sabato 28 febbraio 2015

Seconda domenica di Quaresima


Salire su un monte è sempre fatica. Non importa la sua altezza geografica. Ogni monte chiede fatica; e sono tante le montagne da affrontare lungo il cammino della vita. Non hanno altezza geografica, ma sono a volte assai ripide e scivolose. Sono le montagne della prova, del dolore, delle ingiustizie, delle pene e delle fatiche, delle delusioni e delle incomprensioni, della morte.
Davanti a queste salite ci manca spesso il fiato. O ci muoviamo pur senza capirne il senso o ci fermiamo affranti e scoraggiati, se non maledicendo e bestemmiando.
Come fu per Abramo davanti all’insensata, assurda (almeno all’apparenza) richiesta di Dio di immolare il suo unico figlio. Come è possibile? Come può venire una discendenza da me se questo mio unico figlio debbo sacrificarlo a Lui? Ma anche se non capisce, non si ferma, non maledice e sale il monte Mòria.
Come per i discepoli, amareggiati dall’annuncio di sofferenza e di morte che Gesù, da poco, aveva loro fatto. Salgono con Lui, delusi e tristi sul monte Tabor.
Tuttavia se si ha il coraggio di salire e si fa la fatica di affrontare la prova, l’incomprensione, ecco che si apre uno spiraglio di luce. Come quando si arriva alla cima, la fatica è subito dimenticata davanti allo spettacolo che ti affascina e ti conquista.
Una luce si apre per Abramo, un intervento di Dio che apre a speranza, che parla di vita e non di morte e rinnova la promessa.
Una luce si apre ai tre discepoli che sul monte vengono abbagliati e sorpresi dal volto luminoso di Gesù, che anticipa il suo destino: non di morte, ma di vita, di trasfigurazione.
Una luce che fa capire che per Dio l’orizzonte, la meta è la vita, la bellezza, non la prova, non la morte. Queste sono solo passaggio, dovuto, inevitabile, ma solo passaggio.
La vita è cammino e continuo passaggio verso una bellezza luminosa che possiamo solo appena intuire, ma che tuttavia già brilla dentro ciascuno di noi.
La tentazione che può prenderci purtroppo è quella di non voler affrontare i passaggi, di fermarci, “stiamo qui dove è bello”. Occorre invece affrontare la prova, passare oltre il monte, tornare a immergerci nella vita reale, portando tuttavia nel cuore il bagliore della luce, la speranza della meta.
Ma come, ma dove trovare, la forza, la capacità per questo continuo “passare”, camminare, affrontare montagne e prove?
Paolo – nella seconda lettura – ci indirizza: “Se Dio è con noi, chi sarà contro di noi?”. Lui che ci ha amati nel suo Figlio ci offre la mano per salire le nostre montagne, affrontare le nostre prove e fatiche.
Più ancora ci indica il segreto per riuscire: “Ascoltatelo”. Nell’ascolto di Gesù noi possiamo trovare l’indicazione giusta per muovere i nostri passi, per non fermarci per strada, per passare sempre oltre in una continua trasfigurazione.
E’ l’esempio che ci viene da Abramo: nonostante l’assurdità di quanto è chiamato a vivere, lui ascolta, obbedisce (ascoltare-audire trova la sua risonanza nel latino obaudire-obbedire: quell’obbedire che consiste nel credere). E questo ascoltare con fiducia, nel cuore, anche se gli occhi vedono solo buio, lo porta alla luce, al compimento di ogni promessa.
Anche i discepoli dal monte Tabor, anche noi dai monti che la vita ci chiama ad affrontare, viene l’invito: “Ascoltatelo”.
Ancora una volta questo invito a lasciarci guidare dalla Parola del Figlio amato. Non più Mosè e Elia, non più cioè l’antica legge e i profeti sono la guida, ma Gesù stesso, la Parola fatta carne. Solo Lui resta: “non videro più nessuno se non Gesù solo”.
Resta solo Lui come unico riferimento. Uomo come noi chiamato a passare oltre il monte della sofferenza e della croce. Dio con noi e per noi che apre tuttavia spiragli di luce, ci fa passare, con lui, per giungere alla risurrezione, alla piena trasfigurazione della nostra vita, per realizzare in noi quella bellezza luminosa che è anticipata sul suo volto splendente.
Cosa decidiamo di fare?
Fermarci davanti ad ogni montagna e prova e chiuderci nella tristezza e nell’angoscia, oppure accettare la sfida, ascoltare la Sua Parola, fidarci di Lui e così tendere alla trasfigurazione, alla bellezza, alla vita?
A ciascuno di noi la scelta.



