sabato 30 luglio 2022

"Saggi, liberi, responsabili" - XVIII° domenica del Tempo Ordinario

 

La Parola che oggi è risuonata in mezzo a noi non vuole intimorire e spaventare nessuno anche se i toni sono forti. “Vanità delle vanità tutto è vanità”,”Tutti i giorni non sono che dolore e fastidi penosi”, “Tu fai ritornare l’uomo in polvere… siamo come l’erba che germoglia, al mattino fiorisce e germoglia, alla sera è falciata e secca…”. “Stolto, ti sarà richiesta la tua vita. E quello che hai preparato di chi sarà?” “Fate morire ciò che appartiene alla terra.”

E’ una Parola che vuole come sempre illuminare il nostro cammino e le nostre scelte verso una vita veramente felice.

Una Parola dunque non per farci paura ma per renderci saggi, liberi, responsabili.

Innanzitutto per renderci saggi. Di una sapienza che non corrisponde alla conoscenza. Sono due cose diverse. Si può conoscere di tutto e di più ma non essere saggi. E’ il rischio che oggi facilmente si corre: una conoscenza diffusa su tutto che rende spesso arroganti, presuntuosi, orgogliosi. La vera sapienza invece rende umili. Essa nasce non dall’intelligenza, ma dal cuore e consiste nel saper valutare saggiamente ogni cosa. “Insegnaci a contare i nostri giorni e acquisteremo un cuore saggio” ci dice il salmista. E ‘contare’ non sta nel numerare ma nel fare memoria di ogni nostra giornata per saper cogliere, nel cuore, il valore di ogni cosa. Imparare a leggere i fatti, la storia, le cose, i beni, la natura cogliendo il bene, il vero e il bello che in tutto è presente, riconoscendo umilmente la nostra provvisorietà e il nostro limite per aprirci con fiducia alla vita e a Colui che della vita è il creatore. Ecco il saggio.

La Parola ci porta alla vera libertà, al diventare liberi e non schiavi delle cose e dei beni. Il saggio impara questo distacco del cuore che sa conservare, davanti a tutto e a tutti, la libertà interiore, non attaccandosi avidamente a ciò che si possiede, proprio perché la sapienza ci ricorda che tutto è ‘vanità, cioè effimero, soffio che passa. Così liberi da saper gustare e valorizzare tutto ma senza voler tenere per se ogni cosa. Per la persona saggia e libera non ha senso allora la parola ‘proprietà’, “mio” (come nella parabola: i miei raccolti, i miei magazzini, i miei beni, la mia vita, anima mia…) poiché ciò che ho non è mio ma mi è dato in usufrutto e a nostra volta lo consegneremo ad altri, come ricorda la Parola.

Ecco allora che questa stessa Parola ci guida a saper usare ogni cosa con responsabilità. Ci rende saggi, liberi e responsabili. Quella responsabilità di chi sa agire riconoscendo il valore di ogni cosa senza possederla in modo esclusivo ma anzi rispettandola, impiegandola, utilizzandola per il bene-essere di tutti. Pensiamo ad esempio l’uso del denaro, il rispetto o lo sfruttamento della natura, lo spreco o il giusto utilizzo del cibo e delle risorse a nostra disposizione…

Essere responsabili in fondo si riassume nel saper “arricchire davanti a Dio”, nel saper passare dal ‘mio’ al ‘nostro’, a differenza dello stolto irresponsabile che pensa solo a sé ”Stolto, questa notte stessa ti sarà richiesta la tua vita. E quello che hai preparato (accumulato) di chi sarà?. Così è di chi accumula tesori per sé e non si arricchisce presso Dio”.

Ecco allora che da questa riflessione vengono alla luce due modi opposti di vivere, di affrontare la vita e di usare le coese, i beni, il creato. Due modi che Paolo nella seconda lettura sintetizza con le espressioni “uomo vecchio” e ”uomo nuovo”. Il primo è l’uomo tutto rivolto alla terra, nel senso di un attaccamento morboso per possedere, avere, dominare che porta a ”quella cupidigia che è idolatria”, è ‘l’uomo divoratore, consumatore’. L’uomo nuovo invece è Gesù, al quale siamo anche noi uniti grazie al Battesimo; il Risorto che ci invita ad alzare lo sguardo per riconoscere tutto come dono dall’alto e per vivere su questa terra con gli occhi al cielo. Questo uomo nuovo, l’uomo ‘generatore’, colui che sa “arricchire presso Dio” imparando a fare della vita un dono a Lui e all’umanità usando del creato, dei beni frutto di lavoro e di fatica, per costruire una società più giusta e solidale, più fraterna. Una umanità più saggia, libera e responsabile.

