domenica 27 novembre 2022

"Svegliati, cammina, rivestiti! - Prima domenica di Avvento /A

 


Il tempo nuovo dell’Avvento si apre con alcuni verbi che risuonano per tutti noi come guida e stimolo.

Svegliatevi. Camminate. Rivestitevi.

E’ Paolo nella seconda lettura, ma anche Gesù nel vangelo ascoltato, che ci invitano, con una certa decisione, a svegliarci. “E’ ormai tempo di svegliarvi dal sonno” dice Paolo. E Gesù aggiunge: “Vegliate, tenetevi pronti”.

Oggi, dobbiamo onestamente riconoscerlo, rischiamo di passare gran parte della nostra vita addormentati, non ci aspettiamo più niente, non ci accorgiamo di quello che succede o ce ne disinteressiamo (vedi: guerre, clima, miseria e povertà…). “Come ai giorni di Noè… non si accorsero di nulla finchè venne il diluvio e travolse tutti”. Se non ci svegliamo e non prestiamo attenzione a quello che sta accadendo dentro di noi e intorno a noi, ci ritroveremo travolti dal diluvio senza accorgerci che il tempo stava diventando brutto, sottovalutando le prime gocce. Dobbiamo svegliarci perché non sappiamo mai quello che può avvenire nella nostra vita: possiamo essere presi o lasciati. La vita è segnata dall’incertezza, solo noi possiamo fare la differenza. Ogni momento della vita è quello in cui posso essere preso o lasciato: come mi troverebbe oggi la vita? Sveglio o addormentato? Pronto o distratto? Indifferente o responsabile?

Svegliarsi allora vuol dire metterci in cammino.

Camminate è il secondo verbo che ci viene proposto. Isaia nella prima lettura lo ripete: “Venite, saliamo sul monte del Signore perché ci insegni le sue vie e possiamo camminare per i suoi sentieri”. E i sentieri del Signore sono i sentieri della pace, della riconciliazione, della giustizia; della trasformazione di spade in aratri, di lance in falci, cioè in attrezzi che servono per coltivare, per generare vita. Per lo più nella nostra vita maneggiamo quotidianamente spade e lance, riversiamo le nostre energie sui conflitti, cerchiamo di difenderci e di attaccare, ma dove ci porta questa violenza? Ci sono tante forme di violenza: possiamo essere violenti anche con il silenzio, con i giudizi, con l’indifferenza.

C’è da compiere un cammino di trasformazione, di cambiamento di vita; di rovesciamento di criteri, di scelte, di impostazioni per assumere in noi “le sue vie”.

“Camminiamo nella luce del Signore” suggerisce il profeta. Dalle tenebre del male alla luce del Signore. Ecco la trasformazione richiesta a chi vive sveglio, pronto, attento, responsabile.

Così facendo allora comprendiamo anche il terzo verbo dell’avvento: rivestitevi.

Lo pronuncia Paolo nella seconda lettura: “Rivestitevi invece del Signore Gesù Cristo”. “Invece” dice, per indicare appunto che il rivestirsi di Gesù chiede un cammino di trasformazione che descrive così: “gettiamo via le opere delle tenebre e indossiamo le armi della luce. Comportiamoci onestamente, come in pieno giorno non in mezzo a orge e ubriachezze, non fra lussurie e impurità, non in litigi e gelosie. Rivestitevi di Gesù Cristo”.

L’Avvento ogni anno ci ricorda che: “Il Signore è più vicino ora di quando diventammo credenti”. Il Signore è ogni giorno più vicino perché ogni minuto che passa si avvicina il momento in cui lo incontreremo.

Svegliamoci per evitare che il Signore passi senza che ce ne accorgiamo.

Camminiamo trasformando la nostra vita, rivestendola di Gesù attraverso l’ascolto della sua Parola, il nutrimento dei suoi sacramenti, così da riconoscerlo nella sua venuta.

