sabato 25 novembre 2023

Gesù, Signore e Re dell'universo

 

In questi giorni si parla molto, e giustamente, di educare all'affettività, alle relazioni, al rispetto. Ma forse alla base occorre anche ripensare a una educazione alla libertà. 

La libertà è il dono più grande che possediamo ma può essere anche l’arma letale che distrugge noi stessi e gli altri.

Da cosa dipende? Dipende da chi o cosa guida le sue scelte.

Se l’unico orientamento della libertà è il nostro io, essa rischia di mettere in pericolo noi stessi e coloro che ci vivono accanto. Non è più libertà ma liberismo: un fare quello che ci pare e piace senza affatto pensare alle conseguenze che ciò determina per noi e per gli altri. Di esempi ne è piena la cronaca.

Una libertà autenticamente vissuta ha bisogno di un preciso e valido riferimento e orientamento. Al nostro io che pretende di comandarci, occorre proporre qualcosa o qualcuno fuori di noi, che diventi guida e riferimento sicuro.

Comprendiamo meglio allora il senso della festa odierna.

Dire Cristo re, significa dire Cristo riferimento, orientamento, guida alla nostra libertà perché essa generi scelte di vita. Questo almeno per noi cristiani. A chi non crede sono possibili altri riferimenti che guidino la loro libertà: i diritti umani, la Costituzione, i valori universali e così via. Per noi credenti questi riferimenti si sintetizzano tutti in una persona, il signore Gesù che oggi, proclamando re, riconosciamo come riferimento primo e ultimo della nostra libertà.

Re non perché ci fa schiavi e sottoposti ai suoi voleri, ma bensì perché desiderando guidarci alla pienezza della vita ci dona la vera libertà dal male e dalla morte: “in Cristo tutti riceveranno la vita” (2 lett.).

Inoltre non si può portare a pienezza la vita nostra e altrui senza regole, orientamenti che appunto salvaguardino la vita stessa. ‘Re’ sta come radice a ‘regole’. Il re, saggio, è colui che indicando regole guida il suo popolo al massimo splendore.  Per noi cristiani in questo senso Gesù è re e ci dona la vera libertà rendendoci figli liberi e amati e illuminando il nostro cammino con la luce della verità: “io sono re. Per questo io sono nato e per questo sono venuto nel mondo: per dare testimonianza alla verità. Chiunque è dalla verità, ascolta la mia voce" dirà davanti a Pilato nel giorno del suo processo. La Sua Voce ci guida alla pienezza di questa libertà ovvero alla vita di comunione definitiva con il Padre e lo Spirito nel suo Regno.

Un re dunque che non usa il potere per affermare sé stesso bensì per dare vita al suo popolo. Un re pastore come lo presenta il profeta nella 1 lettura e poi anche il vangelo. “Come un pastore, radunerò, condurrò, farò riposare, andrò in cerca della pecora perduta, di quella smarrita, fascerò quella ferita e curerò quella malata, avrò cura della grassa e della forte le pascerò con giustizia”.

Esercita la sua regalità con amore: un amore tutto riversato sul suo popolo, un amore che si apre, si dona, si perde per l’altro, per ciascuno di noi. E così facendo ci dice quale verità deve guidare e orientare la nostra libertà: l’amore gratuito e senza interesse.

Questa l’unica regola, questo l’unico riferimento, questo sarà l’unico metro di valutazione al termine della nostra vita.

Se ami di un amore disinteressato, capace di riconoscere il valore e la dignità dell’altro, del più piccolo, anzi di riconoscere nell’altro Dio stesso, “l’avete fatto a me”, la tua libertà sarà capace di generare scelte di vita, di bene, di pace, di giustizia. Di generare già ora nella storia il Regno di Dio.

Se sarà invece il tuo io a comandare le tue scelte ne nascerà un amore tossico che porta alla solitudine e alla lontananza. “via lontano da me”, alla schiavitù, alla morte.

Come risuona attuale oggi questo messaggio e questa festa di Cristo re. In un tempo dove rischiamo di fare della nostra libertà l’idolo assoluto, impedendo così la libertà dell’altro, diventando incapaci di vedere nell’altro un tu da accogliere e amare ma solo qualcosa da possedere o da eliminare nella misura che soddisfa o meno i nostri capricci. In questo tempo oscuro e tragico abbiamo bisogno di recuperare il senso profondo della libertà, di riorientarla al vero e al bene, per ritornare più umani, capaci di costruire relazioni autentiche e fraterne. Per questo abbiamo bisogno di nuovo di riconoscere, ascoltare, seguire Gesù quale re-pastore della nostra vita, che ci orienta a quella vera libertà che si attua nella capacità di amare come Lui ci ama.

