domenica 27 marzo 2016

Gli occhi bagnati di lacrime possono di nuovo vederti e credere. Tu sei il Vivente, colui che si è fatto povero per noi, per rendere tutti noi ricchi del tuo amore, della tua vita. Prendici per mano perché possiamo vivere con Te da risorti ed essere sempre e ovunque oasi della tua misericordia.

AUGURI DI BUONA PASQUA!

 

lunedì 21 marzo 2016

Un'esperienza di iconografia e di spiritualità



Dalle tenebre
alla luce… 
  del Tuo volto
Cristo PantocratorCristo Pantocrator

Un’ esperienza 

di iconografia 

e di spiritualità


organizzata da “La Tenda di Mamre” in collaborazione con il Centro Diocesano Vocazioni e sotto la guida di Flavio Arosio.

Una settimana per imparare a scrivere un’icona

nella ricerca del Suo volto


dalla domenica 21 alla domenica 28 agosto 2016

presso il SANTUARIO DELLA MADONNA DEL SOCCORSO

Il corso propone l’esperienza della pittura completa di un’icona, attraverso tutte le sue tappe, evidenziandone la tecnica, l’estetica e la teologia in essa racchiuse.

Il soggetto che si dipinge è l’icona di Cristo, il suo volto, modello che ricapitola ogni volto umano.

La tradizione nel cui spirito si impara a lavorare è quella della Chiesa cristiana orientale.

La tecnica che viene applicata è quella dell’iconografia russa del periodo aureo (XV-XVI secolo), con accenni alle altre tecniche.

La guida del corso, per la parte tecnica, è Flavio Arosio.

I MATERIALI:
tavola gessata, pennelli, pigmenti e altri materiali saranno forniti durante il corso.

OCCORRE PORTARE:

-          La Bibbia.

-          Un grembiule, la riga e la squadra, il compasso, le forbici, alcune matite colorate.

-          Per il pernottamento: lenzuola o sacco a pelo e federa cuscino, asciugamani.

Arrivo: previsto per il pomeriggio di domenica 21 agosto: inizio alle ore 17.30 con la celebrazione dei Vespri.

Da lunedì 22 a sabato 27 le giornate seguiranno in genere il seguente schema:
-          ore 7.30 Lodi
-          dalle 9 alle 13 lavoro sull’icona
-          pranzo
-          ore 15.30 Lectio: ripensiamo il lavoro svolto alla luce della Parola di Dio.
-          ore 17.00 s.Messa e vespri
-          cena e condivisione

Conclusione: Domenica 28 agosto con S.Messa alle ore 10.30, benedizione delle icone e pranzo.

I posti disponibili sono otto (8);
occorre dare la propria iscrizione telefonicamente o via email
(345 4403829 – sergmanti@gmail.com)

La quota di partecipazione, comprendente vitto, alloggio e materiale di lavoro è di euro 250,00.

La Chiesa crede che nell’ICONA risplenda la bellezza del volto umano e divino di Gesù Cristo: essa è un “luogo” privilegiato ove incontrarlo.


“Non ti mettere a dipingere Cristo.
A lui bastò l’umiltà di assumere la forma corporea:
e tu dipingi piuttosto nella tua anima e in modo spirituale il Cristo”

(Asterio di Amasea, Omelia I, IVsec.)


Il desiderio vivo di approfondire un rapporto personale ed intimo con il Signore nella preghiera, nell’ascolto della Parola, nella liturgia, nel silenzio, nella condivisione, è quanto proponiamo in questi giorni ed è anche un ausilio indispensabile per chi vuole dedicarsi all’iconografia.


“Riflettendo come in uno specchio la gloria del Signore, veniamo trasformati in quella medesima immagine, di gloria in gloria, secondo l’azione dello Spirito del Signore”

(2Cor.3,18)



sabato 19 marzo 2016

Gesù entra nella morte, come è entrato nella carne.