Lui che è venuto nel tempo e nella storia, tornerà un giorno che non conosciamo. Ma fin d’ora viene ogni giorno. Solo chi è sveglio, in cammino, lo può riconoscere e, lasciandosi illuminare e guidare, fare esperienza dalla sua presenza che dà vita alla nostra vita.

sabato 19 novembre 2022

"Grandi nel perdersi" - Gesù, re e signore dell'universo.

“Sopra di lui c’era una scritta: Costui è il re dei Giudei”. Ma questa scritta non sta sopra un trono dorato bensì sul palo di una croce. Che strano re è Gesù. La scritta sembra una presa in giro, quasi a dire: vedete che fine ha fatto colui che è venuto a portare il regno di Dio? Anche noi facciamo indubbiamente fatica umanamente a riconoscere in un condannato a morte il re, il vincitore.

Eppure noi sappiamo e crediamo che questo Gesù, proprio lui, lì sulla croce, è il Signore della storia e dell’universo. E’ il volto stesso di un Dio che si rivela a tutti noi come amore misericordioso, vita più forte della morte.

Ma proviamo a entrare in questa scena che il vangelo oggi ci propone. Ci accorgiamo subito che ci sono diversi personaggi e ciascuno di questi, davanti a Colui che viene definito re, prende posizione.

C’è chi sta a vedere aspettando il finale: “il popolo stava a vedere”. C’è chi lo prende in giro: “I capi deridevano Gesù dicendo: ha salvato gli altri. Salvi se stesso se è lui il Cristo di Dio”. Altri, i soldati, lo deridevano anche loro dicendo “Salva te stesso”. Poi ci sono i malfattori. Uno lo insultava, anche lui dicendo “Salva te stesso e noi”. L’altro invece pur essendo un brigante ha rispetto verso di lui, anzi riconosce che “non ha fatto nulla di male” e infine si affida a lui riconoscendolo, nonostante tutto, un re vittorioso: “ricordati di me quando entrerai nel tuo regno”.

Solo a quest’ultimo Gesù rivolge la sua parola assicurando che “oggi sarai con me in paradiso”. “Sarai con me”: le parole che Dio dice a chi si affida a lui, fosse pure un malfattore! Parole di speranza e di vita.

Da questa scena emerge un re che non corrisponde ai nostri criteri umani (forza, dominio, successo) bensì un re che capovolge questi nostri criteri e ci svela la forza vincente dell’amore che si dona.

La strada della croce non è ‘salva te stesso’, come tutti gli dicevano, come anche noi tante volte pensiamo, ma ‘dona te stesso’. Questo fa Gesù sulla croce. Si dona, si perde per essere così vicino a quanti si sono persi, ai ladroni di questa storia. Gesù sceglie così di stare accanto con amore a ogni uomo e ogni donna che si trovano in situazione di perdizione: sceglie la misericordia fino alla fine, fino al dono di sé.

Qui sta la sua regalità e grandezza: nel perdersi. Capovolge la logica di potere e di forza che regge la mentalità umana. Gesù è re, è grande, è signore, perché si perde, condivide e così facendo salva gli altri e se stesso.

A davanti a lui noi quale posizione prendiamo? Quella della folla, dei saldati, dei capi, del malfattore, del cosiddetto buon ladrone? Sì perché davanti a Gesù che si propone come unico re e signore bisogna prendere posizione.

Il buon ladrone sembra voler dire anche a noi: fidati di Lui; più ancora: fai come lui. Fai come Gesù e vivi non pensando solo di salvare te stesso, bensì spendendo la tua vita per salvarti con gli altri. Non ci si salva da soli. Solo insieme. Così fa Gesù con tutti noi.