 

sabato 18 novembre 2023

XXXIII domenica del tempo ordinario

 

Cinque, due, uno… non iniziamo a fare la conta di quanto abbiamo, delle capacità e delle qualità. Non è questo che conta. La parabola di oggi sembra voler dire altro: non vivere per mettere al sicuro te stesso, le cose e i doni che hai, ma rischia, impiega, mettiti in gioco, realizza te stesso.

Non conta se hai poco o tanto: Dio non è un banchiere che conta quanto produci, ma un padre che desidera vedere i suoi figli capaci di valorizzare la loro vita.

Per Lui conta non quanto tu restituisci o produci, conta che tu abbia il coraggio di mettere in gioco te stesso, la tua vita le tue capacità il tuo tempo, e non di ‘assicurarla’ per restituirla intatta, non di seppellirla per paura.

Dio è pronto a farci prendere parte alla sua gioia, alla sua vita, se di questa nostra vita abbiamo avuto il coraggio di non tenerla stretta per noi, vivendo al minimo, ma di condividerla con generosità, di spenderla a servizio degli altri.

Questa nostra vita, dono splendido e grande, Dio lo mette nelle nostre mani, nelle mani della nostra libertà.

Dono diverso e particolare per ciascuno. Ma non da mettere in ‘sicurezza’ bensì spendere e giocare per Lui e per gli altri.

Questo chiede a noi anche attenzione e vigilanza, come ci ha ricordato Paolo, per non lasciarci ingannare dalle tenebre, dal male, per non farci rubare la vita ma piuttosto renderla sempre più luminosa, quali “figli della luce e del giorno”. Oggi viviamo in un contesto sociale ed economico dove invece prevale l’idea dell’accumulo per sé, del possesso finalizzato a sentirsi grandi e superiori agli altri. E questo è un inganno che genera ingiustizia, crescente disparità sociale, povertà in aumento.

Ci è chiesta più responsabilità e solidarietà: ce lo ricorda la donna della prima lettura che rappresenta il popolo, la sposa a Dio gradita, capace di mettere sé stessa e i suoi beni a servizio in particolare dei poveri: “apre le sue mani al misero, stende la mano al povero”.

E’ anche l’invito che papa Francesco ci rivolge in questa giornata mondiale dei poveri che la chiesa tutta oggi vive. Papa Francesco ci invita innanzitutto a uno sguardo attento e coraggioso: “Non distogliere lo sguardo dal povero” (Tb 4,7). E’ il tema di questa giornata. Non solo guardare, vedere il povero ma non distogliere, cioè tenere fisso lo sguardo su di lui. Quando siamo davanti a un povero non possiamo voltare lo sguardo altrove, perché impediremmo a noi stessi di incontrare il volto del Signore Gesù.

Siamo chiamati a incontrare ogni povero e ogni tipo di povertà, scuotendo da noi l’indifferenza e l’ovvietà con le quali facciamo scudo a un illusorio benessere.

Viviamo un momento storico che non favorisce l’attenzione verso i più poveri. Il volume del richiamo al benessere si alza sempre di più, mentre si mette il silenziatore alle voci di chi vive nella povertà”.

Oggi la Parola ci richiama a saper vivere nella condivisione, nella solidarietà, operando per generare giustizia, fraternità e pace.

La vita allora non diventa sfida a chi rende di più schiacciando magari gli altri, ma coraggio di metterci tutti in gioco con ciò che si è e si ha – e ognuno è prezioso e importante – perché nel servizio reciproco si costruisca una umanità più giusta, fraterna e solidale.

“Ringraziamo il Signore perché ci sono tanti uomini e donne che vivono la dedizione ai poveri e agli esclusi e la condivisione con loro; persone di ogni età e condizione sociale che praticano l’accoglienza e si impegnano accanto a coloro che si trovano in situazioni di emarginazione e sofferenza. Non sono superuomini, ma “vicini di casa” che ogni giorno incontriamo e che nel silenzio si fanno poveri con i poveri. Non si limitano a dare qualcosa: ascoltano, dialogano, cercano di capire la situazione e le sue cause, per dare consigli adeguati e giusti riferimenti. Sono attenti al bisogno materiale e anche a quello spirituale, alla promozione integrale della persona”.

