sabato 18 gennaio 2020

Agnello e figlio per ricondurre all'unità. - II domenica del tempo ordinario



Oggi la Parola ci presenta un testimone qualificato di Gesù: Giovanni il battista che abbiamo incontrato domenica nell’episodio del battesimo al Giordano.
Giovanni stesso dicendo: “Ho visto e ho testimoniato”, si presenta come testimone autorevole.
La sua testimonianza su Gesù è resa attraverso due espressioni e immagini: agnello e figlio; più precisamente: “Ecco l’agnello di Dio” e “questi è il Figlio di Dio”.
Cosa vuole testimoniare con queste due affermazioni?
L’immagine dell’agnello è immediato richiamo alla mitezza: Gesù non è un lupo venuto a conquistarci con la forza, ma un agnello pronto anche al sacrificio, al dono della vita.
Come non pensare alla notte della prima Pasqua con il rito dell’agnello immolato il cui sangue sugli stipiti delle case salva gli Israeliti?. Per gli ebrei l’agnello significava liberazione, salvezza. Ebbene tutto questo si compie in Gesù.
Questo agnello è “di Dio”, specifica Giovanni. Cioè lo rappresenta. Gesù rivela Dio come “agnello”, come Colui che opera con mitezza e si fa dono d’amore, fino ad offrire la propria vita.
Non solo: Giovanni specifica anche cosa fa questo agnello: “toglie il peccato del mondo”, dice il nostro testimone. Non tanto i peccati cioè le nostre ripetitive mancanze, ma il peccato, la radice stessa del peccato che sta nel ‘non amore’, nell’incapacità radicale di amare Dio e il prossimo, sta nella divisione che allontana da Dio e dagli altri.
Il fine di tutto ciò è attuare quanto già il profeta Isaia aveva annunciato: “Mio servo tu sei… per ricondurre… per portare la salvezza fino all’estremità della terra”.
La missione dell’Agnello dunque è tesa a realizzare una fraternità, una comunione tra tutte le genti della terra: servo e luce che riconduce tutti dalla dispersione all’incontro, dalla lontananza alla comunione fraterna.
La seconda parola-immagine usata da Giovanni nella sua testimonianza è quella di “figlio di Dio”.
Gesù viene definito “figlio di Dio” in quanto è riconosciuto abitato dallo Spirito stesso di Dio, dalla Sua Presenza; uno Spirito visto “discendere” e poi “rimanere su di lui”. Dio è in Lui e in Lui opera.
Gesù allora è l’agnello venuto a togliere il peccato nella sua radice profonda e a donarci, riempirci, dello stesso Spirito del Padre, rendendoci così in Lui figli e fratelli.
Accogliere Gesù, invocarlo, sia personalmente che come comunità, come chiesa radunata insieme (come dice Paolo nella seconda lettura ricordandoci che in Gesù siamo “la chiesa di Dio”, resi santi, cioè figli, in Lui), significa riconoscere che in Gesù e per Gesù noi possiamo innanzitutto essere sciolti dal peccato e passare dal non amore alla capacità di amare “come Lui”. Diventiamo così figli e fratelli grazie allo Spirito che ci è stato dato in dono e che ci abita.
Questo ci mette nella condizione di svolgere anche noi, con Gesù, quella missione/testimonianza che ancora attende di essere pienamente realizzata: generare fraternità tra le genti.
Siamo a servizio della fraternità come cristiani.
“Ricondurre”: è questo il verbo che descrive la missione di Gesù e che è affidata anche a noi.
Ricondurre e non disperdere, allontanare, dividere… Ricondurre significa ricostruire relazioni, rifare famiglia, riscoprirci fratelli e sorelle perché figli di quel Dio che come agnello e figlio è venuto per coinvolgerci nel suo progetto di amore.
Questa missione dobbiamo attuare ogni giorno e in ogni ambiente di vita. In particolare in questa settimana di preghiera per l’unità dei cristiani sentiamoci chiamati a diventare, attraverso la preghiera e attraverso la vita, costruttori di comunione con tutti a iniziare dalle nostre case  e comunità.
Collaboriamo nel portare a compimento la missione stessa che Gesù, l’agnello e il figlio di Dio, è venuto a iniziare in mezzo a noi e a ricomporre quell’unità tra i cristiani che lui ci ha chiesto come “segno” per essere riconosciuti suoi discepoli.

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