sabato 4 marzo 2017

Prima domenica di Quaresima



Dal giardino al deserto…
Così siamo condotti oggi dalle letture ascoltate.
L’uomo e la donna sono stati posti da Dio in un giardino; Eden lo chiama il libro della Genesi. Il giardino è immagine di bellezza, armonia, fecondità, gioia.
Eppure l’uomo e la donna riescono a rendere questo giardino un deserto: luogo di aridità, di lotta, di disarmonia, di paura.
Non è questo il racconto di una fiaba; è piuttosto cronaca quotidiana. Il nostro mondo, la nostra vita di uomini e donne, doveva e poteva essere questo giardino, ma di fatto lo stiamo sempre più riducendo a deserto. Degrado, paura, violenza, inquinamento, disprezzo della vita…
Che strano: più pensiamo di progredire, di conoscere tutto e più stiamo decadendo in un deserto che lentamente ci porta alla morte.
Perché? Quale la causa? Ci risponde Paolo: “a causa di un solo uomo il peccato è entrato nel mondo e con il peccato la morte”, il deserto.
Tornando al brano della Genesi ci accorgiamo che questo peccato non sta tanto in un’azione cattiva, in un atto morale, in un frutto proibito. E’ descritto invece come un orientamento sbagliato causato dal cedimento alla tentazione. La tentazione del serpente ha un solo scopo: illudere, ingannare; far credere reale ciò che è solo illusorio. “Non morirete affatto, si aprirebbero i vostri occhi e sareste come Dio”. Ecco servito l’inganno; ecco l’illusione che prende il posto della realtà. La tentazione è questa, ieri come oggi: si chiama illusione.
Il diavolo è un grande illusionista. Suo compito non è altro che ingannarci; e lo fa giocando con i nostri pensieri, lavorando nella nostra mente e portandoci pian piano a confondere la realtà con l’illusione, fino a farci credere che Dio siamo noi, padroni di tutto e di tutti.
Quando si cede all’illusione è un vero peccato: ingannati ci ritroviamo poi “nudi” come i nostri progenitori, spogliati di ogni dignità. Il giardino inizia a trasformarsi in deserto.
In questo drammatico stato di cose, che di per sé può portare solo al fallimento, alla morte, non siamo lasciati soli. Proprio qui si svela tutto l’amore misericordioso di Dio che non abbandona l’uomo e la donna in balia della morte, ma interviene per rivestire di bellezza e di rinnovata dignità la loro vita.
Questo lo compie in Gesù, come ci ricorda Paolo: “la grazia di Dio e il dono concesso in grazia del solo uomo Gesù si sono riversati in abbondanza su tutti…così per l’opera giusta di uno solo si riversa su tutti gli uomini la giustificazione, che dà vita”.
In Gesù, Dio entra nella nostra storia, la fa propria e incomincia il suo cammino al nostro fianco proprio dal deserto. Così i vangeli descrivono l’inizio della missione di Gesù.
Condivide questo nostro deserto, fatto di fatiche, prove e tentazioni. Non sfugge da tutto ciò, ma affronta la prova, affronta la tentazione, quella di sempre: l’illusione che inganna. L’illusione dell’avere, dell’apparire, del potere: questo vogliono significare le tre tentazioni. Il diavolo ci prova: tenta di entrare nei suoi pensieri, nella sua mente con l’inganno. Ma Gesù resiste: resta se stesso, non permette che i suoi pensieri si allontanino dalla Parola vera e reale, la Parola di Dio. Ne esce vincente.
Ma non basta. Una volta vinta la tentazione non è ancora sconfitta del tutto l’illusione che essa ha proposto. Ora la sua vita dovrà essere continua sfida e lotta, fatta di scelte che si oppongano chiaramente a ciò che è illusorio per affermare la realtà, quell’unica realtà che è Dio stesso. La vera realtà è Dio: da Lui veniamo, in Lui esistiamo e viviamo. Questo è venuto a dirci Gesù. Solo se vivi con Lui, ti fidi di Lui, Lui ascolti, allora sei nella realtà, altrimenti inganni te stesso e gli altri e vivi da illuso.
Questa fedeltà alla realtà di Dio porterà Gesù alla croce, al dono della vita. Tuttavia, proprio perché non ha ceduto alla tentazione e si è aggrappato al Padre della vita, nemmeno la morte potrà vincerlo, perché essa è frutto della tentazione e del peccato.
La sua Pasqua di risurrezione sta così davanti a noi come speranza, come meta. E la Pasqua avviene in un giardino, riporta il giardino dentro il deserto.
Con Gesù possiamo anche tutti noi passare dal deserto al giardino. Con Lui ogni deserto diventa anche luogo di nuovi inizi, di incontro del Dio che cammina con noi.
Ecco la Quaresima: un cammino per lasciarci risvegliare dalla Parola di Dio per trovare in essa l’arma vincente contro quella tentazione che non manca per nessuno. Essa non va sfuggita ma affrontata; come ha fatto Gesù. Lasciando che a guidare i nostri pensieri e le nostre scelte sia la Parola stessa di Dio. Perché l'uomo vive di ogni parola che esce dalla bocca di Dio. Essa ci svela ciò che veramente conta e ci aiuta a non cedere alla tentazione, a non scambiare realtà ciò che è solo illusione, a non costruirci falsi idoli ma a riconoscere nel Padre di Gesù l’unico vero signore che ci dona la vita. 
Così saremo capaci di uscire da ogni deserto e tornare a fare della nostra vita e della nostra storia un giardino, un luogo di bellezza e di verità, di armonia e di gioia, proprio perché vissuta in Dio e con Dio, unica realtà che conta, unica sorgente di vita vera.

