sabato 2 maggio 2015

Quinta domenica di Pasqua



Credo non ci sia immagine più bella, chiara e insieme profonda, per descrivere la vita cristiana. La nostra vita in rapporto a Gesù.
Nella vite e nei tralci ci è detto tutto. Occorre solo, con calma, saper contemplare questa immagine, comprenderla e di conseguenza viverla.
Cosa ci è detto?
Innanzitutto che Gesù è sorgente di energia, linfa vitale che scorga direttamente da quell’agricoltore che è il Padre. “Senza di me non potete far nulla”. Nulla. Non poco, non qualcosa. Nulla. Solo da Lui viene la vita e ogni capacità di portarla a realizzazione.
Ci è detto poi che noi siamo direttamente innestati a Lui. La nostra vita  viene da Lui ed è legata a Lui. Non siamo noi a scegliere di unirci a Lui, a darci da fare per diventare suoi tralci. No. Il tralcio viene direttamente, non per suo volere, dalla vite stesse che gli regala vita e linfa vitale. Noi dunque siamo gratuitamente, al di là di ogni nostro merito, abitati da Cristo vita. La sua energia è in noi. In quanto tralci della vita, siamo vite. In quanto creature siamo abitati dall’energia del Creatore che ci è data in Cristo e nel suo Spirito come ci ha ricordato anche Giovanni: “In questo riconosciamo che egli rimane in noi: dallo Spirito che ci ha dato”. Per usare un’espressione forte ma sicuramente efficace, possiamo dire: noi siamo divinizzati. Così si esprimevano gli antichi padri della chiesa. Che significa: Dio è in noi, noi siamo resi figli suoi, perché in noi scorre la stessa vita del Padre e del Figlio amato, il loro Spirito d’amore.
Ci è poi detto lo scopo di questo essere abitati da Lui. E’ sintetizzato a conclusione del brano: “In questo è glorificato il Padre mio: che portiate molto frutto e diventiate miei discepoli”. Dare gloria a Dio è lo scopo della vita. Dare gloria è manifestare il suo amore bello, glorioso, splendido, attraverso la nostra vita. Questo si attua attraverso due modalità.
Innanzitutto il portare frutto. Bello sapere che gloria di Dio sono i nostri frutti. Potremmo dire che senza di noi, senza i nostri frutti la vite rimane sterile; Dio -può sembrare assurdo e esagerato affermarlo- ha bisogno di noi per realizzare se stesso! Sono i nostri frutti infatti la gloria, la realizzazione piena di Dio. Questo Lui si attende. Questo desidera. Non ci chiede di rinunciare a realizzarci, di reprimere i nostri desideri positivi, le nostre doti e possibilità,  ma di essere fecondi, portatori di frutti, generatori di vita. La sua energia che scorre in noi non va spenta, bloccata, ma deve trovare spazio di creazione nella nostra vita, nelle nostre opere, nei frutti che siamo chiamati a portare.
Una seconda modalità per portare gloria a Dio è diventare discepoli di Gesù. Diventare; certo, perché non lo si è mai in modo definitivo. Non possiamo crederci cristiani arrivati, ma dobbiamo sentirci cristiani in cammino, in movimento: diventare, giorno dopo giorno, sempre più discepoli che apprendono da Gesù l’arte di portare buoni frutti. Il cristiano che si crede arrivato diventa tralcio secco, inaridito, sterile. E di questo seccume oggi rischia di esserne piena la chiesa…
Interessante è notare come il “portare frutto” è strettamente legato al “diventare discepoli”. Quasi a ricordarci che i frutti attesi altri non sono che i frutti stessi che Gesù ha portato e che ora noi come suoi discepoli dobbiamo saper portare. Frutti che maturano “dal seme che muore”, da una vita aperta al dono e al perdono, spesa per gli altri, per il Regno e non conservata per sé, per il proprio comodo. Ecco la necessità dunque della continua purificazione: “ogni tralcio che porta frutto lo pota” lo purifica  perché porti più frutto”. Non si tratta tanto di un Dio che ama farci soffrire pur di vedere maggiori risultati… Piuttosto di un Dio che ci invita ad affrontare le lotte, le fatiche della vita, garantendo che tutto ciò porterà a una vita più piena. Questo ce lo ha detto attraverso il suo Figlio che, passato dalla potatura della passione e morte, è giunto allo splendore della risurrezione.
Infine un’ultima cosa ci è detta in questo ricco brano. Che tutto ciò, perché diventi possibile, chiama in gioco la nostra libertà e la nostra scelta. Noi, consapevoli di ciò che siamo e di ciò a cui siamo chiamati, dobbiamo far di tutto per “rimanere in” Lui. E’ questo il nostro ‘unico’ impegno: “rimanere in” Lui. Questo verbo è la parola chiave di tutta la riflessione e dell’immagine stessa che Gesù ci propone. Viene ripetuto ben sette volte: rimanere. “Come il tralcio non può portare frutto da se stesso se non rimane nella vita, così neanche voi se non rimanete in me”. “Chi rimane in me e io in Lui, porta molto frutto”. E’ vero che noi in quanto tralci siamo già in Lui vite. Ma è altrettanto vero che possiamo, nella nostra libertà, decidere di voler fare a meno della vite, di voler fare da soli, di ‘scollegarci’ da questa linfa di energia e di vita. Il risultato è alla fine uno solo: “viene gettato via come il tralcio e secca”. E’ il fallimento di noi stessi.
Rimanere: non accanto, non vicino, ma “in”. E’ un rapporto profondo, vitale che ci è chiesto, di intimità e di comunione. Rapporto che è garantito dallo Spirito che è in noi e che da parte nostra si attua attraverso l’ascolto della Sua Parola. “Se rimanete in me e le mie parole rimangono in voi chiedete quello che volete e vi sarà fatto”, perché l’ascolto della Parola porta a mantenere il contatto vitale con Gesù, a consentirgli di prendere dimora in noi e di conseguenza, se rimaniamo in contatto con la Parola di Dio, i nostri desideri finiscono per coincidere con la volontà del Padre e possono così trovare il loro perfetto compimento.  E’ la Parola che ha la capacità di purificare, correggere: “voi siete già puri a causa della Parola che vi ho annunciato”. Essa perfeziona, indirizza, chiarisce, unisce. Ascoltare è far dimorare l’altro in noi, è dimorare in Dio stesso per avere in noi la sua energia e vita che ci rende capaci di “portare frutto”. E’ la via che intraprese Maria, la quale “conservava nel suo cuore tutte queste cose”. E’ la via tracciata per ogni discepolo. Quella Parola altro non è che la linfa vitale che attende solo di scorrere in noi perché non rimaniamo sterili, secchi, cristiani acidi, ma portatori di frutti sempre nuovi, fecondi di amore e gustosi di vita, per dare così gloria al Padre e dare pienezza e compimento alla nostra esistenza.

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