venerdì 31 marzo 2017

Quinta domenica di Quaresima.



Il passaggio dalla morte alla vita, centro del messaggio di questa domenica, è preludio e anticipo della Pasqua ormai vicina; festa che annuncia la vittoria di Gesù sulla morte; vittoria che non elimina ma affronta e supera la morte stessa, verso la pienezza di vita.
Tuttavia l’orizzonte davanti al quale ci pone la Parola di Dio oggi è molto più ampio. Non si limita infatti a presentarci la morte che segna il termine umano di ogni creatura.
Partendo da essa, dalla morte fisica di Lazzaro, si vuol arrivare a cogliere come la morte segna già la nostra vita ben prima e in modi e forme diverse. La morte fisica non è altro che immagine di quella morte che già è presente in noi quando la vita si lascia “spegnere” dal male, dal peccato.
I testi letti sottolineano infatti tre dimensioni della morte: la morte fisica di Lazzaro, ma anche la morte spirituale di chi vive nella chiusura egoistica (ne parla Paolo nella seconda lettura) e la morte simbolica del popolo di cui parla la prima lettura. Dimensioni di morte, queste due, non meno reali della prima.
Per Paolo l’uomo che vive “nella carne”, nell’autosufficienza egoistica, fa del proprio cuore la propria tomba e si trova nella morte spirituale. Aridità, freddezza, distacco, chiusura e paura diventano quell’odore di morte che emana già ora da questa esistenza quando ci si lascia chiudere dentro la tomba dell’egoismo.
Ma c’è pure la morte comunitaria di cui parla il profeta Ezechiele; si tratta di una situazione di morte della speranza: “La nostra speranza è svanita, siamo perduti”, dicono gli Israeliti deportati in esilio proprio nel versetto che precede il brano letto. Anche  noi, nelle vicende relazionali (un’amicizia, un amore, un matrimonio), nelle vicende comunitarie, ecclesiali e sociali che viviamo, a volte sperimentiamo la morte della speranza, fallimenti e delusioni, l’assenza di futuro, la mancanza di fiducia.
Allora l’episodio del vangelo ha per tutti noi un messaggio molto ampio e ricco. Un messaggio di speranza che riguarda non solo la prospettiva futura della nostra esistenza dopo la morte del nostro corpo, bensì anche la prospettiva presente della nostra vita personale e relazionale. Quale questo messaggio?
Il Dio che si manifesta in Gesù è Amore che amando dona la vita.
Ma perché – ci viene da dire – lascia morire l’amico Lazzaro, perché lascia che la morte continui a mietere i suoi frutti, anche oggi e ovunque e in tutti i modi?
Il Dio che Gesù manifesta è il Dio Amore innanzitutto perché come ‘amico’ condivide questa nostra fragile esistenza fino alla morte stessa; soffre, piange, muore con noi e come noi.
Questo è l’amore. Ed è questo amore, che condivide fino in fondo, ciò che vince la morte; non la toglie, non la elimina, ma la supera, la vince dal di dentro e la apre a vita nuova.
“Io sono la risurrezione e la vita”. Colui che per amore ci fa risorgere dalla morte, da ogni morte, per portarci alla pienezza della vita, alla comunione d’amore definitiva in Dio.
“Io sono la risurrezione e la vita”: non solo la vita eterna, ma vita di ogni vita. Sono la tua vita già ora, sono la tua risurrezione già ora. Non c’è morte che non possa essere superata. Perché “chi crede in me anche se muore vivrà; chiunque vive e crede in me, non morirà in eterno”.
In Gesù Dio condivide le nostre fatiche, la nostra morte e prendendoci per mano ci tira fuori da ogni esperienza di morte donandoci nuova vita. Se credi in Gesù con tutto ciò che sei ne vieni fuori sempre, piano, con pazienza, con umiltà, ma vieni fuori sempre da qualsiasi situazione, paura, confusione, trauma, errore, difficoltà, morte. Con la forza della Sua Parola e del Suo Spirito, ci strappa da tutto ciò che è morte.
E’ il Suo Spirito che soffia la vita dentro di noi: “farò entrare in voi il mio Spirito e rivivrete”; “voi siete sotto il dominio dello Spirito, lo Spirito di Dio abita in voi… E se lo Spirito di Dio abita in voi, darà la vita anche ai vostri corpi mortali”. Lo Spirito ci fa passare dalla vita nel peccato alla vita in Cristo; dalla disperazione e dalla dispersione, alla speranza e alla capacità di ricostruire comunione e fraternità; lo stesso Spirito “trasformerà il nostro corpo mortale a immagine del corpo glorioso di Cristo”.
Questo Spirito opera in noi attraverso la Parola di Gesù.
Notiamo come sia forte la sua Parola nel ridare vita a Lazzaro.
Si tratta di alcuni passaggi che Gesù invita anche noi a compiere. “Togliete la pietra… vieni fuori… liberatelo e lasciatelo andare”. 
Ecco la via della vita che si apre anche per noi: togli la pietra della paura che ti chiude in te stesso, vieni fuori dal male, dal peccato, liberati da ogni legame con esso, sciogliti e và, riprendi il tuo cammino di speranza, di fiducia, di amore, di vita nuova. A queste parole, che dicono tutta la forza dell’amore di Dio verso di noi, dobbiamo infine aggiungerne un’altra che sta quale premessa a tutto; è la domanda rivolta a Marta, e oggi rivolta a tutti noi: “Credi questo?”. “Sì, o signore, io credo che tu sei il Cristo, il Figlio di Dio, colui che viene nel mondo”, Colui che è per tutti noi “risurrezione e vita”. Sia questa anche la nostra risposta, così da fare, già ora, esperienza del suo Amore che libera e apre a nuova vita.