mercoledì 1 marzo 2017

In cammino...

QUARESIMA.   Istruzioni d'uso   (testi di Padre Alberto Maggi)

Con il mercoledì delle ceneri inizia la quaresima. Per comprendere il significato di questo periodo occorre esaminare la diversa liturgia pre e post-conciliare.

Prima della riforma liturgica, l'imposizione delle ceneri era accompagnata dalle parole "Ricordati che sei polvere e in polvere ritornerai", secondo la maledizione del Signore all'uomo peccatore contenuta nel Libro della Genesi (Gen 3,19). E con questo lugubre monito iniziava un periodo caratterizzato dalle penitenze, da rinunzie e sacrifici e dalle mortificazioni.

Oggi l'imposizione delle ceneri è accompagnata dall'invito evangelico"Convertiti e credi al vangelo" (Mc 1,15). Le prime parole pronunciate dal Cristo non sono un invito alla conservazione, ma al cambiamento. Gesù non viene a mantenere la situazione così com'è, ma a trasformarla: il cambiamento deve essere il motore della vita del credente, orientando la propria esistenza al bene dell'altro e dando adesione alla buona notizia di Gesù.

L'uomo non è polvere e non tornerà polvere, ma è figlio di Dio, e per questo ha una vita di una qualità tale che è eterna, cioè indistruttibile, e capace di superare la morte.

In queste due diverse impostazioni teologiche sta il significato della quaresima.

Mai Gesù nel suo insegnamento ha invitato a fare penitenza, a mortificarsi, e tanto meno a fare sacrifici. Anzi, ha detto il contrario: "Misericordia io voglio e non sacrifici" (Mt 12,7). La misericordia orienta l'uomo verso il bene del fratello. I sacrifici e le penitenze centrano l'uomo su se stesso, sulla propria perfezione spirituale e nulla può essere più pericoloso e letale di questo atteggiamento. Paolo di Tarso, che in quanto fanatico fariseo era un convinto assertore di queste pratiche, una volta conosciuto Gesù, arriverà a scrivere nella Lettera ai Colossesi: "Nessuno dunque vi condanni in fatto di cibo o di bevanda, o per feste, noviluni e sabati... Se siete morti con Cristo agli elementi del mondo, perché come se viveste ancora nel mondo, lasciarvi imporre precetti quali: Non prendere, non gustare, non toccare? Sono tutte cose destinate a scomparire con l'uso, prescrizioni e insegnamenti umani, che hanno una parvenza di sapienza con la loro falsa religiosità e umiltà e mortificazione del corpo, ma in realtà non hanno alcun valore se non quello di soddisfare la carne" (Col 2,16.20-23).

