sabato 21 luglio 2018

XVI° domenica del tempo ordinario


Nel vangelo odierno emerge un tratto tipico di Gesù che caratterizza tutta la sua  vita e la sua missione: il prendersi cura di quanti incontra. Dei discepoli stanchi, della folla smarrita.
Di questo ‘prendersi cura’ la Parola di Dio ci aiuta a cogliere almeno tre caratteristiche importanti.
Nel vangelo si evidenzia innanzitutto il provare compassione: “ebbe compassione”. E’ l’atteggiamento di chi sente nell’intimo la sofferenza dell’altro e patisce con lui con il desiderio di condividere, di com-patire insieme facendo proprie le altrui fatiche e pene.
Altro connotato del prendersi cura è il voler unificare, radunare: “gli apostoli si riunirono attorno a Gesù”. E Paolo nella seconda lettura dice che in Gesù siamo “diventati vicini”, è stato “abbattuto il muro di separazione”. Gesù è il pastore che raduna e non disperde il gregge come già annunciava Geremia nella prima lettura.
Infine il suo prendersi cura diventa il voler insegnare: “si mise a insegnare loro molte cose”, così chiude il vangelo di oggi. Un insegnare che è tutto proteso a orientare l’altro che si trova smarrito offrendo parole di fiducia, di verità, di speranza.
Così si concretizza dunque quel prendersi cura che caratterizza la sua vita; e così Gesù si qualifica come il vero buon pastore per l’umanità tutta.
“Venite in disparte, riposatevi un po’” è invece l’invito che lui stesso rivolge ai suoi. Un invito che risuona oggi per noi tutti che ci diciamo suoi discepoli. Invito a stare con Lui, alla Sua presenza che offre riposo, per imparare anche noi una vita capace di prendersi cura gli uni degli altri.
Oggi, in un clima di crescente indifferenza, stiamo diventando sempre più disumani. Tutti, anche noi cristiani. Se guardiamo con attenzione la nostra vita è segnata da caratteristiche ben diverse da quelle che abbiamo descritto presenti nella vita di Gesù.
Oggi troppo facilmente non proviamo più compassione per chi si trova in situazioni di pena e sofferenza.
Oggi, col nostro pensare più a noi stessi, generiamo divisioni e opposizioni più che creare unità.
Oggi lasciandoci prendere troppo facilmente da mille false e interessate voci, lasciamo che sia la paura a orientare le nostre scelte.
Proprio all’opposto di come Gesù ha vissuto.
Abbiamo quindi bisogno, con urgenza, di “venire in diparte”, di metterci a tu per tu con Lui e la sua Parola per imparare di nuovo il suo stile, quel prendersi cura che è l’agire stesso di Dio, da sempre, verso tutta l’umanità.
Ritroviamo capacità di provare compassione verso le persone ferite e provate dalla vita; lavoriamo per radunare, unire, per renderci vicini gli uni agli altri abbattendo ogni muro di indifferenza. Facciamoci portatori di parole di speranza che aiutino coloro che ci ascoltano a ritrovare fiducia, a scoprire una luce dentro le tante tenebre.
Nelle relazioni quotidiane, in famiglia e nella comunità di appartenenza; nelle più vaste relazioni sociali dentro le quali si svolge la nostra vita, i nostri impegni di lavoro, le nostre scelte di ogni giorno; dentro queste relazioni poniamoci con quell’atteggiamento che Gesù ci propone: prendersi cura gli uni degli altri.
Non possiamo certo dirci cristiani se non abbiamo in noi la stessa compassione, lo stesso desiderio di unire e pacificare le persone, le stesse parole di speranza e fiducia che hanno caratterizzato la vita stessa di quel Gesù di cui ci diciamo discepoli.
E’ l’invito che anche i nostri pastori-vescovi ci rivolgono in questo loro comunicato: “Come Pastori della Chiesa non pretendiamo di offrire soluzioni a buon mercato. Rispetto a quanto accade non intendiamo, però, né volgere lo sguardo altrove, né far nostre parole sprezzanti e atteggiamenti aggressivi. Non possiamo lasciare che inquietudini e paure condizionino le nostre scelte, determinino le nostre risposte, alimentino un clima di diffidenza e disprezzo, di rabbia e rifiuto. Animati dal Vangelo di Gesù Cristo continuiamo a prestare la nostra voce a chi ne è privo. Camminiamo con le nostre comunità cristiane, coinvolgendoci in un’accoglienza diffusa e capace di autentica fraternità. Guardiamo con gratitudine a quanti – accanto e insieme a noi – con la loro disponibilità sono segno di compassione, lungimiranza e coraggio, costruttori di una cultura inclusiva, capace di proteggere, promuovere e integrare.
Avvertiamo in maniera inequivocabile che la via per salvare la nostra stessa umanità dalla volgarità e dall’imbarbarimento passa dall’impegno a custodire la vita. Ogni vita. A partire da quella più esposta, umiliata e calpestata”.

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