sabato 25 marzo 2023

"Vieni fuori!" - Quinta domenica di Quaresima

 

L’enigma della morte interroga tutti: credenti e non.

La morte ci richiama alla nostra fragilità di creature.

La Parola di Dio ascoltata oggi non ci dà risposte e spiegazioni, ma ci fa incontrare con Colui che è più forte della morte e che la morte stessa non è riuscita a tenere in suo potere: Gesù.

Un messaggio di speranza esce con forza dalle righe di questo episodio: la morte vinta e sconfitta dalla vita che è Gesù “Io sono la risurrezione e la vita”. Non una risposta, non una spiegazione, bensì una presenza che condivide, un Dio amico che piange con noi, che lotta con noi, che prende su di sé la nostra morte. “Guarda come lo amava!”, “Gesù scoppiò in pianto”.Una forza scorre sotto tutte le parole del racconto: non è la vita che vince la morte. La morte, nella realtà, vince e ingoia la vita. Invece ciò che vince la morte è l’amore. E capisco che Lazzaro sono io. Io sono Colui–che–tu–ami, e che non accetterai mai di veder finire nel nulla della morte”. (E.Ronchi)

Lui ci prende per mano e ci dice: non temere, “non ti ho detto che se crederai vedrai la gloria di Dio?”. E la gloria di Dio è l’uomo vivente! Gesù è il Dio con noi venuto, non per togliere la morte, ma per condividerla con noi, mettendosi con amore al nostro fianco, soffrendo e piangendo con noi, amandoci, e così liberarci dalla paura della morte, per indicarci un orizzonte di vita e di speranza che va oltre la morte stessa.

L’amore è più forte della morte. L’amore di Dio rivelato in Gesù; ma anche ogni amore umano: amore di genitori che si spendono per dare vita ai figli, ai disabili, agli ultimi, amore dei volontari che mettono a repentaglio la loro vita per salvarne altre, l’amore di medici e infermieri che danno vita e danno la vita. Ogni goccia di amore rende la vita più forte della morte.

E questo Amore più forte della morte ha un nome: lo Spirito di Dio che ci avvolge e ci abita. Non c’è morte dunque che non possa essere vinta se siamo nell’amore del Padre, con Cristo, la vita. Se il suo Spirito in noi. “Farò entrare in voi il mio spirito e rivivrete!” scrive il profeta Ezechiele nella prima lettura. Conferma Paolo nella seconda: “dal momento che lo Spirito di Dio abita in voi”, lasciandoci da lui guidare, possiamo passare verso la pienezza della vita.

Noi siamo abitati dalla Vita di Dio, siamo per la vita, perché abbiamo conosciuto e incontrato l’Amore di colui che è “la risurrezione e la vita”. “Chi crede in me anche se muore vivrà; chiunque vive e crede in me, non morirà in eterno! Credi questo?”.

Credere è accogliere la sua Parola e non solo una generica professione di fede: infatti anche Marta, subito dopo, davanti a Gesù che dice:”Togliete la pietra” ha un attimo di esitazione: “Signore, già manda cattivo odore, è lì da quattro giorni”. Credere non è solo professare una fede, ma accogliere una Parola che ha dello sconvolgente, che può suonarci assurda e difficile da capire. Ma “non ti ho detto che, se crederai, vedrai la gloria di Dio?”. E ancora risuona la Parola: “Lazzaro vieni fuori!”. E la Parola fa risvegliare la vita: “Il morto uscì”.

La sua Parola strappa anche noi dalle nostre tombe se abbiamo il coraggio e la fede di ascoltarla e accoglierla: a noi ancora dice Gesù: “vieni fuori”.

La parola che Gesù rivolge a colui che ama, a noi tutti, è invito a cammini di novità: “Togliete la pietra! Vieni fuori! Liberatelo!”. Attraverso la forza della Parola di Gesù anche noi affrontiamo ogni realtà segnata dalla morte offrendo a chi abbiamo vicino tutta la forza dell’amore che vince la morte e che apre a novità, che invita a venir fuori, a liberarci da ogni legaccio di egoismo per tornare a riabbracciare la vita, a costruire con speranza il futuro nostro e di tutta l’umanità.

sabato 18 marzo 2023

"Vedere oltre" - Quarta domenica di Quaresima

 

Nel vangelo oggi torna più volte il verbo vedere.

Si parla di vedere, ma con effetti diversi. C’è chi vede ma non riconosce, e chi non vede ma arriva allo sguardo profondo della fede, al credere.  E’ proprio tutta una questione di sguardi. Già lo ricordava Dio al profeta Samuele, mandato a ungere Davide (1lettura): “Non guardare al suo aspetto… non conta quel che vede l’uomo; l’uomo vede l’apparenza, ma il Signore vede il cuore”.