Paolo aveva compreso molto bene che queste pratiche dirigono l'uomo verso un' impossibile perfezione spirituale, tanto lontana e irraggiungibile quanto grande è la propria ambizione. Per questo Gesù invita invece al dono di sé, che è immediato e concreto tanto quanto è grande la propria capacità di amare.

La quaresima, pertanto, non è orientata al venerdì santo, ma alla Pasqua di risurrezione. Per questo non è tempo di mortificazioni, ma di vivificazioni. Si tratta di scoprire forme inedite, originali e creative di perdono, di generosità e di servizio, che innalzano la qualità del proprio amore per metterlo in sintonia con quello del Vivente, e così sperimentare la Pasqua come pienezza della vita del Cristo e propria.

Per questo oggi c'è l'imposizione delle ceneri. Pratica che si rifà all'uso agricolo dei contadini che conservavano tutto l'inverno le ceneri del camino, per poi, verso la fine della brutta stagione, spargerle sul terreno, come fattore vitalizzante per dare nuova energia alla terra.

Ed è questo il significato delle ceneri: l'accoglienza della buona notizia di Gesù ("Convertiti e credi al vangelo"), è l'elemento vitale che vivifica la nostra esistenza, fa scoprire forme nuove originali di amore, e fa fiorire tutte quelle capacità di dono che sono latenti e che attendevano solo il momento propizio per emergere. Creati a immagine di Dio (Gen 1,27), il Creatore ha posto in ogni uomo la sua stessa capacità d'amare. La Quaresima è il tempo propizio perché questo amore fiorisca in forme nuove, originali, creative.

Auguri!

sabato 25 febbraio 2017

Ottava domenica del tempo ordinario



I tempi che stiamo vivendo sono difficili e incerti.
Non serve fare un elenco; la cronaca la conosciamo tutti.
Serve invece, come cristiani, chiederci come vivere dentro questo nostro tempo, come possiamo affrontare fatiche e difficoltà.
La Parola come sempre ci aiuta; non certo a trovare soluzioni ma a capire meglio le cause profonde e come stare dentro questa nostra storia.
Gesù nel vangelo ci riporta alla questione essenziale: per chi e per cosa viviamo? 
Ed è Lui stesso ad offrirci la risposta. Quasi a ricordarci che non ci sono altre strade: o si vive per Dio o si vive per la ricchezza; ‘mammona’ era la vecchia traduzione che sta a indicare il ‘possesso’. Possesso non è solo ricchezza come soldi, ma anche come ambizione, competizione, dominio degli altri e delle cose, voglia di emergere, pensare a sé; questo e altro ancora è il possesso.
Gesù è chiaro: “Nessuno può servire due padroni… Non potete servire Dio e la ricchezza”. Dio e possesso non possono assolutamente stare insieme. Sono degli assoluti: o uno o l’altro. Non sono conciliabili, ma antagonisti. L’antagonista di Dio non è l’ateismo, ma il possesso. O Dio o il possesso. Non c’è verso. Il nostro cuore batte per l’uno o per l’altro; non può battere per tutte e due.
Ebbene, chi è il nostro ‘padrone’, ovvero colui che guida le nostre scelte, i nostri pensieri, le nostre azioni, tutta la nostra vita?
Qui ci porta Gesù, al dare una risposta a questa domanda.
Dalla risposta deriva una differente impostazione di vita.