Inizia con la Domenica delle Palme la settimana suprema della storia e della fede. Il cristianesimo è nato da questi giorni “santi”, non dalla meditazione sulla vita e le opere di Gesù, ma dalla riflessione sulla sua morte.
Il Calvario e la croce sono il punto in cui si concentra e da cui emana tutto ciò che riguarda la fede dei cristiani.
Per questo improvvisamente, dalle Palme a Pasqua, il tempo profondo, quello del respiro dell'anima, cambia ritmo: la liturgia rallenta, prende un altro passo, moltiplica i momenti nei quali accompagnare con calma, quasi ora per ora, gli ultimi giorni di vita di Gesù: dall'entrata in Gerusalemme, alla corsa di Maddalena al mattino di Pasqua, quando anche la pietra del sepolcro si veste di angeli e di luce.
Sono i giorni supremi della storia, i giorni del nostro destino.
E mentre i credenti di ogni fede si rivolgono a Dio, e lo chiamano vicino nei giorni della loro sofferenza, noi, i cristiani, andiamo da Dio, stiamo vicino a lui, nei giorni della sua sofferenza. «L'essenza del cristianesimo è la contemplazione del volto del Dio crocifisso» (Carlo Maria Martini). Stando accanto a lui, come in quel venerdì, sul Calvario, così oggi nelle infinite croci dove Cristo è ancora crocifisso nei suoi fratelli, nella sua carne dolente e santa. Come con Gesù, Dio non ci salva dalla sofferenza, ma nella sofferenza; non ci protegge dalla morte, ma nella morte. Non libera dalla croce ma nella croce (Bonhoeffer).
La lettura del Vangelo della Passione è di una bellezza che mi stordisce: un Dio che mi ha lavato i piedi e non gli è bastato, che ha dato il suo corpo da mangiare e non gli è bastato; lo vedo pendere nudo e disonorato, e devo distogliere lo sguardo.
Poi giro ancora la testa, torno a guardare la croce, e vedo uno a braccia spalancate che mi grida: ti amo. Proprio a me? Sanguina e grida, o forse lo sussurra, per non essere invadente: ti amo.
Perché Cristo è morto in croce? Non è stato Dio il mandante di quell'omicidio. Non è stato lui che ha permesso o chiesto che fosse sacrificato Gesù, l'innocente, al posto di tutti noi colpevoli, per soddisfare il suo bisogno di giustizia. «Io non bevo il sangue degli agnelli, io non mangio la carne dei tori», quante volte l'ha gridato nei profeti! La giustizia di Dio non è dare a ciascuno il suo, ma dare a ciascuno se stesso, l'intera sua vita. Ecco allora che Incarnazione e Passione si abbracciano, è la stessa logica che prosegue fino all'estremo. Gesù entra nella morte, come è entrato nella carne, perché nella morte entra ogni figlio dell'uomo. E la attraversa, raccogliendoci tutti dalle lontananze più perdute, per tirarci fuori, trascinandoci con sé, in alto, con la forza della sua risurrezione.
(Letture: Isaia 50,4-7; Salmo 21; Filippesi 2,6-11; Luca 22,14-23,56) 

di Ermes Ronchi, tratto da Avvenire.

Verso la fine dei lavori interni al Santuario...

Nelle giornate di lunedì 21, martedì 22 e mercoledì 23 verrà smantellato il ponteggio all'interno del Santuario che ha permesso il totale restauro della volta e delle pareti della chiesa. I lavori continueranno poi per alcune settimane, ma già potremo ammirare la bellezza del lavoro realizzato.
Nei giorni 21, 22 e 23 ci saranno limitazioni all'accesso al Santuario a causa dei lavori di smontaggio ponteggio.
In anteprima alcune immagini della volta e del gruppo che ha realizzato il restauro (ditta CRD Restauri).