 

sabato 23 luglio 2022

"Nel respiro del Padre" - XVII domenica del tempo ordinario

“Gesù si trovava in un luogo a pregare”. Questo fatto ha suscitato attenzione, interesse. Infatti, vedendo Gesù pregare “uno dei suoi discepoli gli disse: Signore, insegnaci a pregare”. Insegnaci a fare come fai tu, a entrare in questa relazione così profonda con Dio che ti trasforma il volto, la vita. “Insegnaci a pregare” è la richiesta del discepolo. Perché a pregare si impara: e si impara solo da Lui, l’unico maestro e Signore.

“Insegnaci a pregare” e non insegnaci le preghiere…
Pregare è cosa differente dalle preghiere, dalle formule, dai riti. Pregare è entrare nella relazione d’amore con Dio riconosciuto e amato come Padre.

Anche noi abbiamo bisogno, sempre, di imparare a pregare. Sappiamo anche tante preghiere, ne diciamo forse anche molte, ma ciò non significa che sappiamo pregare, che preghiamo. La preghiera di Gesù non è questione di parole recitate, ma di un cuore aperto, accogliente, disponibile, in ascolto verso il Padre.

Solo da un cuore così in sintonia con Dio possono nascere parole semplici e profonde come quelle che Gesù ci suggerisce: “Quando pregate dite: Padre nostro…”.

C’è dunque anche un dire ma che deriva da un aver posto un atto di fiducia totale in Dio.

Un Dio non pensato come Colui che fa ciò che gli dico, Colui che deve risolvermi ogni problema, Colui che – se c’è – deve far andare tutto per il verso giusto… Queste sono nostre idee di Dio; immagini di Dio che impediscono la preghiera cristiana.

Gesù ci dice: Dio è Padre. Solo se a Lui ci si affida totalmente, allora si può entrare in una relazione d’amore, come figli insieme al Figlio, pronti a riconoscere la Sua presenza, il suo amore, la sua volontà e vivere con Lui e per Lui. “La preghiera cristiana è dialogo tra persone che si amano, un dialogo basato sulla fiducia, sostenuto dall’ascolto e aperto all’impegno solidale” (P.Francesco)

E’ quello che Abramo aveva compreso: si fida di Dio e con la sua preghiera audace e insistente confida nel suo amore misericordioso e intercede per gli altri, per l’umanità bisognosa di salvezza.

Questo Padre, ci dice Gesù, è un Padre buono che sa dare cose buone ai suoi figli. E la cosa più buona è il Suo Spirito: “da lo Spirito santo a quelli che glielo chiedono”.

Questa è la novità sorprendente della preghiera cristiana.

Dio dà la sua stessa vita, presenza, forza: il Suo Spirito: “nella preghiera non ottengo delle cose, ottengo Dio stesso”.

Lui entra in comunione con noi, diventa vita della nostra vita. Ecco perché la preghiera che ci fa vivere. Io vivo perché prego; prego per vivere, allo stesso modo in cui respiro per vivere; prego per vivere meglio e in pienezza la mia vita. Pregare è attingere alle sorgenti della vita, alla sorgente di quell’acqua viva che è lo Spirito di Dio

Ecco perché pregare ci trasforma: mi rende giorno dopo giorno figlio amato a immagine del Figlio Gesù, al punto, come dice Paolo nella seconda lettura, “che con Gesù, attraverso il Battesimo, Dio ha dato vita anche a noi e con Lui siamo risorti”.

Un ultimo aspetto: pregare è sempre azione al plurale. Nella preghiera che Gesù ci insegna non c’è posto per “l’io, il mio”. C’è solo “il tu, il nostro”. Padre nostro: il tuo nome, il tuo regno, la tua volontà; il nostro pane, i nostri peccati, ogni nostro debitore… Pregare è allargare il cuore e le braccia a Dio e agli altri, al mondo intero. E’ portare con noi l’umanità di cui siamo parte riconoscendoci famiglia, figli e fratelli dell’unico Padre.

Non stanchiamoci di percorrere questo cammino: impariamo ogni giorno di nuovo a pregare come Gesù. “Chiedete e vi sarà dato, cercate e troverete, bussate e vi sarà aperto”. Ora sappiamo cosa chiedere e cercare e a chi bussare: al cuore stesso del Padre; a Lui chiediamo, con insistenza e perseveranza, per noi e per tutti, il Suo Spirito affinché ci avvolga, ci trasformi e ci renda, giorno dopo giorno, suoi figli amati e fratelli capaci di amarci gli uni gli altri.

