domenica 29 gennaio 2023

"Ti voglio felice!" - Quarta domenica del tempo ordinario


Una notizia, che forse anche voi avete sentito in settimana, mi ha fatto particolarmente riflettere. Sempre più giovani prendono psicofarmaci per stare bene con sè stessi, per riuscire a ‘sballare’, per cercare di sentirsi felici.


Ogni essere umano porta nel cuore il desiderio della felicità tuttavia non sempre siamo in grado di raggiungerla e di sperimentarla; con il conseguente rischio – come la notizia ascoltata ci ha detto – di cercarla nei modi più disastrosi.

Già Seneca, come poi tanti altri scrittori, scrisse che “tutti gli uomini vogliono essere felici; ma tutti sono ciechi, quando si tratta di esaminare in che cosa consiste la felicità”.

E’ curioso vedere come Gesù inizia il suo insegnamento proprio per rispondere a questo nostro desiderio e interrogativo. Questo innanzitutto per farci capire che lui è venuto per donare a tutti vita e felicità e che il cristianesimo è (ben diversamente da come alcuni lo pensano) non una serie di comandi e di regole, bensì cammino per la felicità e la piena realizzazione dell’umano, della vita.

Certo la questione è capire come, su quale strada questa felicità può essere sperimentata.

Il testo di oggi, le beatitudini, primo insegnamento di Gesù, ci illuminano su questa questione.

Da sempre si pensa che dobbiamo darci da fare se vogliamo essere felici, che la felicità dipende da noi, dobbiamo conquistarla, mettendo in atto comportamenti adeguati.

Gesù invece rovescia la prospettiva e annuncia che la felicità è un dono, non una conquista. Non è frutto di ciò che fai o delle condizioni in cui ti trovi (per cui non si è felici perché poveri, afflitti, perseguitati…), piuttosto è frutto del fidarti di Dio in ogni situazione, nella povertà, nel pianto, nella prova; è frutto del vivere ogni relazione con fiducia in Lui e quindi con misericordia, mitezza, con sguardo limpido e cuore pacifico. E’ Dio che ci rende felici, anzi è la nostra felicità. Lui è il vero protagonista di questo testo. Tutto ciò che fai e vivi, se lo fai e lo vivi con Lui ti rende beato, felice perché non fa altro che fare spazio alla Sua presenza, edificare il suo Regno: “di essi è il regno dei cieli”. Il cuore delle beatitudini sta proprio nella promessa che le accompagna più che nella condizione che descrive: “Beati perché...” In quel perché ci è indicata la presenza di Dio che opera nella nostra vita sempre e mai ci abbandona. Qui sta la felicità. In questa certezza di essere sempre, in ogni momento amato e custodito. E più vivo come a Lui piace (con umiltà, semplicità, mitezza, cercando la giustizia, la pace, il bene - come già annunciava il profeta nella prima lettura) più sperimento la sua vicinanza, più provo cosa sia la vera felicità. Un esempio? i santi, da san Francesco a tanti altri che anche oggi vivendo fino in fondo secondo il vangelo sperimentano e testimoniano una felicità che accompagna la loro vita anche nelle situazioni più difficili e complesse.

Dio è la felicità perché Lui è la vita, è il tutto: con Lui ho tutto. Lui dona la felicità, rende beati quanti lo accolgono con fiducia, vivono con Lui e per Lui in una relazione di amore sincero. Ci credo? Non è che oggi facciamo fatica a sperimentare la felicità perché ne abbiamo dimenticato la sorgente, Dio? Perché viviamo la vita con l’ossessione di essere felici secondo i parametri del mondo e non del vangelo?

Alla fine Gesù si rivolge direttamente a noi che ascoltiamo, come un tempo si rivolgeva a quelle folle, che lo hanno seguito sul monte: tu che ora ascolti sei disposto a fare spazio a Dio in ogni situazione della tua vita e ricevere da lui la felicità? Sei disposto cioè a rinunciare all’idea che la felicità sia frutto di una tua conquista, dei soldi o del divertimento che ti procuri, di un merito o di un premio da guadagnare?

Ci occorre allora coraggio per orientare la nostra vita alla vera felicità che è solo in Dio. Come ha fatto Gesù. E’ lui l’uomo delle beatitudini. Il primo che, non solo le ha pronunciate, ma soprattutto le ha vissute aprendo, per tutti coloro che desiderano la vera felicità, una strada che porta veramente alla meta, passando certo per il vicolo stretto della croce, ma per poi aprirsi allo smisurato scenario della vita nuova, bella, felice che germoglia per tutti coloro che, piccoli e umili, sanno confidare pienamente nell’amore del Padre.

sabato 21 gennaio 2023

"Parola che unisce" - Terza domenica del tempo ordinario.

