in Cristo e per Cristo sono con Lui viventi, sono una comunione di santi, e poiché noi siamo membra del corpo di Cristo ed essi membra gloriose del corpo glorioso del Signore, noi siamo in comunione gli uni con gli altri, Chiesa pellegrinante con Chiesa celeste, insieme formanti l'unico e totale corpo del Signore.
II santo è una presenza per il cristiano e per la Chiesa ed è una presenza efficace. Già la lettera agli Ebrei dice in modo chiaro: «Voi vi siete accostati, con la fede e con la vita ecclesiale, alla Gerusalemme celeste, a miriadi di angeli, all'assemblea festosa dei primogeniti iscritti nei cieli, al Dio giudice misericordioso, agli spiriti dei giusti che sono stati portati alla perfezione, alla pienezza» (cf. Eb. 12, 22 ss). «Noi non siamo soli», dice ancora la lettera agli Ebrei, «ma circondati da una grande nuvola di testimoni» (Eb 12, 1): con loro noi formiamo il corpo di Cristo, con loro noi siamo i figli di Dio e siamo il Figlio di Dio. Se la Chiesa ha voluto che il nostro nome di battesimo fosse quello di un santo, era proprio per abituarci a vedere, a contemplare l'amico, gli amici invisibili e intimi del nostro cammino di fede cristiana.
I santi sono coloro che pregano per noi, intercedono, ci sono presenti e ci sono amici: sono davvero le grandi amicizie. E sono amicizie efficaci, perché la loro volontà è ormai assimilata alla volontà di Dio manifestatasi in Cristo, unico loro e nostro Signore. Senza comunione con i santi, senza comunione con la Gerusalemme celeste, sarebbe davvero vano per noi pensare: e volere la comunione ecclesiale di qui, così come sarebbe assolutamente contraddittorio nutrire tanto amore per la Gerusalemme terrestre. E così noi non siamo soli, ma in Cristo tutti insieme siamo il suo corpo pellegrinante qui fino alla morte, glorioso in cielo per l'eternità.
Un monaco della Chiesa d'occidente.