Come sono vere queste parole. Il nostro sguardo il più delle volte sa solo fermarsi all’apparenza, all’esteriorità e si fa sguardo che critica, giudica, condanna, cataloga, esclude… Come i discepoli che vedono e subito si chiedono “chi ha peccato?”; come i farisei che vedono ma si fermano ai loro schemi, all’esteriorità di una legge non rispettata perché era sabato: diventano così spietati giudici, incapaci di vedere la novità che era lì sotto i loro occhi.

Sguardi diversi: alcuni colpevolizzanti, altri solidali, pieni di misericordia, come lo sguardo di Gesù che “vide” e si avvicinò, toccò con mano, sanò gli occhi del cieco.

Qual è il nostro modo di vedere le persone, i fatti e gli eventi della vita? di leggere questo momento critico e difficile che tutti di interpella? il nostro modo di guardare agli altri e a Dio?

Sguardi superficiali e pronti a ‘fare le misure’ a tutto e a tutti, sguardi impauriti e carichi di pessimismo, o sguardi profondi che aprono a speranza, fiducia, offrono vicinanza e solidarietà?

Abbiamo bisogno di imparare sguardi nuovi.

I nostri occhi sono forse abituati a vedere di tutto e di più, ad immagazzinare così tante immagini e il più delle volte tristemente negative che anche il nostro sguardo poi ne resta condizionato, indebolito, malato.

Lasciamo che Gesù stesso si fermi vicino a ciascuno di noi per sanare i nostri occhi, gli occhi del nostro cuore e della nostra mente, così che abbiano ad essere capaci di vedere le cose come realmente sono e le persone in tutta la loro verità, quali figli e figlie amati dal Padre.

Occhi che sappiano riconoscere, pur in mezzo a una realtà di estrema preoccupazione e difficoltà, gli spiragli di luce che sono dentro la nostra storia, proprio in queste situazioni complesse e drammatiche, per vedere così la Sua Luce che sempre ci accompagna e ci guida; per riconoscere la Presenza in mezzo a noi di un Dio che afferma: “Io sono la luce del mondo”. Non c’è tenebra che non venga vinta dalla luce!

Allora possiamo arrivare anche noi di nuovo a dire: “Credo Signore!”. Credo che tu mi hai, ci hai, illuminati da sempre. Credo che è la tua luce che ci abita ed è più forte di ogni tenebra. Aver fede è acquisire «una visione nuova delle cose» (G. Vannucci). E’ acquisire una sguardo profondo che sa riconoscere, nascosto ma presente, il Dio della vita, che non si stanca di accompagnare il nostro cammino per generarlo a nuova luce, perché Lui è luce da luce!  E a Lui affidarci.

Il Vangelo di oggi ci chiede lasciarci guarire per riacquistare una vista nuova, un volto raggiante. Come è possibile?

Il ‘passarci accanto’ di Gesù rende possibile tutto ciò.

Fin dal Battesimo, mentre venivamo portati per essere lavati nell’acqua della vita, ci è stato detto: “Ricevi la luce di Cristo” .

Per questo Paolo non esita a ricordarci (2 lettura): “Un tempo eravate tenebra, ora siete luce nel Signore”. Poi aggiunge, usando il testo di un inno utilizzato proprio nella celebrazione del battesimo dai primi cristiani: “Svegliati tu che dormi, risorgi dai morti e Cristo ti illuminerà”.

In questo cammino quaresimale verso la Pasqua, Gesù possa di nuovo aprire i nostri occhi, convertire i nostri sguardi, risvegliarci dal nostro sonno che ci immerge, a volte senza che ce ne rendiamo conto, nelle tenebre del male.

Grazie a Lui possiamo veramente essere “luce nel Signore” e “comportarci come figli della luce”. Che significa, ricorda ancora Paolo, capaci di vivere con “bontà, giustizia e verità, cercando ciò che è gradito al Signore”, dentro questi nostri tempi oscuri e drammatici.

Con Gesù i nostri occhi possano abbandonare lo sguardo superficiale, che si ferma solo all’apparenza, per imparare lo sguardo nuovo di Dio che sa vedere in profondità, e come Lui saper andare al cuore di ogni persona, situazione e cosa per riconoscere la sua Presenza di Luce che sempre accompagna i nostri passi.

domenica 12 marzo 2023

"Dammi da bere" - Terza domenica di Quaresima

 

Propongo questa riflessione di P. Gaetano Piccolo S.I. sul vangelo di Gv.4,5-42

 