Così hanno fatto tanti che hanno creduto in lui e hanno fatto come Lui. Oggi ricordiamo in particolare padre Giuseppe Ambrosoli che viene riconosciuto beato da tutta la chiesa. Lui poteva benissimo salvare se stesso, pensare a se stesso e arricchirsi con la sua fabbrica di caramelle e miele… Invece ha conosciuto Gesù, si è fidato di Gesù, ha fatto come Gesù. Ha donato la sua vita, le sue capacità in particolare di medico e chirurgo, la sua fede nel vangelo per salvare gli altri, per salvare tanta gente nel cuore di quell’Africa ancora oggi così povera. Lui ha fatto come Gesù: ha portato vita proprio lì dove la morte sembrava cantare vittoria. Oggi la sua gente e tutta la chiesa lo riconosce come Gesù, re, beato, vincente. Perché ha amato come Lui.

Oggi anche noi possiamo sperimentare la felicità e la gioia se troviamo il coraggio di prendere posizione davanti a Gesù: fidandoci di Lui e facendo come Lui. Basta dire come il ladrone pentito al Signore: voglio essere dove tu sei, come tu sei!

Così con Lui anche noi faremo fiorire il suo Regno di giustizia, di pace, di vita per tutti, lì dove viviamo, ogni giorno.

 


sabato 12 novembre 2022

"Stare nella storia" - XXXIII domenica del tempo ordinario

 Stare nella storia, ovvero vivere la nostra esistenza quotidiana, è stare in mezzo a prove, fatiche e lotte. E’ l’esperienza che tutti facciamo. Di fatto la storia dell’umanità e la nostra storia personale sono segnate da sempre – oggi come ieri – da fatti e problemi che ci assillano e ci agitano, da paure che bloccano e scoraggiano. Non mancano poi fatti inspiegabili ed enigmatici, sciagure che si ripetono e ci provocano, ci interrogano: “guerre, terremoti, carestie e pestilenze” dice Gesù nel vangelo. Non mancano neppure conflitti che segnano le nostre relazioni quotidiane in famiglia, nella coppia, nella comunità e nella società.

Stare nella storia, ovvero vivere, diventa allora -dentro questa realtà concreta e faticosa- saper fare scelte; di responsabilità o di disimpegno. Come ricorda Paolo, si può vivere “una vita disordinata senza fare nulla e in continua agitazione”, oppure “lavorare duramente per guadagnarsi il pane”. Possiamo, anzi dobbiamo scegliere ogni giorno: se abbandonarci al caso, nel disimpegno che ci chiude in noi stessi o se aprirci con coraggio ad atteggiamenti costruttivi e positivi, con fiducia.

Ogni scelta comporta – lo sappiamo – comprensione o anche rifiuto, e soprattutto le scelte più impegnative possono incontrare opposizione anche da quelli della stessa famiglia “perfino dai genitori dai fratelli, dai parenti e dagli amici sarete traditi, sarete odiati, a causa del mio nome”.

Tuttavia, come credenti, sappiamo che il nostro stare nella storia è nelle mani di Dio al punto che “nemmeno un capello del nostro capo andrà perduto” e in Lui tutto troverà verità e giustizia, perché Lui “giudicherà il mondo con giustizia e con rettitudine”.

Quindi oggi Gesù ci sta invitando a stare nella storia con consapevolezza e saggezza “badando di non lasciarci ingannare” soprattutto da quanti con molta superficialità si ergono come salvatori e messia, avanzando pretese di agire nel ”suo nome”. E nello stesso tempo consapevoli della complessità del presente; per tutti ma in particolare per il discepolo di Gesù, che agisce nel suo nome, secondo la sua Parola: una complessità che sarà tuttavia “occasione di dare testimonianza”.

Ci invita poi a vivere comunque con fiducia, certi che in ogni prova “lui ci darà parola e sapienza” per “resistere e controbattere”.

Inoltre ci invita a stare nella storia con perseveranza e impegno nel bene, certi che “con la vostra perseveranza salverete la vostra vita”.

