domenica 27 maggio 2018

Trinita'


Ci siamo anche noi in quella schiera di uomini e donne che, a seguito dell’invito di Gesù ai discepoli sono stati battezzati nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo.
Il Battesimo che abbiamo ricevuto è stato un gesto di immersione; non solo nell’acqua (oggi ormai se ne versa così poca che parlare di immersione è eccessivo) ma soprattutto nella vita stessa di Dio.
Chi di voi ha dimestichezza con l’acqua sa bene cosa significa immergersi. Ti senti avvolto, non c’è parte di te che non sia dentro questo abbraccio che ti stringe e che tende a entrare in te (guai ad aprire la bocca!).
Così è stato il Battesimo: la vita stessa di Dio nella quale siamo stati immersi, la vita del Padre, del Figlio e dello Spirito ci ha avvolti, abbracciati, permeati, penetrati fino ad essere trasformati e rinnovati.
Fatto incredibile e splendido. L’uomo viene rigenerato e avvolto dalla vita stessa di Dio Trinità si ritrova, per amore, figlio stesso di Dio. Nonostante la nostra piccolezza, la nostra indegnità, i nostri dubbi. Resi figli di Dio.
La Trinità che oggi celebriamo è questa vita di Amore dentro la quale siamo e ci muoviamo; vita d’amore che è dentro di noi e ci abita.
La Trinità dunque non è tanto una formula (unico Dio in tre Persone) bensì un fatto da vivere, anzi che ci fa vivere e di cui viviamo, immersi come siamo in essa, senza che pienamente ce ne rendiamo conto (quasi come un pesce così abituato ad essere immerso nell’acqua che non pensa che proprio quell’acqua è la causa del suo vivere).
Tutto ciò supera la nostra capacità di comprensione. In questo senso la Trinità è mistero: non tanto perché non siamo in grado di definirla con precisione e di spiegarla, quanto perché ci supera, ci avvolge, ci permea, ci abita.
Come la singola persona è mistero per l’altro e anche per se stessa, perché è sempre oltre e più di quanto più vedere e intuire, così la vita divina, Dio, è mistero per tutti noi. Più grande, oltre e diverso da ogni nostra immaginazione.
Tuttavia grazie a Gesù, il figlio amato del Padre, venuto tra noi, questo mistero ci è stato manifestato. Lui ci ha svelato che Dio è Amore e che questo amore che crea e da vita ad ogni cosa, si è donato a tutti fino alla morte ed è più forte della morte, continuando ora a plasmare e guidare il cammino di tutti noi con il soffio dello Spirito.
Si tratta allora non solo di conoscere questo mistero ma soprattutto di viverlo consapevolmente: vivere di Dio e in Dio.
E’ possibile? Se in Lui siamo immersi certo. E’ per sua grazia e dono che ne abbiamo la possibilità. Lo ricorda molto bene l’apostolo Giovanni nella seconda lettura: “siamo figli di Dio. E se siamo figli se davvero prendiamo parte alla sua vita siamo anche eredi: eredi di Dio, coeredi di Cristo.
Cambia decisamente allora la nostra esistenza.
Non siamo al mondo per caso, ma dentro un progetto d’amore e avvolti da questo amore.
Siamo figli in cammino verso la comunione piena con questo Dio famiglia. Camminiamo allora con fiducia pur in mezzo alle prove e alle fatiche perché sappiamo che Lui ha detto “io sono con voi tutti i giorni fino alla fine del mondo”.
Abitati dallo Spirito viviamo da figli e non da schiavi, liberi dalla paura e da ogni timore.
E anche noi, pur con tutti i nostri limiti e i nostri dubbi, come i primi discepoli, ci sentiamo avvolti dal suo potere: “A me è stato dato ogni potere in cielo e sulla terra. Andate e fate discepoli, battezzandoli…”.
Chiamati e mandati perché ogni uomo e donna possa fare l’esperienza di sentirsi immerso in un abbraccio di amore che è l’abbraccio di Dio stesso. Questo dobbiamo personalmente e insieme come chiesa testimoniare ed annunciare.
Questa è la bella notizia che il mondo deve ascoltare e più ancora sperimentare, affinché abbiamo a sentirci tutti chiamati a vivere insieme: diversi ma insieme, in una armonia sinfonica che si chiama Trinità.

venerdì 18 maggio 2018

Pentecoste: Vieni!