sabato 25 marzo 2017

Quarta domenica di Quaresima



“Và a lavarti… andò, si lavò e tornò che ci vedeva”. Queste le modalità attraverso le quali l’uomo cieco dalla nascita torna a vedere.
Dall’acqua alla luce. L’acqua rinnova e purifica aprendo gli occhi al vedere. Acqua, luce: Gesù. E’ lui che nel vangelo oggi si presenta come “la luce del mondo”.
Nel brano torna più volte il verbo vedere: Gesù “vide”, così i suoi discepoli, poi la gente che lo “aveva visto prima” e ancora i farisei, i giudei, i genitori stessi del cieco. E infine è lo stesso cieco che recuperata la vista si sentirà dire: “Tu lo hai visto”, arrivando così alla splendida professione di fede “Credo Signore!”.
Si parla di vedere, ma con effetti diversi. C’è chi vede ma non riconosce, e chi non vede ma arriva a credere. 
E’ tutta una questione di sguardi. Già lo ricordava Dio al profeta Samuele, mandato a ungere Davide: “Non guardare al suo aspetto…non conta quel che vede l’uomo; l’uomo vede l’apparenza, ma il Signore vede il cuore”.
Come sono vere queste parole. Il nostro sguardo il più delle volte sa solo fermarsi all’apparenza, all’esteriorità e si fa sguardo che critica, giudica, condanna, cataloga, esclude… Come i discepoli che vedono e subito si chiedono “chi ha peccato?”; come i farisei che vedono ma si fermano ai loro schemi, all’esteriorità di una legge non rispettata perché era sabato: diventano così spietati giudici, incapaci di riconoscere la novità che era lì sotto i loro occhi.
Sguardi diversi: alcuni colpevolizzanti, altri solidali, pieni di misericordia, come lo sguardo di Gesù che “vide” e si avvicinò, toccò con mano, sanò gli occhi del cieco.
Qual è il nostro modo di vedere le persone, i fatti e gli eventi della vita, il nostro modo di guardare agli altri e a Dio?
Sguardi superficiali e pronti a ‘fare le misure’ a tutto e a tutti o sguardi profondi che aprono a speranza, fiducia, offrono vicinanza e solidarietà?
Abbiamo bisogno di imparare sguardi nuovi.
I nostri occhi sono forse abituati a vedere di tutto e di più, ad immagazzinare così tante immagini e il più delle volte tristemente negative che anche il nostro sguardo poi ne resta condizionato, indebolito, malato.
Lasciamo che Gesù stesso si fermi vicino a ciascuno di noi per sanare i nostri occhi, gli occhi del nostro cuore e della nostra mente, così che abbiano ad essere capaci di vedere le cose come realmente sono e le persone in tutta la loro verità, quali figli e figlie amati dal Padre.
Occhi che sappiano riconoscere gli spiragli di luce che sono dentro la nostra storia, nelle nostre situazioni complesse e a volte drammatiche, per vedere così la Sua Luce che sempre ci accompagna e ci guida; per riconoscere la Presenza in mezzo a noi di un Dio che afferma: “Io sono la luce del mondo”.
Allora possiamo arrivare anche noi di nuovo a dire: “Credo Signore!”. Credo che tu mi hai, ci hai, illuminati da sempre. Credo che è la tua luce che ci abita ed è più forte di ogni tenebra.
Nel Battesimo, mentre venivamo portati per essere lavati nell’acqua della vita, ci è stato detto: “Ricevi la luce di Cristo” e ci è stata consegnata, accesa dal cero pasquale, una candela, per ricordarci che da quel giorno, attraverso l’acqua siamo rinati e passati dalle tenebre del peccato alla luce della vita nuova che ci dona Gesù.
Per questo Paolo non esita a ricordarci: “Un tempo eravate tenebra, ora siete luce nel Signore”. Poi aggiunge, usando il testo di un inno utilizzato proprio nella celebrazione del battesimo dai primi cristiani: “Svegliati tu che dormi, risorgi dai morti e Cristo ti illuminerà”.
In questo cammino quaresimale verso la Pasqua, Gesù possa di nuovo aprire i nostri occhi, convertire i nostri sguardi, risvegliarci dal nostro sonno che ci immerge, a volte senza che ce ne rendiamo conto, nelle tenebre del male.
Il Vangelo di oggi ci chiede di guarire, di conquistare una vista nuova, di conquistare un volto raggiante. Come è possibile?
Il suo ‘passarci accanto’, qui nella celebrazione dell’eucaristia, rende possibile tutto ciò. Qui il Signore con la sua Parola e la sua presenza viva converte i nostri occhi e la nostra vita; ci trasforma e illumina i nostri volti così da poter uscire di nuovo illuminati e capaci di portare la sua luce a tutti. Quella luce che viene dalla sua misericordia, dal suo perdono e che diventa gioia profonda del cuore. E’ Lui infatti che ci fa passare dalla presunzione di vedere, di sapere tutto, di crederci bravi e migliori degli altri, all’umiltà di chi si riconoscere segnato dall’orgoglio; e ci conduce poi dalle tenebre del peccato allo splendore della sua luce così che possiamo veramente essere “luce nel Signore” e “comportarci come figli della luce”. Che significa, ricorda ancora Paolo, capaci di vivere con “bontà, giustizia e verità, cercando ciò che è gradito al Signore”.
Con Gesù i nostri occhi possano abbandonare lo sguardo superficiale, che si ferma solo all’apparenza, per imparare lo sguardo nuovo di Dio che sa vedere in profondità, e come Lui saper andare al cuore di ogni persona, situazione e cosa per riconoscere la sua Presenza di Luce che sempre accompagna i nostri passi.