Quanto importante questo messaggio per noi oggi – per tanti giovani in particolare - fortemente tentati dalla paura, dallo scoraggiamento che porta a ripiegarci su noi stessi, a chiuderci agli altri, fino al rifiuto di affrontare la vita stessa.

E se oggi c’è una scelta da fare come cristiani e come chiesa è la scelta di stare dalla parte dei poveri, facendoci poveri con loro, cioè capaci di condivisione così come ha fatto Gesù che “da ricco che era si è fatto povero per voi”. Questa frase della lettera ai Corinzi fa da guida alla Giornata Mondiale dei poveri che oggi si celebra e ci sprona, tenendo fisso lo sguardo su Gesù che con la sua povertà ci ha resi ricchi del suo amore, a scegliere.

Scegliere da che parte stare innanzitutto: c’è un mondo da far finire ed è il mondo della violenza, del sopruso, della guerra, del commercio di armi e di persone. Noi, con Gesù, vogliamo stare apertamente dalla parte della non violenza, della pace, di coloro che vengono sfruttati, dei piccoli e dei poveri.

Scegliere come spendere la nostra vita (energie, tempo, capacità, beni…): se chiuderci nella nostra ricchezza o se invece condividere questa ricchezza mettendoci al passo con i poveri e gli ultimi per generare una società più giusta, creando uguaglianza e fraternità. Come Gesù ha fatto.

Stiamo dentro la storia dunque vivendo con fiducia e speranza, lavorando con perseveranza per il vangelo, certi che non il caos ma l’abbraccio di Dio è il fine della storia stessa, di ciascuno di noi e dell’umanità tutta.

sabato 5 novembre 2022

"Tutti vivono per Lui" - XXXII domenica del tempo ordinario


In coincidenza con questa settimana nella quale abbiamo ricordato i santi e i defunti, la Parola di Dio ci invita oggi a una riflessione sulle ‘cose ultime’: sulla morte, sull’aldilà, su ciò che ci attende oltre quella soglia.

Nel vangelo troviamo una storia paradossale utilizzata dai Sadducei (che non credevano nella risurrezione) non solo per mettere alla prova Gesù ma quasi per ironizzare sulla morte e ridicolizzare il pensiero della risurrezione.

Non mancano nemmeno oggi alcuni che, pur cristiani, arrivano a dubitare o a non credere alla risurrezione; come pure si fa di tutto per cercare di esorcizzare la morte, per banalizzarla fino a non considerarla, salvo poi che lei stessa ci si ripresenta nelle forme più tragiche: pandemia, guerre, miseria, violenze e omicidi…

Il brano diventa allora occasione propizia per fare luce sul mistero della morte e della vita; per gettare uno sguardo nuovo, lo sguardo della fede, sull’oltre che ci attende.

Guardiamo a come si pone Gesù davanti al tentativo dei Sadducei di metterlo in difficoltà.

Davanti all’ingarbugliata storia dei sette fratelli e dell’unica moglie, Gesù, come è solito fare, ci invita a pensare diversamente e più in grande: Quelli che risorgono non prendono moglie né marito. La vita futura, ci dice, non è il prolungamento di quella presente. Coloro che sono morti non risorgono alla vita biologica ma alla vita di Dio.  Il dopo che ci attende non è prolungamento di quello che siamo ora, ma totale novità. Non si può pensare al dopo con gli stessi criteri umani; “quelli che sono giudicati degni della vita futura e della risurrezione dai morti… non possono più morire, perché sono uguali agli angeli e, poiché sono figli della risurrezione, sono figli di Dio”.  

Questo perché il Dio in cui poniamo la fiducia non è un Dio dei morti (cioè un Dio che dà la morte e giudica l’uomo in base al suo operato) ma un Dio dei vivi (Dio di Abramo, di Isacco, di Giacobbe: cioè un Dio che entra in una relazione personale con ciascuno, considerando ogni vivente un figlio) al punto che “tutti vivono per Lui”, cioè a causa, per mezzo di Lui.