La Chiesa ha bisogno della sua perenne pentecoste. Ha bi­sogno di fuoco nel cuore, di parole sulle labbra, di profezia nello sguardo. La Chiesa ha bisogno d'essere tempio dello Spirito Santo, di totale purezza, di vita interiore. La Chiesa ha bisogno di risentire salire dal profondo della sua intimità personale, quasi un pianto, una poesia, una preghiera, un inno, la voce orante cioè dello Spirito Santo, che a noi si sostituisce e prega in noi e per noi «con gemiti ineffabili», e che interpreta il discorso che noi da soli non sapremmo rivolgere a Dio. La Chiesa ha bisogno di riacquistare la sete, il gusto, la certezza della sua verità e di ascoltare con inviolabile silenzio e con docile disponibilità la vo­ce, il colloquio parlante nell'assorbimento contemplativo dello Spirito, il quale insegna «ogni verità». 
E poi ha bisogno la Chiesa di sentir rifluire per tutte le sue umane facoltà, l'onda dell'amore che si chiama carità e che è diffusa nei nostri cuori proprio «dallo Spirito Santo che ci è stato dato». Tutta penetrata di fede, la Chiesa ha bisogno di speri­mentare l'urgenza, l'ardore, lo zelo di questa carità; ha bisogno di testimonianza, di apostolato. Avete ascoltato, voi uomini vivi, voi giovani, voi anime consacrate, voi fratelli nel sacerdozio? Di questo ha bisogno la Chiesa. Ha bisogno dello Spirito Santo in noi, in ciascuno di noi, e in noi tutti insieme, in noi Chiesa. Sì, è dello Spirito Santo che, soprattutto oggi, ha bisogno la Chiesa. Dite dunque e sempre tutti a lui: « Vieni!»

(Paolo VI°, Discorso del 29 novembre 1972)

sabato 12 maggio 2018

« La verità vi farà liberi (Gv 8,32). Fake news e giornalismo di pace»


Preghiera di papa Francesco
per la Giornata Mondiale delle comunicazioni sociali 2018


Signore,
fa’ di noi strumenti della tua pace.
Facci riconoscere il male
che si insinua in una comunicazione
che non crea comunione.
Rendici capaci di togliere il veleno dai nostri giudizi.
Aiutaci a parlare degli altri come di fratelli e sorelle.
Tu sei fedele e degno di fiducia; fa’ che le nostre parole siano semi di bene per il mondo:
dove c’è rumore, fa’ che pratichiamo l’ascolto;
dove c’è confusione, fa’ che ispiriamo armonia;
dove c’è ambiguità, fa’ che portiamo chiarezza;
dove c’è esclusione, fa’ che portiamo condivisione;
dove c’è sensazionalismo, fa’ che usiamo sobrietà;
dove c’è superficialità, fa’ che poniamo interrogativi veri;
dove c’è pregiudizio, fa’ che suscitiamo fiducia;
dove c’è aggressività, fa’ che portiamo rispetto;
dove c’è falsità, fa’ che portiamo verità.
Amen.