sabato 21 febbraio 2015

Prima domenica di Quaresima



Con l’episodio delle tentazioni di Gesù nel deserto ogni anno si inizia il cammino della Quaresima.
Ma le tentazioni sono ben più di un ‘episodio’. Sono il contenuto della vita. Accompagnano il nostro cammino sempre. Così come hanno accompagnato l’esistenza di Gesù. Fanno  parte della vita. Le tentazioni chiamano in gioco la nostra libertà e capacità di scelta e di decisione. Così Gesù è chiamato a fare scelte, prendere decisioni in una costante lotta dove la tentazione cerca in ogni modo di deviarlo dalla sua missione e dall’autentica realizzazione della vita. La tentazione che lo accompagna tutta una vita non è solo un fattore esterno (il male, satana), ma si attua anche attraverso le persone più vicine (i discepoli che più volte lo tentano…) ed è anche un fattore interno che opera nella mente e nel cuore.
Questa esperienza di Gesù è anche la nostra esperienza, di tutti; caratterizza la vita dell’uomo e la rende lotta quotidiana. Non per niente Gesù insegnerà ai suoi a pregare il Padre dicendo “non abbandonarci nella tentazione, ma liberaci dal male”.
La tentazione è soprattutto inganno della mente, bugia, falsità che ci appare tuttavia come verità, bene, fatto desiderabile. Per questo è così facile lasciarci tentare e cedere. Con il risultato poi di trovarci ingannati, delusi, falliti. Occorre lottare contro.
La Quaresima che iniziamo è tempo di lotta. Ci ricorda che la vita non è una tranquilla passeggiata, ma il campo della nostra responsabilità, dove attraverso le nostre scelte decidiamo di noi stessi e degli altri.
La Quaresima allora diventa tempo privilegiato per guardare a tutta la nostra vita, ri-orientarla e renderla capace di affrontare le prove, di compiere le scelte più vere, così da tendere alla gioia, alla felicità, alla piena realizzazione di noi stessi e degli altri; perché il nostro destino lo si gioca insieme a quello di tutti. Ecco perché la Quaresima diventa anche tempo di solidarietà, di condivisione di aiuto verso quanti fanno più fatica, i sofferente, verso le missioni.
Occorre allora affrontare la vita come lotta; ma non con la mentalità del super eroe che si crede capace di affrontare tutto e risolvere tutto. Bensì con l’umiltà di chi riconosce di essere creatura fragile, di essere mancante, peccatore, di essere cenere (con questo gesto di imposizione sul nostro capo della cenere abbiamo iniziato il cammino quaresimale). Cenere-polvere tuttavia abitata dal Soffio dello Spirito. La nostra capacità e forza ci vengono da Lui e non da noi. E’ lo “Spirito che spinge Gesù nel deserto per essere tentato”; ed è lo Spirito di Dio che lo rende capace di vincere, di superare la prova, di compiere le scelte vere. Non dimentichiamolo: siamo sempre sostenuti da Lui, abitati dalla sua presenza. Dio è per sempre nostro alleato, come ci ha ricordato la prima lettura. Non potrà mai più travolgerci alcun diluvio di male, perché Lui ha “stabilito la sua alleanza con ogni essere vivente”.
Nel Battesimo, ricorda Pietro, veniamo resi partecipi della vittoria di Cristo “morto una volta per sempre per i peccati, giusto per gli ingiusti, per ricondurvi a Dio”. Dunque “il tempo è compiuto e il regno di Dio è vicino”: la sua presenza ci accompagna e sostiene.
Nel Signore Gesù troviamo la forza e la guida. Lui tentato e vincitore. Lui ci indica la strada per affrontare la tentazione.
Quale? Come fare? Due parole: “Convertitevi” e “Credete”.
Convertitevi’ è la traduzione della parola greca ‘metanoèite” che letteralmente significa: “Cambiare (meta) e (nous) mente”, mutare pensiero, mentalità.
Ecco la strada che Gesù ci indica: libera la mente, dalle sue costruzioni false, dai suoi inganni e comandi. Cancella quella tua mentalità che ti sei costruita con tutto ciò che ne deriva: la mente, lasciata senza briglie, partorisce inganni, ci porta a star male, genera paure e sospetti, crea catene di pregiudizi, di cattiverie, di odio, fa della vita una competizione senza senso.
E’ la vera tentatrice che ci istiga a percorrere le strade del nostro io, dell’affermare noi stessi a scapito degli altri, del pensare di realizzarci imponendoci, possedendo, sfruttando.
Queste sono le tentazioni. Di Gesù e nostre. Si esce vincitori se si cambia mente, mentalità imparando a lasciarci guidare da pensieri altri.
Ecco allora la seconda parola: “Credete nel Vangelo”. Un credere che sta a dire: aderisci con forza, come la pelle alle ossa.
Rinuncia alla tua mentalità e credi, aderisci completamente con il tuo spirito, con il tuo cuore al vangelo. Nel Vangelo è tracciata la strada per la nostra felicità e realizzazione. Occorre riempire la mente di Vangelo, di bella notizia, di Parola vera, la Parola di Dio.
E viverla, attuarla, ogni giorno. Solo così si metterà ordine nella nostra mente e pace nel nostro cuore. Solo così la tentazione è affrontata e superata. Solo così ci si realizza e si diventa capaci di costruire con gli altri nuove relazione fraterne e solidali.
Che la Quaresima sia occasione per questo lavoro: svuotare la mente di pensieri inutili, falsi, ingannatori, perversi e fare spazio alla Parola di Dio che è luce, verità, gioia. Ad essa aderiamo giorno dopo giorno, verso una Pasqua di novità.