 

sabato 16 luglio 2022

"L'altro al centro" - XVI° domenica del tempo ordinario

Oggi la Parola ci invita nel fresco di una casa, a Betania, e di una tenda, “nell’ora più calda del giorno”, come dice la prima lettura presentandoci Abramo presso la Tenda di Mamre pronto ad accogliere gli imprevisti pellegrini.

Nella casa di Betania, con Maria e Marta, nella tenda di Mamre con Abramo e Sara, siamo invitati a riscoprire la gioia e la bellezza delle relazioni, dell’attenzione all’altro chiunque esso sia. A quell’altro che in ogni caso – e san Benedetto lo ribadisce bene nella sua Regola – è Cristo stesso; ogni ospite è come se fosse Cristo.

Questa ospitalità, attenta alla persona, diventa alla fine feconda, arricchente.

Lo vediamo in Abramo e Sara che da quell’accoglienza ai tre pellegrini, ricevono l’annuncio di una promessa tanto attesa: “tua moglie avrà un figlio”. Da questa ospitalità nasce la vita.

La vita di Abramo e Sara è sterile fino a questo gesto di ospitalità; la loro vita porta frutto quando ospitano i tre viandanti che passano da loro. Grazie a questo incontro la loro vita senza futuro, ora lo avrà: avrà una discendenza.

E’ l’altro, accolto e ascoltato, che ci arricchisce.

Così può essere anche per noi se ci apriamo ai fratelli con ospitalità, accoglienza, ascolto e attenzione.

L’altro sempre ti arricchisce se lo sai accogliere, se sai prestargli attenzione: è ricchezza che feconda la tua vita.

Anche nella casa di Betania Marta, come Abramo, si rivela accogliente, ospitale. “Marta lo ospitò” dice il vangelo.

Tuttavia emerge anche un rischio: lasciarsi così prendere dal fare da dimenticarsi dell’ospite stesso e diventando pure scorbutica e arrabbiata con la sorella. Si perde di vista la persona, l’altro, sommersi in modo esasperato dalle cose, da ciò che c’è da fare.

Gesù infatti non disprezza il servizio e l’impegno di Marta, ma la invita a non cadere in quell’agitazione e affanno che distolgono il cuore dalle persone per chiuderlo sulle cose, sul da farsi, rendendoci duri e acidi. Ecco il rischio: lo diciamo con le parola di E.Ronchi “attento a un troppo che è in agguato, a un troppo che può sorgere e in­goiarti, troppo lavoro, trop­pi desideri, troppo correre, «prima la persona poi le co­se».

Il primo servizio, ricorda Gesù, è la vicinanza, l’ascolto.

Gesù dice a Marta, e anche a noi: fa’ un po’ meno, sediamoci, guardiamoci e ascoltiamoci. Prestiamoci attenzione gli uni gli altri.

E’ la strada indicata per noi e per le nostre comunità che oggi rischiano di essere prese da “molti servizi”, di continuare a correre ed affannarsi per mille cose, dimenticando che “di una cosa sola c’è bisogno”. Questa “sola cosa” non esclude tutto il resto, ma indica una precedenza fondamentale: dobbiamo dare precedenza alla cosa più importante, essenziale che è l’ascolto, l’attenzione alla persona, alle relazioni, per non cadere nella trappola delle cose e di un servire senza amore.

Gesù infatti non cerca servitori, ma amici; non persone che facciano delle cose per lui, ma gente che lo accolga, lo ascolti gli lasci fare in noi quelle “grandi cose” che sua madre Maria canta: ”grandi cose ha fatto in me l’onnipotente”.

Grandi cose ha fatto con Abramo e Sara; grandi cose oggi vuole compiere con le nostre comunità, con ciascuno di noi. Occorre passare da persone distratte e superficiali, affannate e agitate, a uomini e donne che esercitano uno sguardo di attenzione, di misericordia verso chi hanno accanto, aprendo loro il cuore, le orecchie, prima ancora delle mani e della bocca.

Impareremo così a riconoscere nell’altro, in ogni altro, - e questa sarà la lieta sorpresa! - il volto e la presenza di quel Gesù che continua a farsi nostro ospite, presente in ogni uomo e donna che incontriamo ogni giorno sul nostro cammino.

domenica 10 luglio 2022

"Sete di vita eterna" - XV° domenica del tempo ordinario

“Che cosa devo fare?”. Una domanda che risuona anche per noi ogni giorno. Quante volte, nelle situazioni più diverse, ci ritroviamo a interrogare noi stessi o altri: che cosa devo fare? come devo agire? cosa fare davanti a questo e a quest’altro problema?