E’ Lui che dona la vita e porta a pienezza la vita di ogni essere umano. Ed essendo il Dio della relazione e dell’amore questo ci assicura che nessuna delle relazioni umane vissute quaggiù andrà persa e annullata, piuttosto troverà in Dio Amore il suo pieno significato e valore. L’eternità non è una terra senza volti e senza nomi. “Forte come la morte è l’amore, tenace più della morte” (Cantico). Non è la vita che vince la morte, è l’amore. E nell’amore ognuno potrà riconoscere se stesso e ogni altra persona incontrata e amata. Noi siamo quindi, ora e dopo la morte, nell’abbraccio del Suo Amore, nelle sue mani, mani di un Padre che da sempre guida la storia e la conduce a un approdo di vita, di pienezza, di comunione.

La conferma? E’ la risurrezione di Cristo, la sua Pasqua, che ogni domenica rinnoviamo e riviviamo, seme di eternità, anticipo di vita eterna. Cristo il figlio amato è il vivente.

Messaggio bello di speranza e consolazione davanti al mistero drammatico e doloroso della morte, che deve tuttavia portarci a uno sguardo nuovo sulla vita stessa e a scelte nuove.

Lo sguardo: riconoscerci figli amati di Dio e fratelli chiamati alla comunione con Lui e tra noi. Le scelte:  realizzare e vivere questo, impostando la vita su valori eterni e non su ciò che è provvisorio ed effimero come l’accumulare, il possedere, il dominare.

Se il nostro destino finale è la vita di comunione con Dio e tra noi, diventa chiaro che verso questo dobbiamo tendere fin d’ora imparando a costruire, qui e ora, relazioni fraterne, solidali, nella fraternità e nella pace; abbattendo muri e divisioni. Imparando a vivere non come se tutto fosse nelle nostre mani, ma con fiducia, certi che tutto è nelle mani di un Dio che è Dio dei viventi.

Questo messaggio si speranza illumini la nostra esistenza e ci aiuti ad affrontare in modo nuovo la storia quotidiana, anticipando quello che sarà il nostro destino finale, quella vita impregnata di amore che qui con fatica costruiamo e che saremo chiamati tutti a conseguire e a realizzare pienamente in Dio.

 

giovedì 3 novembre 2022

Lettera a chi manifesta per la Pace.

LIBERI INSIEME DALLA GUERRA


Cara amica e caro amico, sono contento che ti metti in marcia per la pace. Qualunque sia la tua età e condizione, permettimi di darti del “tu”.

Le guerre iniziano sempre perché non si riesce più a parlarsi in modo amichevole tra le persone, come accadde ai fratelli di Giuseppe che provavano invidia verso uno di loro, Giuseppe, invece di gustare la gioia di averlo come fratello. Così Caino vide nel fratello Abele solo un nemico.

Ti do del “tu” perché da fratelli siamo spaventati da un mondo sempre più violento e guerriero. Per questo non possiamo rimanere fermi. Alcuni diranno che manifestare è inutile, che ci sono problemi più grandi e spiegheranno che c’è sempre qualcosa di più decisivo da fare. Desidero dirti, chiunque tu sia – perché la pace è di tutti e ha bisogno di tutti – che invece è importante che tutti vedano quanto è grande la nostra voglia di pace. Poi ognuno farà i conti con se stesso. Noi non vogliamo la violenza e la guerra. E ricorda che manifesti anche per i tanti che non possono farlo. Pensa: ancora nel mondo ci sono posti in cui parlare di pace è reato e se si manifesta si viene arrestati! Grida la pace anche per loro!

Quanti muoiono drammaticamente a causa della guerra. I morti non sono statistiche, ma persone. Non vogliamo abituarci alla guerra e a vedere immagini strazianti. E poi quanta violenza resta invisibile nelle tante guerre davvero dimenticate. Ecco, per questo chiediamo con tutta la forza di cui siamo capaci: “Aiuto! Stanno male! Stanno morendo!