sabato 14 febbraio 2015

Tempo di Quaresima


Sesta domenica del tempo ordinario



Un lebbroso disobbediente. Non una, ma ben due volte…
Non obbedisce alla Legge di Mosè, che vietava ai lebbrosi di avvicinarsi alle persone, e si mette ai piedi di Gesù invocandolo.
Non obbedisce poi a Gesù, “proclamando e divulgando il fatto” della sua guarigione e costringendo Gesù a “non poter più entrare in una città” perché considerato anche lui impuro dopo averlo toccato.
Ma come poteva tacere davanti non solo alla guarigione ottenuta ma anche e soprattutto a quell’incontro carico di assoluta novità?
Siamo davanti a un episodio rivoluzionario. Gesù ribalta totalmente i modi di pensare, vedere e agire dell’Antica Legge, ribalta la concezione stessa di Dio.
La prima lettura ci ha detto cosa la Legge di Mosè pensava, come vedeva e agiva di conseguenza davanti alle persone lebbrose. Essere erano considerate impure: si pensava che la lebbra fosse conseguenza del peccato, si vedeva in loro il castigo di Dio e quindi queste persone venivano allontanate, segregate; non potevano avvicinare alcuno, né potevano essere avvicinate, pena il contagio non solo fisico (così si pensava) ma soprattutto morale. Di fatto i lebbrosi erano cadaveri viventi, esclusi dalla vita sociale e religiosa.
Il modo di pensare, vedere e agire di Gesù è ben diverso. Rivoluzionario. Lui non si preoccupa della vicinanza del lebbroso, anzi gli si fa incontro “ne ebbe compassione, tese la mano, lo toccò”. E così facendo manifesta il vero volto di Dio. Non c’era alcun bisogno che lo toccasse; bastava, come già aveva fatto altrove, una sua parola; e invece vuole toccare, anche se questo era proibito dalla Legge. Vuole farsi vicino. Vuole concretamente manifestare che non ci sono barriere per Dio. “Lo voglio”: parole che dicono la volontà di Dio. Questo Dio vuole: non emarginare nessuno. “Sii purificato”: un Dio che vuole che tutti possano vivere in una relazione d’amore con Lui.
Ecco la grande novità che non può essere taciuta. Ecco il manifestarsi dell’autentico volto di Dio.
Non è vero, come insegna la religione, che l’uomo deve purificarsi per avvicinarsi e accogliere il Signore, ma è vero il contrario, accogliere il Signore è ciò che purifica l’uomo.
E non è vero allora che Dio castiga il peccatore con la malattia, ma piuttosto Lui è ancor più vicino a chi è malato e peccatore; per loro si è manifestato, non per i sani!.
E ancora: Dio non esclude nessuno dalla relazione d’amore con lui; nessuno può e deve essere considerato impuro davanti a Lui. Ognuno per lui è figlio, anche se segnato dal male, dal peccato. Un figlio amato, di cui si muove a compassione, a cui si avvicina per tendere la mano, toccare e reintegrare in una relazione d’amore. Questa è la buona notizia, il vangelo, che smuove le genti che “venivano a lui da ogni parte”.
E’ questa la buona notizia che oggi, come singoli e come chiesa annunciamo? E’ questo il volto di Dio che cerchiamo di manifestare col nostro modo di pensare, vedere e agire?
Quel lebbroso innominato e sconosciuto altro non è che il simbolo di tutti coloro che, ancor oggi, vengono emarginati, giudicati, esclusi nella società e anche nella stessa chiesa.
Non dobbiamo chiudere gli occhi. Purtroppo anche dentro le comunità cristiane, nella chiesa, permane una logica da antico testamento… dove prevale la Legge, le regole. Dove emerge un volto di Dio che non è il Dio manifestato in Gesù Cristo.
Troppo volte escludiamo, giudichiamo, emarginiamo uomini e donne che, a causa delle loro idee, delle loro scelte o anche dei loro sbagli, classifichiamo come ’lebbrosi’, impuri, intoccabili, da non avvicinare…
A noi un esame di coscienza per riconoscere tali persone.
Non è così che a volte ci atteggiamo verso gli stranieri, verso i divorziati o coloro che vivono in situazioni che definiamo non regolari?
Arriviamo ad escludere alcuni solo perché hanno idee diverse da noi, appartengono a una famiglia piuttosto che a un'altra o ci stanno anche solo antipatici… Per non parlare poi di come ci poniamo davanti a chi si professa di altra religione…
Il mondo è ancora pieno di tanti lebbrosi: non solo quelli segnati dalla malattia (che pur potendo essere debellata non lo è per mancanza di volontà umana e di fondi…), ma anche di tanti ‘lebbrosi’ che noi creiamo con i nostri modi di pensare, vedere e agire.
Possiamo dirci cristiani atteggiandoci in questo modo?
Essere cristiani è diventare “imitatori di Cristo” come ci ricorda Paolo nella seconda lettura, imparando a fare tutto “per la gloria di Dio” e non secondo le nostre misure e regole umane.
Imitare Cristo è diventare capaci anche noi di pensare, vedere le persone e agire come ha fatto Lui: “ne ebbe compassione, tese la mano, lo toccò”.
E’ la sovversione di ogni legge che ha di mira la segregazione, l’allontanamento del diverso.
E’ soprattutto diffondere nel mondo il volto autentico di Dio, che in Gesù è venuto a contagiarci con il suo gratuito e smisurato amore.

