sabato 23 settembre 2023

XXV domenica del tempo ordinario

 

“I miei pensieri non sono i vostri pensieri, le vostre vie non sono le mie vie” dice Dio attraverso il profeta nella prima lettura.

E oggi il vangelo ci chiama proprio a mettere da parte i nostri schemi, le nostre idee, i nostri modi molto umani di pensare, per fare spazio alla novità sorprendente che viene annunciata.

Una parabola da leggere come tale e quindi come annuncio nascosto e sorprendente di un di più che non sempre riusciamo a cogliere.

Dietro all’immagine del padrone emerge pian piano il volto del padre, il volto di Dio. Di un Dio che porta tutti, primi e ultimi nel suo cuore. E proprio a tutti vuole partecipare il suo amore, la sua generosità e bontà. Davanti a Lui non reggono le regole del merito, del profitto, e nemmeno l’arrivare prima degli altri. C’è solo una regola: nessuno escluso dalla vigna, nessuno lasciato ai margini, tutti considerati figli amati e abbracciati, a ogni ora, dal suo amore di Padre.

Questo può sorprenderci perché noi siamo così abituati a guardare alla resa, all’impegno, a ciò che uno fa, a volte accecati dall’invidia (“tu sei invidioso perché io sono buono?”), al punto da stilare una classifica di giudizi, di ricompense, di aspettative; come i lavoratori della prima ora. Ma diverso l’agire di Dio, i suoi pensieri.

E questa parola risuona oggi in questa giornata mondiale dei migranti, ed è proprio in questo contesto che possiamo accoglierla. Nessuno escluso, tutti chiamati a far parte di un’unica vigna-umanità. Questo Dio vuole.

C’è innanzitutto in questa pagina una forte provocazione a una visione di Dio ben diversa da quella che a volte abbiamo. Occorre allora che facciamo nostro il suo pensiero, applicando oggi uno stile nuovo di relazioni; solo così possiamo stare dalla sua parte e… difendere Dio se ce ne fosse bisogno!

C’è poi una seconda provocazione a un modo alternativo di impostare la società stessa, l’economia, il lavoro. Non nella prospettiva del merito, del profitto, bensì in quella della condivisione, della compartecipazione di tutti, anche degli ultimi, degli stranieri, al futuro del mondo. E questo chiede allora pensieri diversi da quelli della difesa, della chiusura, della paura. Chiede il pensiero di Dio che non vuole che alcuno resti escluso, nessuno sia lasciato senza far niente, senza il diritto a vivere con dignità. A Dio interessa la persona, prima ancora della sua vigna, del successo del raccolto. È un padrone che non pensa al proprio guadagno, ma pensa prima di tutto agli operai: non toglie nulla ai primi, aggiunge agli ultimi. Non sottrae nulla, dona. Non è ingiusto, ma generoso. La giustizia umana si limita a dare a ciascuno il suo, quella di Dio è dare a ciascuno il meglio. Il suo desiderio è che ciascuno si senta realizzato, valorizzato, che ciascuno trovi un modo per essere utile nella sua vigna, quella vigna che è molto simile al mondo dentro il quale ci ritroviamo e nel quale siamo chiamati a dare il nostro contributo.

Davanti agli enormi problemi di oggi, alla questione sempre più grave delle migrazioni causate da guerre, violenze, fame e malattie, cambiamenti climatici che riducono a deserto immensi territori, oggi dobbiamo guardare a queste persone come a fratelli e sorelle a cui ridare dignità, speranza, futuro, vita. Come fa il padrone della vigna verso quelli dell’ultima ora. Dobbiamo tornare a mettere al primo posto la persona, ogni persona per garantire a tutti dignità, libertà (anche di muoversi o di rimanere) e una vita serena nella pace. 

“Amici, davanti a noi si pone un bivio: da una parte la fraternità, che feconda di bene la comunità umana; dall’altra l’indifferenza, che insanguina il Mediterraneo. Ci troviamo di fronte a un bivio di civiltà. O la cultura dell’umanità e della fratellanza, o la cultura dell’indifferenza: che ognuno si arrangi come può. Noi credenti, dunque, dobbiamo essere esemplari nell’accoglienza reciproca e fraterna.” (Papa Francesco venerdì a Marsiglia)

Anche noi allora, senza esitare, come ci ha detto Paolo nella seconda lettura: “Comportiamoci dunque in modo degno del vangelo di Cristo.”

