sabato 21 marzo 2015

Quinta domenica di quaresima



E’ iniziata la primavera e davanti a noi si apre lo spettacolo di una natura che rinasce. Alberi che si colorano di vita; fiori che sembrano spuntare dal nulla. La dove tutto era secco, scheletrico, arido, ecco ora affiorare una vita nuova.
Uno spettacolo che ci affascina per la sua bellezza, ma che ci deve anche far pensare. Da dove viene tutto questo splendore, questi colori e profumi, questi fiori che diverranno poi frutti?
Se ci fermiamo a riflettere e non diamo tutto per scontato, arriviamo a percepire che tutto è partito da un seme morto, da una linfa nascosta dentro apparenti segnali di impotenza: rami secchi e vuoti.
Oggi la natura ci aiuta a comprendere la Parola ascoltata.
Anzi, Gesù stesso utilizza questo richiamo alla legge della natura (il seme che muore per portare molto frutto) per farci comprendere meglio la legge della vita: “Chi ama la propria vita la perde e chi odia la propria vita in questo mondo, la conserverà per la vita eterna”.
Un linguaggio certo forte, ma che sta a indicare che la vita si fa bella e ricca di ogni buon frutto solo se si ha il coraggio di non chiudersi su se stessi, di pensare solo a se stessi (in questo senso “chi ama la propria vita” indica un atteggiamento negativo di chiusura egoistica su se stesso), per trovare la capacità di fare della propria vita un dono (in questo senso “chi odia la propria vita” sta a indicare non il disprezzo per se stessi, ma il coraggio di spendere la vita per amore, fino al dono totale di sé).
Appunto come il seme. Appunto come Gesù.
Questa è la legge della natura e della vita: solo dalla morte, dal dono di sé, può fiorire qualcosa di nuovo e di bello.
Una legge che ci aiuta anche a mettere a fuoco meglio la realtà stessa della morte: non è affatto un finire, ma un consumarsi per far nascere…: il fiore, il frutto che verranno sono ancora il seme che, marcito e consumato, si è trasformato in nuova vita.
E’ una legge questa scritta da sempre dentro i nostri cuori, come già ricordava il profeta Geremia nella prima lettura: “porrò la mia legge dentro di loro, la scriverò sul loro cuore”. Legge di un’alleanza antica e sempre nuova che ci parla di una presenza di vita dentro di noi più forte della apparente assurda legge delle morte. Una legge che è posta in noi da Dio stesso. Il suo Soffio, lo Spirito che ci abita, è la linfa vitale che sa trasformare ossa aride in nuova vita.
E’ questa legge del cuore che guida dunque Gesù fino al dono di sé sulla croce. E’ la legge dell’amore. Di un amore non certo effimero e superficiale. Un amare che è ‘voce del verbo dare’: un donarsi fino al dolore e alla sofferenza di una vita che si offre per l’altro, con la certezza che solo da qui può nascere e fruttificare novità.
La croce quindi, verso cui Gesù orienta la sua vita, ci svela, in modo misterioso, questo amore che ha la forza di attirare tutti a sé. “’Quando innalzato da terra attirerò tutti a me’. Diceva questo per indicare di quale morte doveva morire”.
Così chi vuol vedere Gesù, come quegli stranieri che sono alla sua ricerca, come ciascuno di noi, chi vuole seguirlo, non trova altra risposta che nel guardare alla croce. Lì Lui si fa vedere. Lì Lui ci indica la via da seguire. L’amore di Dio sulla croce è infatti l’unico linguaggio universale che tutti possono comprendere.
E “se uno mi vuol servire, mi segua, e dove sono io (sulla croce), là sarà anche il mio servitore”. Un seguire fino alla fine, ma pur sempre sapendo che la legge del cuore, dell’amore che si dona porterà solo a vita piena: “Se uno serve me, il Padre lo onorerà”. Più l’uomo si dona e più la presenza del Padre si manifesta in  Lui.
Per conoscere e seguire Gesù dunque non resta altra strada che accettare la legge dell’amore che si dona: il coraggio del morire a noi stessi, al nostro io egoista, per far nascere frutti abbondanti di bene per la vita di tutti, per far nascere quell’uomo e quella donna nuovi, ricreati a immagine del Figlio, pure loro figli amati del Padre.
 “Cristo, nei giorni della sua vita terrena… imparò” questa legge “da ciò che patì” e così “divenne causa di salvezza eterna per tutti”, ricorda la lettera agli Ebrei.
Ora tocca anche a noi imparare, dentro le prove e le fatiche della vita, quale sia la vera legge che porta alla salvezza, alla realizzazione, al “produrre molto frutto”.
Oggi si crede che è vincente la legge economica dell’accumulo, dell’avere, del sistemarsi, del realizzare se stessi anche a scapito di altri. Ma di fatto ci accorgiamo come questa legge porta alla morte delle relazioni, al rimanere soli, al fallimento di intere società.
Se crediamo in Gesù siamo chiamati a puntare tutto non sulla legge economica di accumulo, non sulla legge protettiva del proprio io (penso a me, mi preoccupo di star bene io, ho a cuore la mia felicità, io sono nel giusto, sono gli altri che devono cambiare, non spetta a me essere diverso…). No.
Il cristiano, come Gesù, non vive in atteggiamento protezionistico, ma secondo la legge economica della solidarietà, la legge espansiva dell’amore-dono. Che inizia nel nostro cuore, ci invita a uscire dal nostro io, a cambiare noi stessi, a incominciare da noi imparando a fare di noi e della nostra vita una rinnovata capacità di amare, cioè di dare, di patire per… nella consapevolezza che da questo marcire a noi stessi, da questo perderci per far spazio agli altri, a Dio, non potrà che fiorire novità, non potranno che generarsi abbondanti frutti di vita. “Se il chicco di grano, caduto in terra, non muore, rimane solo; se invece muore, produce molto frutto”.

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