sabato 12 agosto 2017

Diciannovesima domenica del Tempo ordinario



Il vangelo di oggi è il racconto della nostra esperienza di vita.
La pagina, fortemente simbolica, descrive il viaggio della nostra vita. Quella barca siamo noi, ciascuno e tutti, in una traversata dove vento e onde, tempesta e buio sembrano voler sommergerci e annientarci.
Davanti al male, alla violenza, alle stragi; davanti a innocenti perseguitati, rapiti, uccisi; davanti a guerre che portano solo devastazione e morte non si può che rimanere storditi e confusi. Questa tempesta ha anche il nome di fallimento, di crisi, di malattia e dolore…
Quando sopraggiungono questi momenti ci sembra di affondare. Lentamente.
Quello che il vangelo descrive è quello che stiamo – consapevoli o meno – vivendo, tutti. E anche nostra è la paura raccontata in questa pagina: paura di essere travolti dal male, schiacciati da dalle cose che non vanno, sommersi dai problemi e dalle fatiche…
Le prove e la paura fanno parte della vita di ogni vivente.
Fu così per Elia che pieno di paura, subendo persecuzione per la sua fede in Dio, è costretto a fuggire sul monte. Fu così per Pietro e gli altri discepoli in quella notte sul mare, dove il desiderio e il tentativo di camminare sopra le onde del male non bastano a vincere la paura.
E’ così anche per tutti noi: la paura è spesso ospite indesiderata delle nostre giornate; padrona assoluta che condiziona le nostre scelte, il nostro stato d’animo, che paralizza la vita e ogni entusiasmo.
Quando la paura entra in casa, quando si manifesta nel nostro vivere di ogni giorno, che ne è della fede?
E’ la domanda che la Parola vuole oggi far emergere.
Che ne è della nostra fede quando le cose non vanno come dovrebbero, quando il male fa da padrone, quando Dio ci sembra lontano e ci sentiamo abbandonati a noi stessi?
Il più delle volte la nostra fede in quei momenti si riduce a nutrire aspettative sbagliate. Come Elia sul monte: cerca Dio e lo pensa Dio forte come il fuoco, il vento, il terremoto, un Dio che con forza lo libera dal male, dalla paura, dalle cose che non vanno, dai nemici… Ma Dio non è nel vento, nel terremoto, nel fuoco.  Dio non è nella violenza, né si manifesta con grandi prodigi, ma piuttosto è “sussurro di una brezza leggera”, “voce di silenzio” che si manifesta nell’intimo di ciascuno di noi. Così impara Elia. E la sua fede matura. E con questa Presenza interiore che lo abita, lo guida, lo accompagna, ritrova il coraggio per affrontare ogni paura.
I momenti di prova spesso purificano la nostra fede, rendendola più autentica a matura. Così avviene anche per i discepoli, sulla barca. Anche loro hanno aspettative sbagliate: si aspettano la soluzione ai loro problemi, alle loro paure, e invece capiscono che Dio è Colui che non toglie la prova, ma la condivide con noi, salendo sulla barca; condivide le nostre fatiche e ci porta una parola che ridona serenità e forza “Coraggio, sono io non abbiate paura!”.
Porsi, nell’ascolto, alla presenza di Dio, è il primo gradino per passare dalla paura alla fede.
Fede diventa così uno sguardo nuovo, un nuovo orientamento.
Fede è guardare negli occhi Gesù, quel Gesù che cammina sulle acque agitate a ricordare a tutti noi che Lui è più forte del male, di ogni male, ma che da esso ci libera non per incanto o magia, ma remando con noi, stando al nostro fianco proprio quando le forza del male sembrano prevalere.
Occorre guardare a Lui, fissare Lui negli occhi. Lo capisce benissimo Pietro che finché guarda a Gesù e gli va incontro riesce a far fronte alla turbolenza del mare; ma quando il suo sguardo si allontana da Gesù ritorna ad affondare “vedendo – guardando – il vento che era forte si impaurì”. Quando lo sguardo non è più rivolto a Lui, ma torna a fissarsi sul negativo che ci circonda, sul male che è attorno a noi, la paura torna a prendere possesso della nostra vita.
Solo allora il grido della preghiera può di nuovo ri-orientare il nostro sguardo a Colui che può salvarci: “Signore salvami!” E subito Gesù tese la mano, lo afferrò e gli disse: “Uomo di poca fede perché hai dubitato?”. 
Noi uomini e donne di poca fede, che facciamo fatica a guardare negli occhi Gesù, ad avere Lui come unico riferimento nel cammino della vita, ci uniamo a Pietro e a tutti coloro che sono provati da fatica, persecuzione, violenza per gridare insieme: “Signore salvaci”. Lo facciamo con la certezza che Lui tende la mano ci afferra e ci assicura che la Sua presenza non viene mai meno. Presenza di “voce di silenzio”, presenza interiore che dà pace e forza, luce che illumina ogni tenebra. Presenza che solo nel silenzio, nella preghiera, nell’ascolto della Parola, possiamo percepire, scoprire e rafforzare in noi. Questa Presenza tiene viva in noi la speranza che c’è sempre un “finire della notte”, un nuovo inizio che si apre a quanti, pur avvolti da prove e fatiche, non si lasciano vincere dalla paura, ma sanno tenere fisso lo sguardo a Colui che non è affatto un fantasma, ma l’amico, il compagno di viaggio che con la Sua Parola ci ripete ancora oggi: “Coraggio, sono io, non abbiate paura!”.

Nessun commento:

Posta un commento