sabato 19 dicembre 2015

Quarta domenica di Avvento



A pochi giorni dal Natale di Gesù, la Parola di Dio ci chiama allo stupore, alla meraviglia. Colui che contiene in sé l’universo intero e che è creatore di ogni cosa, energia che a tutto da vita, ha deciso di venire in mezzo a noi. Questo è a dir poco grandioso.
Ma la cosa ancor più impensabile è che per venire in mezzo a noi non sceglie ciò che è sublime, grande, perfetto, pur nei limiti dell’umano; no. Sceglie ciò che è piccolo, povero, chi non si impone, chi non conta. “E tu Betlemme, così piccola… da te uscirà per me colui che deve essere il dominatore”. Due donne: Maria, Elisabetta. Sconosciute. Una ancora vergine, l’altra sterile e anziana. Qui, il Dio infinito sceglie di manifestarsi.
Ma questa manifestazione si fa ancor più sorprendente.
Infatti poteva manifestarsi in loro con segni particolarmente prodigiosi o anche solo in modo puramente spirituale: un messaggio, una rivelazione… No. La scelta è quella del corpo.
E’ l’immagine che torna in tutte le letture. “Partorirà colei che deve partorire” dice il profeta. Nel vangelo è un canto di grembi che danzano, di bambini che sussultano di gioia, di donne incinte. E infine la lettera agli Ebrei afferma: “un corpo mi hai preparato… ecco io vengo per fare, o Dio, la tua volontà”.
Ecco compiersi l’inaudito: il Dio dell’universo sceglie come luogo, spazio per la sua presenza tra noi un corpo, il corpo.
La salvezza ci raggiunge “nel corpo” prima che nell’anima. Il corpo è il luogo dell’adempimento della volontà di Dio: “un corpo mi hai preparato… ecco io vengo per fare, o Dio, la tua volontà”.
E questa volontà non è altro che il vivere fino in fondo il nostro corpo, la nostra umanità, perché la salvezza si gioca e si compie nella relazione con l’altro, nell’incontro. Questa la via scelta da Dio e rivelata a noi attraverso Maria nel suo incontrarsi con Elisabetta.
Maria accoglie nel suo corpo vergine il Dio che si fa carne e si sente spinta a mettersi in viaggio per portare ad altri questa presenza inspiegabile. “Si alzò e andò in fretta”. Un corpo che si mette in movimento per andare a portare, a far toccare con mano, ad altri, che siamo abitati da Dio.
E questo avviene nell’incontro, descritto in modo delicato e splendido da Luca. Un incontro che si apre con un saluto: “salutò Elisabetta. Appena Elisabetta ebbe udito il saluto di Maria, il bambino sussulto nel suo grembo”. Si scopre anche lei abitata da Dio, dalla Vita; “fu colmata di Spirito Santo”. Basta un saluto perché l’altro si senta abitato, amato da Dio. Salutare è donare salvezza.
Saluto e salvezza sono parole che si richiamano; hanno una radice comune. Il saluto di Maria diventa saluto di salvezza; una salvezza che pervade il corpo e l’anima di Elisabetta, così come prima ha pervaso il corpo e l’anima di Maria davanti al saluto dell’angelo.
Tutto ciò, per ricordarci che il Natale è la festa della concretezza e non tanto o solo dei buoni sentimenti, della poesia, o peggio festa di favole, di panettoni e regali...
La concretezza di un Dio che prende carne e fa della carne lo spazio della salvezza. Fa dell’incontro con gli altri il luogo dove si rende presente il suo amore che ci salva.
Celebrare il Natale dunque deve mettere in gioco tutto noi stessi a partire dal nostro corpo che è chiamato a diventare lo spazio concreto dove Dio continua oggi a farsi presente.
Il vero presepe siamo ciascuno di noi. Abitati da Cristo, in modo simile a Maria, per diventare portatori di Lui a chiunque incontriamo.
Perché questo avvenga è indispensabile che si crei in noi lo spazio adatto, attraverso il nostro farci e riconoscerci piccoli, bisognosi di Lui e in particolare attraverso l’ascolto della Sua Parola.
“Beata colei che ha creduto nell’adempimento di ciò che il Signore le ha detto”: è la prima delle beatitudini del vangelo.
Maria crede perché ascolta. E ascoltando permette alla Parola di prendere carne nel suo corpo. In lei vediamo l’immagine di ciò che ogni credente è chiamato a vivere: generare in noi Gesù attraverso l’ascolto della Parola e con la concretezza della nostra vita, con il nostro corpo, con tutto noi stessi portarlo agli altri attraverso la gioia dell’incontro, la capacità dell’accoglienza reciproca, l’abbraccio che scaturisce dal perdono, il gesto di servizio concreto che genera solidarietà e fraternità.
E perché no? attraverso anche il semplice saluto.
In questi giorni chissà quanti ‘buon Natale’ ci scambieremo. Ma che senso hanno? Facciamo diventare questi saluti, saluti di salvezza. Un augurio di benedizione, di pace, di gioia; saluto che dice: ‘possa abitare anche in te quel Dio che è la nostra gioia e la nostra vita’. Saluto che manifesta volontà di accoglienza, desiderio di fraternità, disponibilità ad aiutarci. Anche noi come Maria facciamo sentire agli altri quella vita più grande che portiamo in noi: la presenza di Gesù che non aspetta altro di trovare spazio nel nostro corpo e di poter raggiungere, attraverso la nostra vita, la vita di quanti incontriamo

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