Scegli il possesso e la vita diventa ansia, preoccupazione, affanno, agitazione, lotta, esasperazione, accumulo, egoismo.
Scegli Dio e la vita diventa fiducia, serenità, semplicità, confidenza, rispetto, pace, condivisione, amore.
Non sta forse qui anche la risposta al perché oggi siamo in tempi duri e difficili? Non è forse inevitabile trovarsi a vivere in questo modo quando Dio è stato messo da parte o è rimasto solo come una comparsa, ma di fatto chi la fa da padrone è il possesso? La smania di possesso porta il mondo al suo fallimento, al tutti contro tutti, al dominio del forte sul debole, all’ingiustizia e alla disonestà.
Uscire da questi tempi oscuri allora chiede, a noi cristiani per primi, il coraggio di cambiare ‘padrone’. Di mettere la nostra vita a servizio di Dio che non è certo un padrone: Lui ci è padre e madre, come ci ha ricordato il profeta Isaia. “Il Signore mi ha abbandonato, il Signore mi ha dimenticato”: sono parole che anche oggi spesso ascoltiamo o diciamo quando tutto ci va male, quasi dando la colpa a Lui. Ma il profeta aggiunge: “Io non ti dimenticherò mai”. Siamo noi ad esserci dimenticati di questo Padre-Madre che è Dio e ad aver messo la nostra vita a servizio del padrone possesso che, da vero padrone ci rende schiavi.
Torniamo a Dio: è tornare a libertà, tornare a una vita di figli, tornare a riscoprire l’essenziale che fa vivere: “cercate anzitutto il regno di Dio e la sua giustizia” afferma Gesù.
Allora tutto verrà di conseguenza: resteranno fatiche e prove, ma maturerà una vita di relazioni più vere, di condivisione fraterna, di solidarietà attenta, così da diventare gli uni per gli altri provvidenza, sostegno, conforto. Perché la fiducia in Dio non è disimpegno, ma porta all’essenziale per cui impegnarci, diventando gli uni per gli altri segni della sua presenza provvidente che dà speranza e forza in ogni momento e situazione.
Dal possesso invece viene l’impegno egoistico che sfocia in sfruttamento delle cose e degli altri, allontanandoci dall’essenziale: il regno di Dio e la sua giustizia. 
Il possesso genera uomini e donne che si credono onnipotenti e vivono nell’affanno e nell’angoscia per non riuscire a realizzare tutti i loro smodati desideri.
Dalla fiducia in Dio viene una vita solidale, aperta agli altri, pronta alla condivisione e all’aiuto reciproco. Nascono uomini e donne che sanno vivere con cuore semplice, pacificato, sereno, non violento, orientando tutte le loro capacità e forza nel costruire un mondo più fraterno, per realizzare quell’essenziale che oggi tanto ci manca.
“Guarda...osserva…” ci dice Gesù; guarda la natura stessa nella sua bellezza che è frutto non di possesso ma di apertura al soffio del Creatore. Lasciati anche tu plasmare da Lui perché la tua vita ritrovi quella bellezza che non viene dalle cose o dalle persone che cerchi di possedere, ma da un cuore libero e aperto all’essenziale: l’amore di Dio e del prossimo.
“Non preoccupatevi… il Padre vostro sa”. Fidati, non temere; e lotta, lavora, impegnati non a possedere ma ad amare, non ad accumulare ma a condividere, per essere riflesso di quel Dio padre-madre che tutti custodisce, sostiene e accompagna; per essere insieme il volto concreto della sua provvidenza.