venerdì 11 maggio 2018

Ascensione del Signore


Spiace constatare come i compilatori del lezionario, riportando il brano di Vangelo per la solennità dell'Ascensione, in questo anno B, abbiano omesso proprio quel versetto in cui si dice che Gesù, prima di lasciare definitivamente i suoi discepoli, li rimprovera «per la loro incredulità e durezza di cuore», in quanto «non avevano creduto a quelli che lo ave­vano visto risorto» (Me 16, 14). Mentre proprio questo è significativo: che Gesù dia l'incarico di parlare di lui, di predicarlo a tutti, a persone che faticano molto a credere! Come può essere valutato questo modo di fare di Gesù: incoscienza o fiducia? Sembra di poter ragionevolmente escludere l'incoscienza, in quanto Gesù conosceva molto bene i suoi di­scepoli: erano stati insieme, notte e giorno, per tre anni; lo avevano se­guito ovunque e lui li aveva visti nelle più diverse situazioni. Dobbiamo dunque dire che è fiducia quella che Gesù nutre per loro, in maniera veramente generosa.
Ecco: l'Ascensione dice la grande fiducia che Cristo ha anche per noi che oggi siamo la sua Chiesa. Egli se ne va e lascia a noi la sua opera da continuare. Ora, la sua opera era consistita proprio in quel compi­to che ora egli affida ai suoi discepoli, e a noi: «predicare il Vangelo»; ovvero annunciare la buona notizia della vicinanza e della disponibilità di Dio nei confronti dell'uomo, di ogni uomo. Un annuncio che Gesù ha compiuto in maniera molto semplice: per dirla con Pietro, negli Atti degli apostoli, Egli «passò facendo del bene a tutti» (At 10, 38). E quando venne respinto, trasformò quel rifiuto in un bene ancora più grande, mostrando con il dono della sua stessa vita quanto fedele e tenace sia la disponibilità di Dio nei confronti dell'uomo. Oltre il rifiuto, oltre il male, perfino oltre la morte.
La buona notizia che ora spetta a noi, in suo nome e con il sostegno della sua presenza, è dire a tutti quanto più grande del male sia il bene, quanto più forte dell'odio sia il perdono, la vita della morte. Come? A parole, forse? Nient'affatto, o non in primo luogo. Un'altra sintesi della vicenda e dell'opera di Gesù è quella che troviamo nel brano di apertura degli Atti degli Apostoli, che costituisce anche la prima lettura di questa solennità: «Gesù fece e insegnò» (At 1,1). Prima fece, poi disse. Di nuovo, vale, questo, anche per noi. Prima fare e poi eventualmente dire, quel minimo che possa evitare alla sinistra di sapere ciò che ha fatto la destra. E proprio in questi termini Gesù si rivolge ai discepoli af­fidando loro la continuazione della sua opera: non semplicemente dire qualcosa, ma... scacciare demoni, sconfiggere i veleni, guarire la gente.
Ora, dovremmo cominciare a riflettere, innanzitutto, per verificare se non ci capiti di fare addirittura il contrario. Ossia: dare spazio ai demoni (il dèmone della prepotenza, dell'invidia, della brama di pos­sedere, della superbia). E i veleni... I veleni materiali che spargiamo a larghe mani o che consentiamo che altri spargano; cementificando per ogni dove, distruggendo con prepotenza pari alla stupidità i luo­ghi più incantevoli del nostro territorio. E i veleni immateriali ma non meno dannosi: i veleni della denigrazione, della calunnia, con i quali possiamo addirittura distruggere una persona; eppure li spargiamo con grande abbondanza, e ne facciamo il contenuto di gran parte dei nostri discorsi. I veleni della cattiveria, dell'esclusione, del pregiudizio verso coloro che non sono uguali a noi: nel colore della pelle, nel modo di vestire, di pensare, di vivere, di credere.
E oggi che le persone sono così spesso ferite, o indebolite da tante sconfitte, o intristite nella solitudine, possiamo dire, noi cristiani, di es­sere gente che guarisce o, almeno, medica queste ferite, sorregge queste debolezze, si accorge di queste solitudini? Oppure ci facciamo amma­lare gli uni gli altri, ci distruggiamo, ci deprimiamo gli uni gli altri? Non collaboriamo forse un po' tutti a mantenere questo ritmo e sistema di vita disumano e insostenibile, che tritura le persone, dilania gli affetti, schiaccia i più deboli? Non portiamo forse tutto questo perfino dentro le mura di casa?
Cristo si è fidato di noi, e noi come corrispondiamo? Di più: Cristo oggi agisce con noi, in noi: che figura facciamo fare a Cristo? La gente che incontriamo ogni giorno, può trovare in noi qualcosa (una scintilla, una briciola, almeno) della sua generosità, della sua dolcezza, della sua limpidezza, in una parola, del suo rispetto e del suo affetto per ogni persona umana?
Cristo si è fidato, si fida di noi. Dipende da noi fare in modo che egli non venga considerato come un incosciente.

Testo di Saverio Xeres, in L’albero della vita – Vita e Pensiero.