domenica 19 marzo 2017

Terza domenica di quaresima



La sete dell’uomo: questo sembra essere il tema cui le letture di oggi fanno riferimento. Il popolo, guidato da Mosè, in cammino nel deserto, ha sete. Di sete parla pure il Vangelo.
La sete d’acqua è simbolo di tutti quei desideri inappagati del cuore che si fanno sentire e generano ansia e tormento, e spesso trascinano lontano, verso strade illusorie indicate dall’egoismo.
E’ richiamo a una sete più profonda: sete di relazione, di incontro, di amore di cui siamo carenti.
Come quella donna: “non ho marito” dice a Gesù. Qualche capitolo prima, alle nozze di Cana un’altra donna, Maria, disse “non hanno più vino”. E poi in un altro passo “non hanno più pane” diranno i discepoli.
L’uomo è mancante, non ha ciò che sazia la sua sete, la sua fame di amore. E’ assetato e continuamente in ricerca della sorgente.
Ma ogni sete è appagata solo dal Signore, ci dice oggi la Parola. È lui che conosce i bisogni dell’animo umano, ed è lui solo che sa quali sono i momenti e i modi per soddisfarli. Come ci racconta il vangelo.
È Gesù che ha sete di acqua quando a mezzogiorno si siede sul pozzo di Giacobbe. La sua sete è solo occasione per aiutare la donna di Samaria ad accorgersi di essere più che assetata, di avere dentro di sè molte seti insoddisfatte che lui soltanto può acquietare.
Ella non vorrebbe fare ogni giorno la fatica di andare al pozzo a prendere l’acqua, non ha una vita affettiva ordinata e fedele, non ha chiarezza sulla preghiera e quindi sulla vita interiore e sulla salvezza finale. Di solito le donne vanno al mattino o alla sera ad attingere l’acqua, nelle ore meno calde; lei va a mezzogiorno, e questo dice il disordine della sua vita, la pigrizia e la volontà di non incontrare altri.
Incontra invece Gesù. Nell’incontro egli si comporta in modo nuovo, sorprendente. Un giudeo non avrebbe mai accettato di bere dal recipiente immondo di un samaritano, ed egli invece lo chiede. Un giudeo non avrebbe parlato con una donna della Samaria, per non perdere tempo e per non gettare le sue perle ai cani: Gesù invece cerca il dialogo con lei e vuole insegnarle le cose di Dio. Gesù ama, e ama tutti.
E la donna nel dialogo, che dall’inimicizia iniziale passa alla sorpresa, all’interesse e alla scoperta di chi ha davanti, a contatto con Gesù diventa nuova: non è più lei.
Ella sfuggiva il contatto con gli altri, ora corre a chiamare i concittadini. Finora aveva solo cose da nascondere, ora deve manifestare la sua gioia e la sua pienezza.
L’incontro con Gesù le ha cambiato la vita. La donna scopre in quel giudeo, un uomo, un profeta, il Messia. E arriva così al dono della fede.
La sua sete trova ristoro in quel Gesù che gli svela il Padre, spirito e vita, che può e deve incontrare non tanto in un luogo o in un tempio, ma accanto a lei: “Sono io che parlo con te”; lungo il cammino della vita, nell’intimo del cuore, sorgente zampillante di vita eterna.
E così, nella fede, Gesù diventa lo Sposo, l’acqua viva, il pane, la vita che dà vita, diventa la pienezza di senso tanto cercata.
Gesù siede ancora oggi sull’orlo dei pozzi dove corrono gli uomini di questo mondo. Egli là è pronto ad accogliere le singole persone e le folle che accorrono, l’intera umanità più che mai assetata di giustizia, di pace, di vita. Lui è venuto per tutti e tutti cerca e attende per offrire quell’acqua che sazia ogni sete.
Lui ancora oggi è qui per noi suoi discepoli, a volte così assenti e distratti e non certo migliori degli altri, né di quella donna…; è qui per incontrarci, così come siamo, con le nostre fragilità, paure, le nostre seti; ci attende per riempire il nostro vuoto, per farci scoprire amati e donarci ciò di cui siamo mancanti: quella fede che apre al Dio amore, spirito e verità.
E’ Gesù la sorgente, l’acqua che sgorga dalla roccia nel deserto del nostro cammino, l’amore offerto in modo smisurato “mentre eravamo ancora peccatori”.
Da Lui, dal suo cuore aperto è realmente uscita l’acqua viva: un’acqua che purifica, rigenera, dà vita; l’acqua inesauribile del Suo Spirito. Spirito che fin dal giorno del Battesimo, come acqua viva, è stato riversato nei nostri cuori. Paolo ce lo ricorda nella seconda lettura: “l’amore di Dio è stato riversato nei nostri cuori per mezzo dello Spirito santo che ci è stato dato”.
Se viviamo nello Spirito che ci rende sempre più conformi a Gesù, allora tutta la nostra vita diventa luogo della sua presenza, luogo del vero culto e della vera adorazione, così che l’acqua dello Spirito che lui ci dona “diventerà in noi sorgente d’acqua che zampilla per la vita eterna”.