domenica 13 marzo 2016

Quinta domenica di Quaresima



La scena: una donna accusata. La legge mosaica parla chiaro: chi è adultero deve essere lapidato. Non ci sono altre vie d’uscita.
Una trappola ben tesa dalla quale Gesù– così pensavano gli scribi e i farisei – non potrà sfuggire: infatti se dirà ‘non va lapidata’ si mette contro la Legge; se dirà ‘lapidatela’, smentisce se stesso e il suo messaggio di misericordia che è venuto ad annunciare.
Ma ecco al sorpresa: Gesù con la sua risposta finisce col mettere in trappola gli stessi scribi e farisei. “Chi di voi è senza peccato, scagli per primo la pietra contro di lei”.
Gesù mette tutti con le spalle al muro, obbliga tutti a spostare il loro sguardo sul loro cuore, sul loro comportamento. E ognuno da quella frase si sente messo sotto osservazione e giudizio. Non certo da Gesù, che non pronunzia alcun giudizio su alcuno, ma dalla propria coscienza.
Anche noi non possiamo restare indifferenti; siamo costretti a guardarci dentro, scoprendo, senza alcuna fatica, che anche noi siamo peccatori, che siamo, pur in modi diversi, nelle stesse condizioni di quella donna.
E chi allora, segnato dal peccato, può osare farsi giudice di un suo simile?
La scena cambia: il cerchio, attorno a Gesù e alla donna si scioglie fino a scomparire: “udito ciò se ne andarono uno per uno, cominciando dai più anziani fino agli ultimi”. “Rimase solo Gesù con la donna là in mezzo”.
Osserviamo ora questa scena fatta di gesti e parole: lui è ancora piegato, per la seconda volta, a scrivere per terra…
Forse iniziamo a capire meglio: questo suo piegarsi sulla terra è un piegarsi su noi tutti, sull’umanità intera, per scrivere, col dito di Dio, come fu con Mosè, la nuova legge del perdono e dell’amore, per riscrivere un nuovo cammino di vita.
Ecco ora si alza: bello questo alzarsi davanti alla donna peccatrice come davanti a una persona importante!
Si avvicina, le parla; la chiama ‘donna' con il nome che ha usato per sua madre a Cana. Non è più la peccatrice, è donna di nuovo. “Donna dove sono? Nessuno ti ha condannata?” “Nessuno Signore”.
Ora la guarda, e non come un oggetto da esaminare e giudicare (come invece la guardavano i farisei), No. Diverso è il suo sguardo. Vede in lei non un caso da risolvere, ma un essere vivo da rispettare: è una creatura che soffre, da non umiliare ulteriormente. Vede, certo il suo peccato, ma soprattutto scorge in lei la sua dignità.
E mentre tutti erano pronti a lanciare pietre su di lei, Gesù ne riscrive una storia nuova che ricomincia con il perdono e si ricostruisce in una nuova capacità di amare. “Neanch’io ti condanno. Va’ e d’ora in poi non peccare più”.
Si apre ora una storia nuova, dove alla libertà ritrovata si unisce il perdono del peccato e un appello a nuova responsabilità, una chiamata a nuovo impegno per riscrivere in lei quell’immagine di Dio storpiata dal peccato: “Va’ e d’ora in poi non peccare più”.