 

sabato 16 settembre 2023

XXIV domenica del tempo ordinario

 

Le domande di Pietro - quante volte perdonare? fino a quanto? - sono un po’ anche le nostre, perché alla fine un limite ci deve pur essere…

«Non ti dico fino a sette, ma fino a settanta volte sette»: è la risposta che spiazza Pietro e i nostri calcoli. L'unica misura del perdono – ci dice Gesù - è perdonare senza misura, generosamente, gratuitamente, sempre. È questione di qualità più che di quantità.

Ma perché devo perdonare? Perché devo rimettere un debito e dunque rimetterci? Perché cancellare l'offesa ricevuta da mio fratello? La risposta è molto semplice: perché così fa Dio.

Il motivo per cui siamo chiamati a vivere il perdono tra noi non sta in una legge, in un obbligo, ma solo nel modo di agire di Dio.

“Ricordati” ammonisce il Siracide nella prima lettura. “Ricordati della fine e smetti di odiare”; “Ricordati dell’alleanza dell’Altissimo e dimentica gli errori altrui”. Ricordati cioè dell’amore del Signore per te e quindi “non odiare il tuo prossimo”.

Paolo nella seconda lettura, aggiunge: “nessuno di noi vive per sé stesso… se noi viviamo, viviamo per il Signore”. È proprio questo ‘riferimento primo’ al Signore che deve plasmare il nostro modo di vivere, di stare con gli altri, e dunque di saper perdonare gli altri. Così come il Signore, in cui viviamo, da cui siamo amati senza misura e limite, allo stesso modo dobbiamo agire verso gli altri.

Gesù lo dice con la parabola dei due debitori.

Il primo doveva una cifra enorme al suo signore, qualcosa come il bilancio di uno stato: un debito insolvibile.

«Allora il servo, gettatosi a terra, lo supplicava...» e il re provò compassione. Ecco il volto splendido e nuovo di Dio: modello della compassione; sente come suo il dolore del servo, prende a cuore la sua situazione, si commuove e ascolta il suo grido - il nostro grido - e il debito viene totalmente estinto.

Non è tanto un dimenticare, ma un guardare oltre, dare nuove opportunità e questo a motivo della compassione che abita il cuore del re e lo spinge a usare questa più che il diritto e la legge.

Il perdono non è dimenticare, ma trasformare: usare quella compassione che trasforma l’altro rendendolo capace di un nuovo inizio.

Il servo perdonato, «appena uscito», trovò un servo come lui che gli doveva qualche denaro. Subito vorremmo vedere questo nuovo inizio; ci aspetteremmo un sorriso, la gioia e di conseguenza la stessa compassione, ricevuta e ora donata.

«Appena uscito»: non il giorno dopo, non un'ora dopo. «Appena uscito», appena dopo aver fatto l'esperienza del perdono, «presolo per il collo, lo strangolava gridando: "Ridammi i miei centesimi"», lui perdonato di miliardi!

In fondo, era suo diritto: lui è giusto e spietato.

L'insegnamento della parabola è chiaro: rivendicare i miei diritti non basta per essere secondo il vangelo, per vivere come figlio di Dio. La giustizia non basta per fare l'uomo nuovo. «Occhio per occhio, dente per dente», debito per debito: è la linea della giustizia. Dio invece ci chiede di seguire la via della compassione che diventa misericordia, perdono.

«Non dovevi forse anche tu aver pietà di lui, così come io ho avuto pietà di te?» Non dovevi essere anche tu come me? Questo è il motivo del perdonare: fare ciò che Dio fa.

Chiamati dunque a perdonare: non si tratta di un di più, ma di una scelta che ci qualifica come discepoli, come cristiani.

Cammino faticoso, lento, ma cammino da compiere se vogliamo “vivere per il Signore” e così costruire e anticipare il suo Regno: “Il regno dei cieli è simile a un re” “buono e grande nell’amore” (Salmo).