Facciamo qualcosa! Non c’è tempo da perdere perché il tempo significa altre morti!” Il dolore diventa un grido di pace.

La pace mette in movimento. È un cammino. « E, per giunta, cammino in salita», sottolineava don Tonino Bello, che aggiungeva: «Occorre una rivoluzione di mentalità per capire che la pace non è un dato, ma una conquista. Non un bene di consumo, ma il prodotto di un impegno.

Non un nastro di partenza, ma uno striscione di arrivo». Le strade della pace esistono davvero, perché il mondo non può vivere senza pace. Adesso sono nascoste, ma ci sono. Non aspettiamo una tragedia peggiore. Cerchiamo di percorrerle noi per primi, perché altri abbiamo il coraggio di farlo. Facciamo capire da che parte vogliamo stare e dove bisogna andare. E questo è importante perché nessuno dica che lo sapevamo, ma non abbiamo detto o fatto niente.

Non sei un ingenuo. Non è realista chi scrolla le spalle e dice che tanto è tutto inutile. Noi vogliamo dire che la pace è possibile, indispensabile, perché è come l’aria per respirare. E in questi mesi ne manca tanta.

È proprio vero che uccidere un uomo significa uccidere un mondo intero. E allora quanti mondi dobbiamo vedere uccisi per fermarci?

«Quante volte devono volare le palle di cannone prima che siano bandite per sempre?». «Quante orecchie deve avere un uomo prima che possa sentire la gente piangere?». «Quante morti ci vorranno finché non lo saprà che troppe persone sono morte?». «Quando sarà che l’uomo potrà imparare a vivere senza ammazzare?».

Io, te e tanti non vogliamo lutti peggiori, forse definitivi per il mondo, prima di fermare queste guerre, quella dell’Ucraina e tutti gli altri pezzi dell’unica guerra mondiale. Le morti sono già troppe per non capire! E se continua, non sarà sempre peggio?

Chi lotta per la pace è realista, anzi è il vero realista perché sa che non c’è futuro se non insieme. È la lezione che abbiamo imparato dalla pandemia. Non vogliamo dimenticarla. L’unica strada è quella di riscoprirci “Fratelli tutti”. Fai bene a non portare nessuna bandiera, solo te stesso: la pace raccoglie e accende tutti i colori.

Chiedere pace non significa dimenticare che c’è un aggressore e un aggredito e quindi riconoscere una responsabilità precisa. Papa Francesco con tanta insistenza ha chiesto di fermare la guerra. Poco tempo fa ha detto: «Chiediamo al Presidente della Federazione Russa, di fermare, anche per amore del suo popolo, questa spirale di violenza e di morte e chiediamo al Presidente dell’Ucraina perché sia aperto a serie proposte di pace ». Chiedi quindi la pace e con essa la giustizia.

L’umanità ed il pianeta devono liberarsi dalla guerra. Chiediamo al Segretario Generale delle Nazioni Unite di convocare urgentemente una Conferenza Internazionale per la pace, per ristabilire il rispetto del diritto internazionale, per garantire la sicurezza reciproca e impegnare tutti gli Stati ad eliminare le armi nucleari, ridurre la spesa militare in favore di investimenti che combattano le povertà. E chiediamo all’Italia di ratificare il Trattato Onu di proibizione delle armi nucleari non solo per impedire la logica del riarmo, ma perché siamo consapevoli che l’umanità può essere distrutta.

Dio, il cui nome è sempre quello della pace, liberi i cuori dall’odio e ispiri scelte di pace, soprattutto in chi ha la responsabilità di quanto sta accadendo. Nulla è perduto con la pace. L’uomo di pace è sempre benedetto e diventa una benedizione per gli altri.

Ti abbraccio fraternamente.

Matteo Zuppi cardinale arcivescovo di Bologna e presidente della Cei