sabato 7 febbraio 2015

Quinta domenica del tempo ordinario.



Gesù aveva iniziato la sua missione con il gesto del Battesimo: gesto che indicava l’immersione dentro questa nostra storia segnata da limite, fragilità, peccato. Ebbene il racconto di Marco - che continua l’episodio letto domenica scorsa - non fa altro che presentare questa reale immersione di Gesù dentro la vita, la nostra vita umana.
Gesù si immerge totalmente nella vita degli uomini: è nella sinagoga, va nella casa di Pietro, sta presso la porta della città, va in ogni luogo, ovunque c’è vita.
Questa sua immersione ha un unico scopo: annunciare che Dio, il Padre, ama la vita, ogni vita, ed è qui accanto all’uomo che vive, con tutte le sue fatiche.
Certo, la vita, come già urlava Giobbe nella prima lettura, è fatica, prova. Lo sperimentiamo ogni giorno. La fatica di vivere è evidente attorno a noi: nei giovani disorientati, negli anziani provati dalla vecchiaia e dalla solitudine, nelle famiglie segnate da divisioni e liti, nei malati senza speranza, nei delusi e in quanti provati da difficoltà economiche, dalla mancanza di lavoro. E poi quelli che non hanno cibo, non hanno patria, non hanno nulla, vivono esposti a violenze e guerre assurde.
Oggi poi si celebra in tutto il mondo la Prima giornata internazionale di preghiera e riflessione contro la tratta di persone, proposta dalle Unioni dei Superiori/e Generali nella festa di santa Giuseppina Bakhita, schiava sudanese, liberata e divenuta religiosa canossiana, canonizzata nel 2000. Ogni anno circa 2,5 milioni di persone sono vittime di traffico di esseri umani e riduzione in schiavitù; il 60 per cento sono donne e minori. Spesso subiscono abusi e violenze inaudite. D’altro canto, per trafficanti e sfruttatori la tratta di esseri umani è una delle attività illegali più lucrative al mondo: rende complessivamente 32 miliardi di dollari l’anno.
La vita di tanti esseri umani segnata da violenza, sofferenza, dolore.
La Parola oggi ci parla di un Dio che in Gesù si immerge in questa vita. Per amarla. Per sostenerla. Per apprezzarla.
E’ un Gesù che tocca, parla, prende le mani. Non fa discorsi; non dice: ‘poverino sopporta, rassegnati, offri la tua sofferenza…’. No: parla con i gesti. Con i gesti accompagna l’annuncio che è possibile vivere meglio, trovare vita in pienezza, vivere una vita bella, buona, gioiosa.
Non cerchiamo di fronte al dolore risposte che non ci sono, ma cerchiamo i gesti di Gesù. Lui ascolta, si avvicina, si accosta, e prende per mano. Mano nella mano: così davanti alla suocera di Pietro. E la rialza.
Cristo non è un mago che fa sparire la malattia, la sofferenza e la morte, ma qualcuno che accompagna, che offre sollievo e conforto, che libera e che resuscita.
Il messaggio è che la sofferenza, anche quella inevitabile, resta inaccettabile. Bisogna combatterla ad ogni costo.