Siamo chiamati a diventare, a piccoli passi, con pazienza, pur con tanta fatica, profezia di questo nuovo modo di agire e vivere, imparando l’arte e il coraggio del perdono. Perdonare non è debolezza, ma atto di grande coraggio; non è rinuncia, ma scelta di amare alla massima potenza; di amare come Dio. Il perdono altro non è che il vertice dell’amore, il modo più alto di amare. Solo Dio ne è veramente capace. Noi, che in lui viviamo, siamo tuttavia chiamati a camminare verso una sempre più crescente capacità di amare perdonando come Lui ci ama.

sabato 9 settembre 2023

Festa della Madonna del Soccorso


8 SETTEMBRE – 

Festa della Natività della B.V. Maria

SANTUARIO DELLA MADONNA DEL SOCCORSO

Sacro Monte di Ossuccio (CO)

 

OMELIA DEL VESCOVO DI COMO, CARD. OSCAR CANTONI


Ogni volta che veniamo in questa casa di Maria si ha l'impressione di essere finalmente giunti a casa, perché attesi, desiderati e accolti come figli che trovano riparo e consolazione dalla propria Madre.

Tale è il mio e il vostro sentimento in questo momento di fede, e insieme di gioia e di festa. Siamo Figli amati, che ritornano a casa per festeggiare la propria Madre, nel giorno della memoria della sua natività. Ella precede come l'aurora "il sole che sorge dall'alto”, Cristo Signore. A Maria affidiamo le nostre speranze, ma anche confidiamo le nostre paure, le fatiche nostre e quelle dei nostri figli.

Come ci narra il vangelo di oggi, con la sua incarnazione, Dio non è più un essere misterioso, nascosto tra le nubi, bensì Qualcuno che ci viene accanto e familiarizza con noi. Come ogni uomo, il figlio di Dio, Gesù Cristo, ha preso carne, ossa, voce e sangue inserito in un popolo preciso, dentro un cammino storico ben determinato, non sempre lineare, per indicarci fin da subito che siamo solidali gli uni gli altri, che nessun uomo é un'isola, che tutti siamo inclusi in un piano di salvezza, in cui ciascuno deve fare la sua parte, in una collaborazione reciproca.

Il progetto di Dio ha una sua logica, non sempre capita da noi uomini. Egli ci chiede una presenza attiva e corresponsabile.

È intervenuto nella vita di Giuseppe, lo sposo di Maria, perché la accogliesse con ogni premura e Giuseppe ha accolto e obbedito.
Attraverso un angelo, che ha fatto una improvvisa irruzione nella casa di Maria a Nazareth, le ha chiesto di diventare madre del suo Figlio, strumento attraverso cui recare al mondo la salvezza e la gioia e Maria ha risposto con il suo sì, "eccomi"!

Dio chiede anche a noi di essere vigilanti per poter rispondere oggi ai suoi appelli e divenire con Lui co- protagonisti di una storia di salvezza, a favore di tutti.

La nostra risposta, come quella di Giuseppe, come quella di Maria, determina precise conseguenze storiche, che interessano tutti gli altri.

Anche noi possiamo sentirci attivi e responsabili nel costruire la pace e la fratellanza, oggi, in un mondo che soffre proprio per mancanza di questi due elementi indispensabili per la vita del mondo.

La pace si costruisce e si realizza nel mondo solo se noi, per primi,  diventiamo coraggiosi uomini e donne di pace.

Non è semplice divenirlo, è una lotta interiore che non è tolta a nessuno, perché in noi abita spesso un desiderio di rivalsa nei confronti di torti subiti, la voglia di distinguerci o di primeggiare, la fatica nel riconoscere umilmente i nostri errori e chiederne perdono. Ogni volta che reagiamo con freddezza o con acredine o semplicemente con istintivita' nei confronti degli altri, è compromessa addirittura la pace nel mondo!

Perché se la pace è dono di Dio, nello stesso tempo è affidata alla nostra responsabile audacia nel volerla e poi nel costruirla.
Sull' esempio di Maria, chiediamo l'umiltà del cuore perché la pace possa trovare spazio dentro di noi, innanzitutto, e poi in coloro che hanno nelle loro mani il destino del mondo e le sorti dei popoli.
Chiediamo a Maria di appoggiare il nostro sincero desiderio di guardare all'altro come un fratello, nell'unica famiglia umana.

Affidiamo a Maria, nostra madre, il desiderio di pace che avvertiamo nel profondo di noi stessi. E preghiamo perché i nostri governanti non si preoccupino solo degli interessi del loro popolo, ma si impegnino per promuovere nel mondo intero la pace, nelle nazioni in guerra e soprattutto nella martoriata Ucraina.

Oscar card. CANTONI