venerdì 10 marzo 2017

Seconda domenica di Quaresima



Dal deserto al giardino e ora alla montagna. La Quaresima è fatta di luoghi, di spazi, di tempi che segnano un cammino, come quello di Abramo, verso una terra promessa, verso una vita che si apre a novità.
E’ sempre Gesù colui che guida il cammino: il deserto ha dimostrato che possiamo trasformarlo in giardino, ora conduce i suoi amici sul monte. Qui si trasfigura. Forse perché il monte è il luogo della luce: sul monte si posa il primo raggio di sole e vi indugia l’ultimo, il giorno è più lungo e la notte più corta. E la luce è il dono che fa ai suoi proprio nella trasfigurazione. Una luce non tanto esteriore, quanto interiore. Una luce che lo abita e che ci abita. Gesù, uomo come tutti noi, provato e tentato come noi, in cammino verso la croce e la morte, vuole far toccare con mano ai suoi che questa sua e nostra umanità, così fragile, debole, minacciata, è tuttavia abitata da una luce più forte di ogni tenebra.
La sua trasfigurazione è una porta di luce che mostra chi siamo realmente, da dove veniamo, dove andremo a vivere per sempre. Non è solo una porta verso l’eternità, ma è la manifestazione dell’eternità che già come figli di Dio vive in noi in ogni istante. Noi siamo composti e fatti della luce di Dio.
Ecco cosa vuole svelarci Gesù sul monte. La sua e la nostra umanità fragile è già ora abitata dalla presenza luminosa e dalla forza di Dio.
Non dobbiamo temere dunque se siamo impastati di fango perché in noi abita il soffio di Dio. Non dobbiamo avere paura se siamo mortali e deboli, perché in noi abita la vita stessa di Dio.
Questo annuncia la trasfigurazione. Per dire a tutti noi – singoli e umanità – che possiamo da ora trasfigurarci a sua immagine.
Il peso del male che ci schiaccia, le ingiustizie e le violenze assurde, i limiti e le fragilità che ci bloccano: tutto questo c’è, lo sperimentiamo ogni giorno. Ma c’è in noi anche una luce, una forza, una vita molto più forti. Il nostro volto, le nostri vesti, il nostro vivere quotidiano possono già ora far emergere e diffondere quel tesoro di luce che ci abita.
Questo perché anche noi siamo figli amati come il Figlio Gesù; e nella misura in cui lo ascoltiamo anche noi ci trasfiguriamo. “Questi è il Figlio mio, l’Amato… Ascoltatelo”. E’ il centro di tutto il racconto. Chi lo ascolta diventa come Lui. Ascoltarlo significa essere trasformati; significa far crescere la luce interiore che ci abita, la vita di Dio in noi fino al punto che essa possa manifestarsi sui nostri volti, nelle nostre azioni, in tutta la nostra vita. Siamo fatti per la trasfigurazione: già ora e in attesa della trasfigurazione definitiva che sarà partecipazione piena alla Pasqua di risurrezione di Gesù.