Ma c’è una seconda parte della domanda che non ci deve sfuggire: “Che cosa devo fare per ereditare la vita eterna?”

Aggiungo allora una terza domanda: “a noi interessa la vita eterna?”. Ci diamo da fare e ci interroghiamo per come riuscire a migliorare la nostra vita, per stare in salute, per non farci mancare nulla…”cosa posso fare per una vita più agiata, più tranquilla, più sicura”. Forse sono queste le domande che ci toccano e molto meno il sapere cosa fare per avere la vita eterna. Eppure non è forse questa la domanda decisiva? Non abbiamo ancora capito, nonostante covid, guerre, disastri naturali, quanto siamo provvisori, limitati, quanto incerto è il fluire dei nostri giorni? Siamo come l’erba del campo…oggi c’è domani secca e viene gettata, ricorda il salmo 90.

Avere consapevolezza della nostra provvisorietà non significa angosciarci bensì puntare in alto, cercare oltre, chiedersi appunto come arrivare a quella meta di eternità dove la vita troverà tutta la sua pienezza e bellezza.

“Che cosa devo fare per ereditare la vita eterna?”

Questa domanda oggi la Parola di Dio fa risuonare per noi offrendoci indicazioni luminose per orientare i nostri passi.

Innanzitutto ascoltati: c’è in te, molto vicina a te, una Parola di vita “è nella tua bocca e nel tuo cuore, perché tu la metta in pratica”.

Questa Parola trova la sua verità in Colui che l’ha annunciata e vissuta, in quel Gesù che è la Parola fatta carne Lui che – come ricorda Paolo nella 2 lettura – “è immagine del Dio invisibile, è prima di tutte le cose e tutte in lui sussistono”.

E’ Lui a rispondere alla domanda del dottore della Legge nel vangelo: “Che cosa devo fare per ereditare la vita eterna?” “Amerai”. “Cosa devo fare? Amerai”. In ogni cosa, in ogni situazione, in ogni scelta: amerai. Amerai Dio, amerai gli altri, amerai il creato, amerai te stesso. “Fa’ questo e vivrai!”

La strada per una vita piena, eterna è nell’uscire dal proprio io che cerca di accomodarsi e sistemarsi su questa terra come se fosse padrone di tutto, per imparare l’arte di amare.

E come ogni arte chiede apprendimento, fatica, esercizio.

E il primo passo è aprire gli occhi per scoprire “chi è il prossimo”, per vedere gli altri con cui cammino lungo i sentieri della vita. Questo ci indica la parabola raccontata da Gesù, che in fondo altro non fa che descrivere Lui, la sua vita, quello che lui è venuto a fare, buon Samaritano verso tutti noi.

“Un uomo scendeva da Gerusalemme a Gerico…” Così inizia il racconto; ed è subito novità: “un uomo” dice Gesù. Non specifica se ebreo, pagano, bianco o nero, straniero o amico, buono o cattivo… semplicemente un uomo. E questa è già indicazione preziosa.

Primo esercizio: imparare a vedere l’uomo al di là di tutti gli aggettivi e attributi che lo possono qualificare.

Ma poi viene un’altra sorpresa: ci fa capire, attraverso l’atteggiamento dei diversi personaggi, che il prossimo non è tanto qualcuno piuttosto che un altro, ma sono io.

Secondo esercizio: allenarmi a farmi prossimo di questo uomo concreto. Di chiunque incontro sul mio cammino.

“Chi ti sembra sia stato il prossimo di colui che è caduto nelle mani dei briganti?” “Chi ha avuto compassione di lui”. Gesù gli disse: “Va’ e anche tu fa’ così”.

Questo significa tornare umani, più ancora essere cristiani ovvero come Cristo che “lo vide, ne ebbe compassione, gli si fece vicino”. E’ la declinazione del verbo “amerai”: “lo vide, ne ebbe compassione, gli si fece vicino”: esercizi pratici per imparare l’arte di amare.

Amerai facendoti prossimo ad ogni uomo e donna che incontri sul cammino della vita. Questo è il vangelo. Questo è quanto dobbiamo fare se vogliamo rendere bella e riuscita la nostra e l’altrui vita. Se vogliamo dare a questa nostra vita un orizzonte di eternità.