Viviamo oggi due richiami: alla Parola e all’unità. E’ la domenica dedicata alla Parola di Dio e la domenica all’interno della settimana di preghiera per l’unità dei cristiani.

Due occasioni che si fondono tra loro e ci provocano a ripensare al nostro cammino di fede guardando al cammino di Gesù così come il vangelo di oggi lo racconta.

“Quando seppe che Giovanni era stato arrestato, si ritirò nella Galilea, lasciò Nazaret e andò ad abitare a Cafarnao, nel territorio di Zabulon e di Neftali”. Un cammino che si avvia come continuità, conseguenza, di quanto fatto da Giovanni, la voce messa a tacere. La voce in prigione, il Verbo, la Parola in circolazione! E questo muoversi della Parola avviene in una terra arida; Zabulon e Neftali sono luoghi di popoli pagani e idolatri, terre di grandi incroci di popolazioni e di commercio. Rappresentano il nostro mondo, complesso e variegato, dedito agli affari e all’idolatria del dio mercato. Gesù va al cuore del mondo organizzato del male, dove si vive senza Dio nel cuore e senza luce nella mente. Gesù non inizia dal tempio, dalla città santa, ma dalla strada, dove gli uomini vivono e muoiono. Lì la Parola fatta carne viene e semina vita.

Questo “perché si compisse ciò che era stato detto per mezzo del profeta Isaìa: «Terra di Zàbulon e terra di Nèftali, sulla via del mare, oltre il Giordano, Galilea delle genti! Il popolo che abitava nelle tenebre vide una grande luce, per quelli che abitavano in regione e ombra di morte una luce è sorta»”. Questa è l’immagine più reale della nostra società e del nostro modo di vivere: popolo che vive nelle tenebre e che abita il buio paese della morte. Questa è la nostra situazione. E’ Dio stesso che ci mostra dove siamo. Le tenebre si riferiscono allo spegnimento della luce interiore, della coscienza individuale e collettiva, il paese della morte rappresenta il nostro modo di organizzare la vita che secondo Dio è un progetto per la morte. La luce che il popolo vedrà è Gesù, la sua Parola, la sua proposta liberante di vita nuova, per costruire e progettare il mondo nella via della fraternità e dell’unità, della vita e non per la morte.

“Da allora Gesù cominciò a predicare e a dire: «Convertitevi, perché il regno dei cieli è vicino»”. La Parola inizia a circolare e a indicare la strada. Cambiare vita: questo chiede di riconoscere che stiamo costruendo per la morte, che abbiamo perso la strada, magari senza volerlo e confusi dal Male. Avere l’umiltà di non discutere sulla Parola di Dio così chiara, l’umiltà di non rigirarla a nostro consumo e per nascondere le nostre tenebre. Il Regno dei cieli, il regno della vita è qui vicino, con noi: questo annuncia la Parola e questo chiede “convertitevi”, orientati ad esso.

“Mentre camminava lungo il mare di Galilea, vide due fratelli… E disse loro: «Venite dietro a me, vi farò pescatori di uomini»”. Nel suo cammino ci coinvolge e affida a noi come a loro, il compito di “pescare” gli uomini e le donne dalla loro oscurità interiore e riportarle alla speranza, alla luce della verità che la Parola genera, alla comunione-unità riconoscendo l’altro fratello e sorella, costruendo fraternità.

“Ed essi subito lasciarono le reti e lo seguirono”. Subito è il presente l’adesso di Dio. Davanti a Dio c’è solo il presente. Solo ora, un questo istante tu vivi e puoi cambiare la tua vita e puoi renderla luminosa, liberandola delle reti del male che la avvolgono grazie alla Sua Parola, e apportatrice di comunione, di vita per quanti incontri sul cammino.

“La Parola ci spinge fuori da noi stessi per metterci in cammino incontro ai fratelli con la sola forza mite dell’amore liberante di Dio. La Parola di Dio viene ad abitare in noi e noi abitiamo in essa. Ci ispira buoni propositi, sostiene l’azione, ci dà forza e serenità. Nelle giornate confuse, assicura al cuore un nucleo di fiducia e di amore che lo protegge dagli attacchi del maligno.” (papa Francesco). Questa Parola, che qui ogni domenica ascoltiamo, sia luce ai nostri passi, conforto nelle nostre fatiche, coraggio per scelte di comunione e di unità da realizzare nelle nostre case e comunità, tra le nostre chiese, con ogni uomo e donna di buona volontà.

domenica 15 gennaio 2023

"Agnello e figlio" - Seconda domenica del tempo ordinario

Oggi la Parola ci presenta un testimone qualificato di Gesù: Giovanni il battista che abbiamo incontrato domenica nell’episodio del battesimo al Giordano.