Tutto ciò noi lo sappiamo benissimo, anche se a volte, lungo il cammino lo scordiamo. Fin dal Battesimo ci è stato detto che siamo uomini e donne nuovi, già risorti con Gesù: una veste bianca ci è stata data come segno per non dimenticare questa novità, questa forze e luce che ci abita e ci riveste; “questa veste bianca sia segno della tua nuova dignità… rivestito di Cristo…”.
Fragili, peccatori, ma figli amati, rivestiti di luce, con dentro la vita di Dio. Abbiamo in noi, come ha detto Paolo nella seconda lettura la forza di Dio: “Figlio mio, con la forza di Dio, soffri con me per il vangelo. Egli ci ha salvati e chiamati a una vocazione santa… ha vinto la morte e fatto risplendere la vita”.
Con Pietro viene da dire allora anche a noi: “E’ bello stare qui”, è bello essere di Cristo, figli amati, abitati dalla presenza di Dio. Ed è vero: la vita cristiana è bellezza, gioia, trasfigurazione appunto!
Tuttavia Gesù anche a noi ricorda che questa consapevolezza non deve isolarci in un’esperienza emotiva e intimistica, né dobbiamo tenere nascosta e solo per noi questa luce e questa novità. Lui ci chiama ad aprirci agli altri, ci spinge a scendere dal monte, a rimetterci in cammino con tutti, ad affrontare prove e fatiche, abitati dalla sua Presenza in noi che deve farsi visibile, così come si vede un abito che si indossa, una veste bianca che dice a tutti la nostra vera identità: siamo, in Gesù amato e ascoltato, figli amati del Padre.  
Siamo con Lui sempre stirpe di Abramo, camminatori instancabili per diffondere quella luce che abbiamo avuto il dono di scoprire presente in noi. Come Abramo portatori di benedizione: “possa tu essere una benedizione”. Questo invito-augurio che Dio rivolge ad Abramo è detto anche per noi. “Possa tu essere una benedizione” per tutti. Possa portare a tutti quella bellezza che deve rivestire di novità la nostra vita, quella luce più forte di ogni tenebra, quella vita che nemmeno la morte può spegnere. Questo non con arroganza e presunzione, ma con mitezza e umiltà, bontà, misericordia.
Sia tutta la nostra vita, il nostro modo di parlare e agire, di affrontare i problemi e le prove, di trattare le persone e le cose, che lascia trasparire quella luce che ci abita, che testimonia il nostro essere figli amati del Padre, così da accendere in chi incontriamo una luce di speranza, un risveglio di fiducia e di coraggio che ci renda tutti consapevoli che la nostra vita, l’umanità tutta, può essere trasfigurata, perché siamo immersi già ora nella vita stessa di Dio e verso la piena comunione con Lui, Luce senza tramonto, siamo incamminati.