venerdì 19 giugno 2015

19 giugno: s.Romualdo, monaco. Un uomo libero guidato dallo Spirito.



Romualdo non è affatto il monaco «classico», posato, facilmente etichettabile e definibile. Se ne era già accor­to un suo contemporaneo, san Pier Damiani, suo disce­polo e ammiratore, scrivendo la sua vita, un po' seccato dal suo eroe che sfugge decisamente alle regole di con­venienza quali si addicono a una «buona vita» di mona­co o di eremita. Naturalmente non osa dipingerlo come «girovago» instabile, come un uomo che non sa quel che vuole, anche se, ad essere sinceri, Romualdo ha l'a­ria di essere proprio così. Pensate: prima cenobita, poi eremita o addirittura recluso; abate del monastero dove ha fatto la professione, dà le dimissioni dopo un anno di governo; fondatore di conventi e di eremi, eccolo all'im­provviso in viaggio verso terre lontane per unire il suo sangue a quello dell'Agnello... Ma non oltrepassa nem­meno la frontiera delle Alpi che già se ne ritorna verso la sua cara Italia e predica, «simile a un serafino», con una passione tale da non resistere fuggendosene così sin­ghiozzando nella solitudine. Per mesi è in prigione, poi fonda Camaldoli, il Santo Eremo che un giorno la­scerà in lacrime per terminare, solitario in Val di Castro, la sua vita solitaria.
Pier Damiani cerca di farci credere che se «il santo uomo cambia continuamente posto è senz'altro per­ché, appena arriva da qualche parte, subito le folle lo assalgono. E appena vede che il monastero o l'eremo che ha fondato è in grado di essere autosufficiente, se ne va subito». E certo una spiegazione «ragionevo­le», accettabile, ma la verità sembra essere un'altra.
Romualdo è uno di quei rari uomini adatti soltanto all'assoluto; che non si lasceranno mai far prigionieri da nulla, per quanto valido o sacro possa sembrare; uno di quegli esseri che non potranno mai rientrare in nessuna categoria perché posseduti, diretti da quell'«inebriante» Spirito di Dio del quale Gesù stes­so diceva un giorno al vecchio Nicodemo: «Soffia do­ve vuole e tu non sai da dove venga o dove vada» (Gv 3,8). Paolo di Tarso dirà: «Là dove c'è lo spirito c'è la libertà» (2 Cor 3,17). E san Pier Damiani riconosce che proprio lo Spirito della folle Sapienza «presiede» l'anima di Romualdo. (...)
Quando le circostanze disperdono il piccolo gruppo eremitico che si è ormai formato intorno a lui, Romual­do prende il suo mantello e se ne va, malgrado la col­lera dei contadini della zona per i quali egli è l'eremita amico. Si finge pazzo per non essere messo a morte. Si dirige verso Ravenna dove suo padre, convertitosi di recente, è entrato nel monastero di san Severo; Ro­mualdo vuole raggiungerlo al più presto per fortificar­lo nella sua decisione. Accanto a lui continuerà la sua vita di solitudine nelle insalubri paludi di Classe, poi presso la Chiesa di san Martino della Foresta.
Non mancano le prove né gli assalti dell'Avversario. Già a Cuxa si era aperta la guerra tra lui e Satana; fi­nirà solo con l'entrata nel Regno. Romualdo trova la sua forza e la sua serenità in un indomabile e tenero amore per il Cristo: «Caro Gesù, amato Gesù, perché mi hai abbandonato? Mi hai dunque consegnato nelle mani del Nemico? O Cristo, vieni in mio aiuto!». Ma ancora più crudeli saranno i colpi inferti dai fratelli, da quelli che spesso han chiamato Romualdo a diventare loro maestro e padre. (...)
Questa è la difficile scuola alla quale Romualdo im­para ad essere quell'uomo Ubero, quel «folle in Cristo» tutto preso dal cielo, quell'uomo spirituale dal volto radioso che niente riesce a fermare nel suo cammino verso l'amorosa conoscenza di Dio e la fratellanza uni­ versale, questo «padre teoforo» che impressiona gli uni, seduce gli altri, accogliendoli con gioia nella sua solitudine, profeta diventato interamente fuoco che in­fiamma i cuori di desiderio del cielo.

L.A. Lassus, I nomadi di Dio, pp. 105-111

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