Gesù dunque non rinnega affatto la Legge, non chiude un occhio sul peccato, non scusa la donna per un peccato che sicuramente ha commesso. Gesù vuole però che il giudizio di Dio sia di Dio, non dell’uomo;
l’uomo non può arrogarsi questo diritto: tutti siamo peccatori. E il giudizio di Dio non è mai senza una possibilità di salvezza, perché Dio non vuole la morte, ma la vita.
Nell’incontro tra ‘la miseria e la misericordia’ (come s.Agostino definisce questo racconto) Gesù regala a quella donna - e a tutti noi - la speranza. Una speranza più forte di ogni peccato. Condanna il peccato, la miseria, non condanna il peccatore, usa misericordia. E con il perdono lo riabilita e lo apre alla speranza di una vita nuova, di un futuro nuovo.
 “Non ricordate più le cose passate, non pensate più alle cose antiche! Ecco faccio una cosa nuova”.  A questo punto comprendiamo meglio anche le parole del profeta nella 1 lettura. La novità lì promessa, definita ancor più sorprendente della liberazione dalla schiavitù egiziana, è la novità stessa manifestata da Gesù.
“Ecco faccio una cosa nuova: proprio ora germoglia, non ve ne accorgete?”. Forse il dramma è proprio qui. Non ce ne accorgiamo.
Andiamo avanti immersi nei nostri schemi, nel nostro modo abituale di catalogare gli altri, Dio, noi stessi e non ci accorgiamo che invece Dio ha rovesciato tutto, ha scompigliato i nostri schemi, ha buttato all’aria i nostri giudizi. In Gesù fa germogliare la novità sconvolgente del suo amore misericordioso che ha la forza di aprire un futuro là dove tutto sembrava fosse perduto. Ha la capacità di ridare speranza a chi, a causa del suo passato, si sente soffocare dall’angoscia e dalla disperazione.
La presenza di Gesù è la novità assoluta: una presenza che cambia il destino di ciascuno di noi.  Cambia il nostro modo di guardare verso l’altro, sentendo ogni creatura come parte di noi stessi e quindi a vivere la misericordia e il perdono reciproco. Cambia poi il nostro modo di guardare a Dio e ci svela il suo vero volto di perdono e misericordia. La presenza di Gesù poi cambia anche il nostro modo di guardare a noi stessi e alla storia perché ci fa comprendere che non c’è fallimento che non possa essere superato; non c’è caduta dalla quale non ci si possa rialzare; non c’è peccato che non possa essere perdonato.
Così come ha condotto anche Paolo – che nella 2 lettura ci riporta la sua esperienza: conquistato da Cristo, proprio mentre era caduto così in basso perseguitando i suoi fratelli, si apre anche per lui un futuro nuovo. E invita anche noi a camminare verso questa novità: “Io non ritengo ancora di esservi giunto questo soltanto so: dimentico del passato e proteso verso il futuro, corro verso la meta… perché sono stato conquistato da Gesù Cristo”. 
Corriamo anche noi verso la Pasqua vicina, come lui pronti a lasciarci conquistare da Cristo, dal suo sguardo di misericordia, dalle sue parole di verità, dai suoi gesti di perdono.