Non seppelliamo la nostra vita sotto il macigno della paura e dell’egoismo, ma entriamo anche a noi nel numero di coloro che con generosità e gioia sanno fare della loro vita una condivisione di doni per generare un futuro di fraternità, di giustizia e di pace.

sabato 11 novembre 2023

XXXII domenica del tempo ordinario

 

“Il regno dei cieli sarà simile…”. Così si apre la parabola ascoltata. E qui sta anche la chiave per la sua comprensione.

Il Regno dei cieli che Gesù è venuto ad annunciare e a impiantare in mezzo a noi è, lo sappiamo, la presenza tra noi di Dio che guida la storia verso un orizzonte di pienezza e di pace. E’ cammino verso un futuro pensato come una festa di nozze, ci dice la parabola; un incontro, un abbraccio con un Dio rivelato a noi non come giudice temibile, ma bensì come sposo ardente, che ci attende e ci ama da sempre.

Tuttavia – e qui la parabola lo puntualizza bene – sono possibili ritardi: dov’è questo regno di pace e di giustizia? Dov’è questo sposo desiderato? La storia che viviamo, giorno dopo giorno, evidenzia fatiche, stanchezza, ritardi. Tutto sembra segnato dalla crudeltà del male e della violenza che apportano scoraggiamento, delusione. La notte prende il sopravvento, il male, come sonno della coscienza, ci chiude gli occhi e ci spegne il cuore. Anche noi, oggi, come comunità ci stiamo forse addormentando, non abbiamo più la forza di lottare, non riusciamo più a vegliare, a tenere il cuore pronto per lo sposo che torna. Stiamo veramente vivendo quest’ora di buio, di ritardo, di delusione che può condurci a disperare nell’uomo e in Dio.

Ma la parabola continua: proprio nella notte si accende una luce, si ode una voce “Ecco lo sposo!”.

Quali parole più belle di queste. Ci dicono che non c’è notte che non possa essere vinta dalla Sua Presenza. In ogni notte, in ogni abbandono e stanchezza, una voce viene a svegliarci dalla vita sonnolenta. E’ forse un’esperienza già fatta più volte nel nostro cammino: quando non ce la facevamo più ed ecco all’improvviso una parola amica, una mano tesa, qualcuno che si prende cura di noi, un’occasione propizia, una scintilla che si riaccende. E’ la speranza. E’ lo sposo che si fa presente per riaccendere il nostro cuore e risollevarci dal sonno e dalla notte verso un alba di luce. Qui sta il cuore della parabola, la bella notizia che ci viene annunciata.

Poi il racconto continua e vuole mettere in luce che a questa bella notizia occorre che corrisponda la nostra disponibilità.

Occorre farsi trovare pronti, nonostante la fatica del sonno e del buio, occorre non far venir meno in noi l’olio che dà luce alla nostra vita. Misterioso questo olio che non tutte le ragazze hanno a disposizione. Il vangelo non ci dice in cosa consista. In esso però possiamo vedere l’energia, che occorre non far venire meno, per dare luce alla nostra vita. Non sprecare, non sciupare le energie che ci sono in te, sembra dirci Gesù.

Occorre dare energia alla nostra vita proprio per essere pronti in ogni istante a rispondere con decisione, a reagire con determinazione al male e alla notte per riaccendere luci di speranza e di bene. Custodire in noi questo olio, queste energie che ci vengono donate dall’Alto, dallo sposo stesso: la Sua Parola, il Suo Spirito. Questa è saggezza e vera sapienza. Solo così allora si compie l’incontro, le porte si aprono, la festa si fa possibile, il Regno di compie.

E’ invito che Gesù ci rivolge: “vegliate, state pronti”. Ovvero: alimenta in te tutte le energie positive, dando fondo a tutte le tue risorse, a tutto ciò che è buono, bello e vero, così da oltrepassare ogni notte, vincere ogni sonno, e costruire relazioni vere e costruttive. Così da non stancarsi di operare per quel regno di pace e di giustizia già in crescita silenziosamente in mezzo a noi. Perché lo Sposo c’è e arriva nonostante ogni ritardo, nonostante ogni notte. Perché la tua vita è carica dell’olio del Suo amore che ti rende capace di accendere relazioni fraterne, di compiere gesti di riconciliazione e di pace, di generare opere di bene e di amore ogni giorno.

“Non sapete né il giorno né l’ora”: così Gesù chiude il racconto. Ma adesso sappiamo che ogni giorno e ogni ora sono un’occasione unica perché, accogliendo lo sposo, possiamo con lui generare il suo regno, diffondere la sua presenza, accendere sempre quella speranza che ci fa credere che ogni notte è solo provvisoria. La luce è la prima e l’ultima parola.