sabato 18 febbraio 2017

Settima domenica del tempo ordinario



Siamo su un altro pianeta! Così potrebbe essere la prima reazione alla Parola ascoltata oggi. Non siamo piuttosto nel cuore stesso del messaggio cristiano? Messaggio che appunto ha lo scopo di cambiare i cuori e di cambiare – perché no? – anche il pianeta in cui viviamo. 
Non accantoniamo subito queste parole come impossibili e utopiche. Proviamo invece con calma, nel silenzio e nella preghiera, a lasciarle entrare nel nostro cuore, a lasciare che illuminino la nostra vita, le nostre relazioni sociali e personali. Non potranno che, pian piano, far crescere in noi un senso di pace interiore, di desiderio di crescere nel nostro modo di rapportarci gli uni gli altri, di riscoprire che l’essere cristiani fa la differenza e ci spinge a osare la diversità, a costruire nuove relazioni che sappiano esprimere il nostro vero volto di figli di un Dio che è Padre e che non fa distinzioni, ama tutti, “fa sorgere il suo sole sui cattivi e sui buoni, e fa piovere sui giusti e sugli ingiusti”.
Sì perché quanto ci è detto da Gesù, dando compimento e portando a vera maturazione l’antica legge mosaica (che pur utilizzando la legge del taglione – ‘occhio per occhio dente per dente’ – già tendeva alla costruzioni di relazioni umane paritarie), trova il suo significato e soprattutto la sua motivazione profonda proprio dal riferimento al Padre, al Dio santo, che ci chiama ad essere riflesso di Lui: “Siate santi, perché io il Signore vostro Dio, sono santo” (così si apre la prima lettura); “Dunque siate perfetti come è perfetto il Padre vostro celeste”: così chiude il vangelo. Luca invece nel suo testo dice: “Siate misericordiosi come è misericordioso il Padre vostro celeste”. Ci mette così sulla giusta via per capire in cosa consista questa ‘santità-perfezione’ cui siamo chiamati. Non certo nell’essere onnipotenti e  grandi, bensì nell’essere diversi (la santità di Dio indica la sua diversità da noi), nell’essere completi, pieni di amore e di bontà (“Il Signore è buono e grande nell’amore” abbiamo pregato nel salmo). Potremmo ancor meglio dire: in questo invito alla perfezione e santità sta l’appello a fare nostro lo sguardo stesso di Dio che sa vedere ogni vivente non con l’etichetta del amico-nemico, simpatico-antipatico, bensì in tutti i suoi figli amati. Ecco perché la strada che Gesù ci propone alla fine porta ad essere veramente figli di Dio: “amate… affinché siate figli del Padre vostro celeste”, affinché possiamo far vedere quell’immagine di figli che è in ciascuno, possiamo manifestare quel volto di Padre che tutti ci ama.
Le parole di Gesù allora, lette dentro questa cornice che fa da sfondo e ne offre le motivazioni, sono stimolo a un cammino che deve portarci a saper sprigionare le migliori energie che ci sono in noi. “Non opporti al malvagio… Amate i vostri nemici”. Non replicare al male col male; spezza la catena perversa con il coraggio del bene: questo sta a dire il “porgi l’altra guancia”. Non significa passare per stupidi. Gesù non ci chiede di essere stupidi, tonti, ma buoni fino in fondo. Anche Gesù quando è stato schiaffeggiato non ha presentato l’altra guancia, ma ha detto: “Se ho sbagliato dimostrami dove ho sbagliato, se non ho sbagliato perché questa violenza?”. Lui ci invita dunque a non opporre alla violenza che viene addosso altra violenza, altrimenti questa cresce. Osa essere diverso: ecco cosa ci chiede Gesù; non chiudere i ponti con gli altri, impara a vedere il positivo che c’è in tutti, a vedere l’altro con lo sguardo stesso di Dio: più che prossimo, figlio suo. 
Messaggio solo per persone speciali? No. Per ogni cristiano. Oserei dire per ogni uomo e donna. E’ la strada per tendere a una ricchezza di umanità che possiamo e dobbiamo recuperare. In un pianeta dove le relazioni quotidiane, sia sociali che personali, sono segnate sempre più da forme di violenza assurda (la cronaca purtroppo ce lo ricorda tutti i giorni); una violenza che penetra come virus dentro le famiglie, nelle relazioni più intime e profonde e genera divisione, morte, apre catene infinite di ricatti, di vendette, di ritorsioni. Questo è il pianeta, la storia che stiamo vivendo; qui dunque siamo chiamati a un sussulto di umanità, e come cristiani al coraggio di essere differenti, alternativi, di essere veramente (e non solo per modo di dire) figli di Dio. E si è figli solo se si assomiglia al Padre nel comportamento. Ma non dimentichiamoci che per noi non è solo questione di assomigliare al Padre; Paolo ci ha ricordato che noi “siamo tempio di Dio e che lo Spirito di Dio abita in noi… santo è il tempio di Dio che siete voi”. Noi casa si Dio, sua dimora. Noi come comunità e come singole persone. Ogni essere umano è il tempio di Dio. Da qui dunque uno sguardo nuovo. Una forza nuova: la forza del Suo Spirito. Da Lui guidati e plasmati veniamo resi capaci, in un cammino di pazienza e di conversione quotidiana, di manifestare quell’amore che già è stato seminato nei nostri cuori e che attende solo di poter germogliare dentro questa nostra storia, nelle nostre relazioni sociali e personali. L’Eucaristia stessa a cui partecipiamo non fa altro che alimentare e rafforzare questa presenza in noi. Nell’eucaristia si manifesta chiaramente che “noi siamo di Cristo e Cristo è di Dio”, che noi, che ci nutriamo di Cristo, parola e pane, siamo resi “tempio di Dio”, dimora del suo Amore e chiamati a generarlo e testimoniarlo con la nostra vita.