sabato 5 marzo 2016

Quarta domenica di Quaresima



“Costui accoglie i peccatori e mangia con loro”. Sta in questa frase il motivo che porta Gesù a raccontare questa splendida parabola. I farisei e gli scribi lo criticano e lo rimproverano perché accetta di stare a tavola con pubblicani e peccatori. Il racconto che segue non fa che ritrarre nel figlio più giovane l’atteggiamento dei pubblicani e dei peccatori e nel figlio maggiore quello degli scribi e dei farisei. Ma più ancora mette in luce il vero volto di Dio.
Proviamo oggi a leggere questa parabola al ’plurale’. Proviamo a vedere in essa descritta la nostra umanità; come uomini e donne oggi si relazionano con Dio e tra di loro.
Nei due figli della parabola siamo descritti tutti noi nel nostro modo – spesso sbagliato - di metterci in relazione al Padre che rappresenta Dio. Come il primo figlio, alcuni vedono Dio come un concorrente, uno che ci impedisce di vivere con libertà e dunque uno da cui fuggire, allontanarsi per essere veramente liberi. E’ la scelta di tanti che, mettendo Dio da parte, ritengono di poter pienamente realizzare la loro vita con libertà e autonomia, seguendo solamente se stessi. Altri invece, come il secondo figlio, il maggiore, rimangono nella casa, riconoscono Dio, ma lo reputano unicamente uno da servire, più padrone che padre, uno a cui si deve rendere conto; vivono così questa relazione con Lui senza gioia, come un dovere da compiere, anche con qualche lamentela…
Comprendiamo come in questo modo di relazionarsi con il padre-Dio, anche la relazione tra i due figli, che di fatto sono fratelli, viene guastata e diventa contrapposizione, critica, rifiuto dell’altro, invidia, presunzione di essere migliori…
L’unico che invece rimane sempre identico è Dio, che nella parabola è rappresentato dal padre. Un padre il cui atteggiamento verso questi suoi figli è splendido, commovente, umanamente impensabile. Basta riprendere ciò che fa al ritorno del primo figlio: “lo vide, ebbe compassione, gli corse incontro, gli si gettò al collo e lo baciò…disse portate il vestito, l’anello, i sandali (gli abiti non dello schiavo, ma del figlio), mangiamo e facciamo festa”. E poi con figlio maggiore che si chiude nella sua arroganza e indignazione: “uscì a supplicarlo… tu sei sempre con me e tutto ciò che è mio è tuo”. Commovente questo amore smisurato del Padre che ha a cuore unicamente il bene, la felicità dei suoi figli e fa di tutto perché, da lui amati, accolti, perdonati, essi possano stare insieme in quella casa che tutti può e vuole accogliere.
Dio è così, ci dice Gesù con questa parabola. Non è come noi lo pensiamo: concorrente alla nostra libertà o padrone da servire quasi per forza. No. E’ padre che ama, di un amore di misericordia che non ha misura. Un amore che ha un solo scopo: la nostra felicità e realizzazione; la nostra capacità di vivere insieme come fratelli.
Ecco che emerge ciò che oggi è essenziale per il cammino di tutti noi: che riscopriamo il vero volto di Dio per ricostruire con lui e tra noi una relazione nuova, fondata sulla misericordia che è amore che accoglie e perdona.  
Per andare avanti occorre tornare…non indietro, ma tra le braccia del Padre. Tornare a Dio. “Lasciatevi riconciliare con  Dio. Lui ci ha riconciliati con sé mediante Cristo”. Solo così “le cose vecchie sono passate; ne nascono di nuove” perché “se uno è in Cristo è una creatura nuova”. Ecco la novità, il cambiamento atteso: matura solo nel tornare al Padre, a quel Padre che Cristo ci annuncia e ci rivela.
Occorre che torniamo tutti – vicini o lontani, figli prodighi o fratelli maggiori – a metterci sotto lo sguardo del Padre, lo sguardo della sua misericordia, per tornare così ad essere e a vivere da figli e da veri fratelli tra noi.
Occorre ripartire dalla misericordia e questo anno ne è l’occasione.
Occorre questo nuovo sguardo che ci aiuta a vedere gli altri con occhi nuovi. Occorre imparare dal Padre a vedere da lontano, a correre incontro, ad abbracciare e baciare, a rivestire di dignità, a gioire e fare festa per ogni fratello e sorella che sono parte della grande casa del mondo.
Occorre una chiesa, una comunità cristiana, che torni alla misericordia del Padre e diventi capace di generare misericordia. “A noi Dio ha affidato il ministero della riconciliazione, della misericordia”. Questo è il servizio che la chiesa deve offrire al mondo di oggi. Rivelare il vero volto di Dio misericordioso, padre che tutti ama e accoglie; attraverso una vita che sia trasparenza di Lui, sia attuazione di gesti e di scelte di misericordia, che aiutino tutti a sentirsi accolti, partecipi dello stesso amore, chiamati a stare nell’unica casa che è il mondo, come fratelli che si riconoscono amati e perdonati da Colui che desidera solo il nostro vero bene.
Questa sarà la vera Pasqua. “Oggi ho allontanato da voi l’infamia..” dice il Signore a Giosuè – nella prima lettura – quando il popolo finalmente torna alla terra promessa e celebra la prima Pasqua. 
Possa anche oggi il Signore allontanare da noi ogni infamia, ogni male e accoglierci come figli desiderosi di vivere in una rinnovata relazione d’amore con Lui e tra tutti noi. Ripartiamo tutti insieme dalla Misericordia. "La Misericordia è la forza che tutto vince, che riempie il cuore d'amore e che consola con il perdono" (papa Francesco).