domenica 18 ottobre 2015

29° domenica del tempo ordinario


“Tra voi però non è così”. Non deve essere così!
Le parole di Gesù chiudono questo episodio, che rivela ancora una volta l’incomprensione dei discepoli e le attese sbagliate nei suoi confronti: “vogliamo che tu faccia per noi quello che ti chiederemo… concedici di sedere uno alla tua destra e uno alla tua sinistra”. Discepoli che desiderano non tanto il realizzarsi della sua volontà, ma della loro, che si rivela volontà di primeggiare e dominare sugli altri.
Le parole di Gesù suonano come chiaro e preciso invito a una ‘differenza’ che deve distinguere il discepolo e la chiesa, da coloro che governano e in genere dalla società tutta. Una ‘differenza’ che deve qualificare nettamente il cristiano e renderlo visibile in mezzo agli altri. “Tra voi non sia così”: cioè tra voi non ci sia la ricerca di privilegi, di dominio fino ad opprimere e schiacciare gli altri.
“Chi vuole diventare grande fra voi sarà vostro servitore, e chi vuole essere il primo tra voi sarà schiavo di tutti”.
E’ la via nuova che Gesù apre al discepolo e alla sua chiesa.
Una via apparentemente strana, se non assurda, in un mondo dove il potere è cercato e non solo da chi governa… ma alla fine da tutti; primeggiare, essere importanti, farsi valere, poter dominare qualcuno o qualcosa, sembra oggi il modo normale di essere e di vivere.
E’ la sottile tentazione del potere che fa capolino anche in noi come lo fece in Giacomo e Giovanni. Tentazione che si manifesta nel nostro piccolo quotidiano: sul luogo di lavoro, nel gruppo, perfino nella coppia a volte, e certamente anche nella comunità cristiana dove non mancano invidie, confronti, voglia di essere primi...
“Tra voi non sia così” avverte Gesù.
Non si tratta solo di un generico invito, e nemmeno di voler assumere uno stile semplicemente alternativo. Quello che Gesù chiede è di essere come Lui, il Figlio di Dio che, invece del potere e della gloria, ha scelto di farsi servo e ultimo per amore. “Il Figlio dell’uomo non è venuto per farsi servire, ma per servire e dare la propria vita”.
“Servo” è la parola che rivela il vero volto di Dio. Gesù è il Dio che si fa servo dell’umanità.
“Il giusto mio servo”, annunciava il profeta Isaia, “giustificherà molti”, aprirà cioè per tutti spiragli di luce, vie di vita.
Gesù è il servo che è venuto a “prendere parte alle nostre debolezze” come ci ricorda la lettera agli Ebrei: possiamo dunque “accostarci con piena fiducia al trono – non del potere, del dominio ma – della grazia – dell’amore gratuito per noi, per ricevere misericordia e trovare grazia, così da essere aiutati nel momento opportuno”. Un servizio d’amore.
Dunque “tra voi non sia così” perché Dio non è così!
Così Gesù si presenta: “Sono venuto per essere servo”. Servo della vita, della nostra vita, per renderci non schiavi ma figli liberi.
Chi domina rende l’altro schiavo; chi serve invece rende l’altro signore. Il padrone fa paura, il servo no. Il padrone esige, il servo invece dona. Il Dio che Gesù ci rivela non è padrone, ma servo. Servo per amore; per amore nostro. Perché “abbiamo la vita e l’abbiamo in abbondanza”. (Gv.)
Non possiamo allora essere suoi discepoli, la sua chiesa, se cediamo alla tentazione del potere e del dominio. Ne diventiamo la contraddizione. Come cristiani siamo chiamati a diventare anche noi come Gesù servi; servi per amore, e mai padroni di nessuno. Ultimi come un servo, e mai ricercatori di privilegi, di posizioni di prestigio, di onori. Solo così noi siamo suoi discepoli e sua chiesa.
Il criterio per distinguere tra chiesa e non chiesa è il criterio del servizio. Dove il servizio reciproco viene disatteso e prevale il dominio, il comando, l’imposizione, la ricerca di privilegi, lì non c’è la chiesa di Gesù perché non c’è Gesù.
Oggi è la giornata missionaria mondiale, che si celebra durante il Sinodo dei Vescovi sulla famiglia.
Missione è la capacità di servire testimoniando così il vangelo, la bella notizia di un Dio che non è padrone, ma servo. Così avviene l’evangelizzazione: non tanto con parole, ma con uno stile che fa trasparire lo stile stesso di Gesù, con una vita che sa mettersi a servizio di tutti e in particolare dei piccoli, degli ultimi, dei lontani.
Gesù servo. La chiesa serva, cioè missionaria, capace di portare ovunque, in ogni ambito di vita (lavoro, scuola, politica e in particolare nella famiglia), un modo nuovo di essere fondato non più sul potere e il dominio che generano arroganza, distanza, lotta, bensì sul servizio che apre alla fraternità, alla gioia, al vero amore; apre alla vera grandezza “perché chi vorrà diventare grande tra voi sarà vostro servitore”, come Gesù che è innalzato proprio perché si è abbassato fino ai nostri piedi. La vera grandezza è considerare ogni persona più grande e più importante di me.
“Tra voi dunque non sia così”: possano le nostre comunità imparare a vivere come Gesù ha vissuto; per essere chiesa che ha ancora la forza e la capacità di essere missionaria, portando a tutti il vangelo della gratuità e della misericordia, quel vangelo che ci offre, nel servire e nell’amare, la via della vera grandezza e realizzazione.

domenica 4 ottobre 2015

27 domenica del tempo ordinario.



Accogliamo la bella notizia di oggi. Potrebbe essere sintetizzata da alcune parole della seconda lettura, la lettera agli Ebrei, che apparentemente sembra fuori contesto con le altre due letture ma di fatto ci dà una chiave interessante di riflessione.

Parlando di Gesù e di noi, afferma che “colui che santifica e coloro che vengono santificati provengono tutti da una stessa origine”, al punto che possiamo riconoscerci fratelli.

Così anche la prima lettura e il vangelo oggi ci rimandano alla “stessa origine”.

“Dall’inizio della creazione Dio li fece maschio e femmina” afferma Gesù, rispondendo ai farisei che lo interrogavano in merito al tema del ripudio della moglie da parte del marito.

C’è un inizio, un’origine comune da cui noi tutti, come da sorgente, veniamo. La pagina della Genesi, in modo poetico, la descrive. Dal pensiero, dal cuore, dalle mani, dal soffio di Dio: e di lui siamo “immagine e somiglianza”, uomo e donna insieme, perché “non è bene che l’uomo sia solo”.

Noi uomini e donne veniamo da un’unica origine: l’amore stesso di Dio. Quel Dio che Gesù ci rivela come comunione di persone, unità di Padre, Figlio e Spirito. Quel Dio che non può stare solo e chiama l’umanità intera a entrare in comunione con Lui. Chiama l’uomo insieme alla donna a diventare segno, anticipo, immagine di questa comunione che è la meta, il destino dell’umanità.

Ecco la bella notizia di oggi: siamo stati fatti per la comunione, per l’unità nell’amore. Fatti per amare, che appunto significa diventare uno, “una sola carne”, una sola persona, una sola umanità.  