È quello che fa il Cristo: per tutta la giornata a Cafarnao, immerso nella vita, combatte la sofferenza e il male. E ci aiuta a riconoscere che ogni vita, anche quella sofferente, piccola, indifesa, è preziosa davanti a Dio. Ogni vita ha bisogno di un mano che accompagni, risollevi, accarezzi, aiuti.
Nella sua giornata, così densa di eventi, Gesù tuttavia trova anche il tempo per un’altra immersione. Marco ci dice che “si ritirò in un luogo deserto e la pregava”. E’ l’immersione nella preghiera, o meglio nella relazione d’amore col Padre. Senza questa relazione d’amore con Dio non può esserci vera relazione d’amore con i fratelli.
Senza l’immersione nella vita di Dio non può esserci autentica immersione nella vita dell’umanità. Non c’è nulla che possa dare energia come passare del tempo a pregare con amore.
Senza preghiera non si è più appassionati, ma preoccupati. Se non circola amore nelle nostre vene, possiamo si sopravvivere, ma non vivere in pienezza.
Senza guardare il volto del Padre, saremo incapaci di riconoscere il valore della vita – nostra e di ogni creatura che ci circonda -, di vedere in ogni volto, il Suo, la Sua Presenza di Vita. L’amore per la vita matura nella relazione d’amore con Dio, sorgente della vita stessa. E da Lui ci viene la forza, la capacità di affrontare con coraggio la vita anche nei momenti più difficili.
Ecco dove Gesù attinge la sua forza, la pazienza, la dedizione, la capacità di spendersi, di servire. In questa relazione quotidianamente nutrita con il Padre della vita, scaturisce la capacità di vivere con amore, attenzione, coraggio, fede. La capacità di servire ogni vita.
Un ultimo particolare: la suocera di Pietro – dice il vangelo – dopo essere stata presa per mano, si alzò e “li serviva”. Ecco dove ci porta l’incontro con il Dio della vita che in Gesù ci prende per mano, ogni giorno, e ci risolleva.
Il Signore ti ha preso per mano, anche tu fa lo stesso, prendi per mano qualcuno. Un gesto così può sollevare una vita!. Anche tu devi prendere per mano qualcuno e risollevarlo.
L’uomo sollevato diventa servitore di colui che lo ha sollevato, servitore di ogni uomo che giace, di ogni Giobbe che grida le sue sofferenze e fatiche. Noi non saremo capaci del miracolo di guarire, ma dobbiamo essere capaci del miracolo di servire, di offrire conforto e tenerezza. E’ questo il vero prodigio. E’ questa la missione che Cristo affida ai discepoli ovunque si trovino... Dice loro: “Andiamocene – insieme - altrove, nei villaggi vicini, perché io predichi anche là; per questo infatti sono venuto!”
“Guai a me se non annuncio il Vangelo!” esclama Paolo. Guai se non trasmetto, con le parole e i gesti, quella bella notizia che la vita è il dono più grande, perché essa è la vita stessa di Dio, ed è da Lui amata, sostenuta, accolta e destinata a trovare in Lui la sua pienezza e bellezza definitiva.
Il Vangelo dunque ci invita ad accompagnarci, gli uni gli altri, a guarirci dalle nostre ferite, a darci la mano e ad alzarci in piedi per servire ogni fratello e sorella che condivide accanto a noi il cammino della vita.