Tutti ci portiamo nel cuore un desiderio profondo e umanamente incolmabile, il desiderio di essere amati. È proprio come la sete: non possiamo farne a meno. È un desiderio che non si colma mai fino in fondo, è una voragine, non ci sembra mai di essere amati abbastanza. E per questo ci sentiamo feriti, come se nessuno riuscisse mai a comprenderci in questa nostra aspirazione così impellente e urgente. Da sempre, la sete è l’immagine più frequente per indicare il desiderio: ci possono mancare infatti tante cose, ma di alcune non possiamo fare a meno. Proprio come non possiamo fare a meno dell’acqua, così non possiamo rinunciare al nostro anelito ad essere oggetto dell’amore di qualcuno. E per questo ci mettiamo a cercare o aspettiamo e, a volte, cerchiamo anche nei luoghi sbagliati, chiediamo là dove non c’è l’acqua che cerchiamo. Il Signore invece ci conosce fino in fondo e ci viene incontro per rispondere a quella nostra sete d’amore che solo lui può colmare.

Anche la donna Samaritana del Vangelo di Giovanni è una donna che desidera essere amata, ha sete, e forse ha cercato una risposta alle sorgenti sbagliate. Giovanni colloca l’incontro di questa donna con Gesù accanto a un pozzo, un luogo che nell’Antico Testamento è spesso associato ai matrimoni, dove ci si incrocia o dove si combinano le nozze. È un incontro che avviene a un orario insolito, a mezzogiorno, quando, a causa del sole alto, si preferisce restare in casa o all’ombra. Eppure questa donna va a prendere stranamente l’acqua al pozzo proprio in quell’ora, sottoponendosi a una fatica durissima e rischiando di riportarsi a casa un’acqua già calda. Possiamo immaginare che se sceglie di andare al pozzo proprio a quell’ora è esattamente per non incontrare nessuno! Non vuole essere vista, perché probabilmente la gente conosce la sua storia, una storia fatta anche di errori, una storia che la gente, come sempre avviene, ha già giudicato e condannato.

Ma l’ora sesta, mezzogiorno, è anche l’ora in cui c’è più luce. Giovanni ci vuole dire forse che quell’incontro è un momento di luce, un momento di rivelazione: da una parte infatti Gesù si rivela, si fa conoscere, ma dall’altra parte Gesù fa luce nella vita di questa donna, fa emergere la sua storia. È una storia in cui ci sono cinque mariti più un altro uomo, che non è neppure un marito. Forse è l’immagine di quella ricerca di amore che non ha trovato risposta. Si tratta di sei uomini in tutto: il numero sei indica un’imperfezione e rimanda a un settimo, la completezza, manca infatti lo sposo vero, colui che è in grado di colmare quella sete d’amore.

Questo incontro tra la donna samaritana e Gesù rischia di naufragare a causa dei rapporti difficili tra i popoli cui appartengono, occorre andare al di là degli schemi e dei pregiudizi. Per rendere possibile questo incontro, Gesù si fa vedere povero, indigente, bisognoso: chiede da bere, confessa la sua sete, chiede a questa donna di prendersi cura di lui. Quando infatti ci facciamo vedere potenti e capaci, è facile che gli altri si allontanino da noi. L’umiltà apre uno spazio in cui l’altro può entrare senza sentirsi minacciato.

Gesù aiuta questa donna a far emergere la sua storia, non per giudicarla, ma per aiutarla a capire dove può trovare quello che cerca. Quando però questa donna si rende conto che Gesù sta toccando la sua storia, comincia a difendersi e lo fa attraverso alcuni pensieri che allontanano l’attenzione dalla sua vita: parla di luoghi della fede, di attese messianiche, di differenze cultuali. Sono quei modi eleganti e cerebrali con cui, talvolta anche nella nostra preghiera, cerchiamo di impedire alla Parola di Dio di toccare la nostra vita.

Gesù oltrepassa queste resistenze e quando la donna samaritana parla di attesa del Messia, Gesù coglie l’occasione per rivelarle la cosa più importante: colui che aspetti sono io che ti parlo. Questa frase è effettivamente una meravigliosa dichiarazione d’amore: Gesù è colui che colma il nostro profondo desiderio di essere amati.

Il testo del Vangelo di Giovanni ci presenta effettivamente una donna innamorata, al punto che corre via per annunciare la sua esperienza. Portare il Vangelo effettivamente significa innanzitutto portare la propria esperienza di essere amati: questa donna si è sentita ascoltata, capita e perdonata. Giovanni aggiunge a questo punto un dettaglio delicato e significativo: la donna samaritana corre via lasciando la sua anfora ai piedi di Gesù. Quell’anfora, a ben guardare, rappresenta il suo passato, il peso che si sentiva costretta a portarsi sulle spalle a causa della sua storia. Ora può lasciare quel peso ai piedi di Gesù: è una donna riconciliata con la sua vita. Il suo desiderio ha trovato finalmente risposta.