E solo così si è immagine di Lui. Uomo e donna voluti l’uno per l’altro uguali in dignità, chiamati ad essere l’un per l’altro “aiuto”: “Voglio fargli un aiuti che gli corrisponda”. E da sempre la donna diventa per l’uomo aiuto, salvezza possibile e vicina, al suo fianco per vivere. E da sempre l’uomo trova nella donna parte di se stesso per poter arrivare a vivere nell’amore. E’ il disegno splendido di Dio, il suo progetto. “L’uomo dunque non divida quello che Dio ha congiunto”.

Ciò significa che allora tutto quello che contrasta questo progetto, tutto quello che chiama in gioco divisione, lotta, sopraffazione, diversità, è male.

“Per la durezza del vostro cuore” dice Gesù si è arrivati a leggi che giustificano il ripudio, ma ciò è contrario al disegno di Dio che chiama all’unità, alla comunione di vita.

“Mosè ha permesso di scrivere un atto di ripudio” certo, ma perché l’uomo, a causa del cuore di pietra, si scopriva incapace di un amore vero. Ma la strada da seguire non è capire se è lecito o meno ripudiare l’altro (come chiedono i farisei), ma bensì imparare ad amare per saper vivere relazioni profonde, vere, che portino a una comunione totale così che “i due diventeranno una carne sola”, cioè una sola nuova persona, non più due, ma uno.

Il vero male è la divisione: in ogni ambito, non solo nel matrimonio. La divisione è contro Dio, perché Dio è comunione, unità. La divisione invece è diabolica (diavolo significa appunto colui che divide) e quando noi siamo istigatori di divisione, siamo diavoli, contrari al progetto di Dio.

E’ bello osservare come Gesù, davanti alla domanda fatta apposta “per metterlo alla prova”, non si chiude dentro questioni giuridiche strettamente legate al discorso sul matrimonio, ma apre l’orizzonte, il respiro, al progetto ancor più ampio del Creatore.

Quasi a ricordarci che tutti siamo chiamati a viverlo, in ogni situazione in cui la vita ci pone, tutti siamo chiamati a diventare uno. Certamente il matrimonio in primo luogo chiama a vivere questa unità e a manifestarla, ma è anche quanto dobbiamo realizzare tra le famiglie, nella comunità, tra i popoli. E’ l’intera umanità, fatta di uomini e donne che  “provengono tutti da una stessa origine” che è chiamata a diventare “una sola carne”, una sola famiglia.

Oggi conosciamo tutti la fatica di tante coppie nel vivere un matrimonio di comunione. Conosciamo tutte le complesse questioni giuridiche e etiche che ogni situazione di relazione tra persone porta con sé. Conosciamo tanti fallimenti e sconfitte; tante sofferenze.  

Come cristiani e come chiesa siamo chiamati a seguire l’esempio di Gesù. Di fronte alla questione spinosa del ripudio, della divisione, Gesù non emette sentenze né leggi, ma compie un annuncio, l’annuncio bello sebbene esigente che viene “dal principio”, dalla volontà di Dio.

E’ questo annuncio che dobbiamo come chiesa saper ripetere a quanti fanno fatica e sono in situazioni di fallimento nel vivere le loro relazioni; senza giudicare, senza emarginare, ma solo offrendo misericordia e ricordando al cuore di ciascuno la sorgente e la meta, la comunione d’amore per cui siamo fatti, affinché, anche davanti agli sbagli, che tutti possiamo compiere, non si spenga la fiducia e la speranza di poter ricomporre o ricostruire relazioni nuove, sempre più vere e profonde.

Ma, oltre alle divisioni matrimoniali, conosciamo pure tante lacerazioni anche tra le famiglie, tra gruppi e persone di cultura, di religione, di provenienza diverse e anche all’interno della stessa chiesa. Sappiamo quanto, la sottile tentazione della divisione, del ripudio dell’altro, corre nascosta in mezzo e dentro tutti noi. Il cuore allora si fa duro, si sclerotizza, diventa incapace di ricordare che è l’amore la chiave di tutto, che è la comunione la sorgente e la meta. 
Occorre tornare al principio e al cuore. Tornare bambini perché “a chi è come loro appartiene il regno di Dio”. Curioso questo finale tra Gesù e i bambini. E’ un’indicazione preziosa. Solo tornando a un cuore di bambino, ciò pronto a fidarsi totalmente dell’altro, di Dio, del fratello, della sorella che abbiamo accanto, possiamo ritrovare la capacità di essere costruttori di unità e di comunione ovunque.