Giovanni stesso dicendo: “Ho visto e ho testimoniato”, si presenta come testimone autorevole.

La sua testimonianza su Gesù è resa attraverso due espressioni e immagini: agnello e figlio; più precisamente: “Ecco l’agnello di Dio” e “questi è il Figlio di Dio”.

Cosa vuole testimoniare con queste due affermazioni?

L’immagine dell’agnello è immediato richiamo alla mitezza: Gesù non è un lupo venuto a conquistarci con la forza, ma un agnello pronto anche al sacrificio, al dono della vita.

Come non pensare alla notte della prima Pasqua con il rito dell’agnello immolato il cui sangue sugli stipiti delle case salva gli Israeliti?. Per gli ebrei l’agnello significava liberazione, salvezza. Ebbene tutto questo si compie in Gesù.

Questo agnello è “di Dio”, specifica Giovanni. Cioè lo rappresenta. Gesù rivela Dio come “agnello”, come Colui che opera con mitezza e si fa dono d’amore, fino ad offrire la propria vita.

Non solo: Giovanni specifica anche cosa fa questo agnello: “toglie il peccato del mondo”, dice il nostro testimone. Non tanto i peccati cioè le nostre ripetitive mancanze, ma il peccato, la radice stessa del peccato che sta nel ‘non amore’, nell’incapacità radicale di amare Dio e il prossimo, sta nella divisione che allontana da Dio e dagli altri.

Il fine di tutto ciò è attuare quanto già il profeta Isaia aveva annunciato: “Mio servo tu sei… per ricondurre… per portare la salvezza fino all’estremità della terra”.

La missione dell’Agnello dunque è tesa a realizzare una fraternità, una comunione tra tutte le genti della terra: servo e luce che riconduce tutti dalla dispersione all’incontro, dalla lontananza alla comunione fraterna.

La seconda parola-immagine usata da Giovanni nella sua testimonianza è quella di “figlio di Dio”.

Gesù viene definito “figlio di Dio” in quanto è riconosciuto abitato dallo Spirito stesso di Dio, dalla Sua Presenza; uno Spirito visto “discendere” e poi “rimanere su di lui”. Dio è in Lui e in Lui opera.

Gesù allora è l’agnello venuto a togliere il peccato nella sua radice profonda e a donarci, riempirci, dello stesso Spirito del Padre, rendendoci così in Lui figli e fratelli.

Accogliere Gesù, invocarlo, sia personalmente che come comunità, come chiesa radunata insieme (come dice Paolo nella seconda lettura ricordandoci che in Gesù siamo “la chiesa di Dio”, resi santi, cioè figli, in Lui), significa riconoscere che in Gesù e per Gesù noi possiamo innanzitutto essere sciolti dal peccato e passare dal non amore alla capacità di amare “come Lui”. Diventiamo così figli e fratelli grazie allo Spirito che ci è stato dato in dono e che ci abita.

Questo ci mette nella condizione di svolgere anche noi, con Gesù, quella missione/testimonianza che ancora attende di essere pienamente realizzata: generare fraternità tra le genti.

Siamo a servizio della fraternità e della pace come cristiani.

“Ricondurre”: è questo il verbo che descrive la missione di Gesù e che è affidata anche a noi.

Ricondurre e non disperdere, allontanare, dividere… Ricondurre significa ricostruire relazioni, rifare famiglia, riscoprirci fratelli e sorelle perché figli di quel Dio che come agnello e figlio è venuto per coinvolgerci nel suo progetto di amore e di pace.

Questa missione dobbiamo attuare ogni giorno e in ogni ambiente di vita. In particolare in questa settimana in cui inizieremo l’ottavario di preghiera per l’unità dei cristiani: sentiamoci chiamati a diventare, attraverso la preghiera e attraverso la vita, costruttori di comunione con tutti a iniziare dalle nostre case  e comunità.

Collaboriamo nel portare a compimento la missione stessa che Gesù, l’agnello e il figlio di Dio, è venuto a iniziare in mezzo a noi e a ricomporre quell’unità tra i cristiani che lui ci ha chiesto come “segno” per essere riconosciuti suoi discepoli.