venerdì 11 maggio 2018

Ascensione del Signore


Spiace constatare come i compilatori del lezionario, riportando il brano di Vangelo per la solennità dell'Ascensione, in questo anno B, abbiano omesso proprio quel versetto in cui si dice che Gesù, prima di lasciare definitivamente i suoi discepoli, li rimprovera «per la loro incredulità e durezza di cuore», in quanto «non avevano creduto a quelli che lo ave­vano visto risorto» (Me 16, 14). Mentre proprio questo è significativo: che Gesù dia l'incarico di parlare di lui, di predicarlo a tutti, a persone che faticano molto a credere! Come può essere valutato questo modo di fare di Gesù: incoscienza o fiducia? Sembra di poter ragionevolmente escludere l'incoscienza, in quanto Gesù conosceva molto bene i suoi di­scepoli: erano stati insieme, notte e giorno, per tre anni; lo avevano se­guito ovunque e lui li aveva visti nelle più diverse situazioni. Dobbiamo dunque dire che è fiducia quella che Gesù nutre per loro, in maniera veramente generosa.
Ecco: l'Ascensione dice la grande fiducia che Cristo ha anche per noi che oggi siamo la sua Chiesa. Egli se ne va e lascia a noi la sua opera da continuare. Ora, la sua opera era consistita proprio in quel compi­to che ora egli affida ai suoi discepoli, e a noi: «predicare il Vangelo»; ovvero annunciare la buona notizia della vicinanza e della disponibilità di Dio nei confronti dell'uomo, di ogni uomo. Un annuncio che Gesù ha compiuto in maniera molto semplice: per dirla con Pietro, negli Atti degli apostoli, Egli «passò facendo del bene a tutti» (At 10, 38). E quando venne respinto, trasformò quel rifiuto in un bene ancora più grande, mostrando con il dono della sua stessa vita quanto fedele e tenace sia la disponibilità di Dio nei confronti dell'uomo. Oltre il rifiuto, oltre il male, perfino oltre la morte.
La buona notizia che ora spetta a noi, in suo nome e con il sostegno della sua presenza, è dire a tutti quanto più grande del male sia il bene, quanto più forte dell'odio sia il perdono, la vita della morte. Come? A parole, forse? Nient'affatto, o non in primo luogo. Un'altra sintesi della vicenda e dell'opera di Gesù è quella che troviamo nel brano di apertura degli Atti degli Apostoli, che costituisce anche la prima lettura di questa solennità: «Gesù fece e insegnò» (At 1,1). Prima fece, poi disse. Di nuovo, vale, questo, anche per noi. Prima fare e poi eventualmente dire, quel minimo che possa evitare alla sinistra di sapere ciò che ha fatto la destra. E proprio in questi termini Gesù si rivolge ai discepoli af­fidando loro la continuazione della sua opera: non semplicemente dire qualcosa, ma... scacciare demoni, sconfiggere i veleni, guarire la gente.
Ora, dovremmo cominciare a riflettere, innanzitutto, per verificare se non ci capiti di fare addirittura il contrario. Ossia: dare spazio ai demoni (il dèmone della prepotenza, dell'invidia, della brama di pos­sedere, della superbia). E i veleni... I veleni materiali che spargiamo a larghe mani o che consentiamo che altri spargano; cementificando per ogni dove, distruggendo con prepotenza pari alla stupidità i luo­ghi più incantevoli del nostro territorio. E i veleni immateriali ma non meno dannosi: i veleni della denigrazione, della calunnia, con i quali possiamo addirittura distruggere una persona; eppure li spargiamo con grande abbondanza, e ne facciamo il contenuto di gran parte dei nostri discorsi. I veleni della cattiveria, dell'esclusione, del pregiudizio verso coloro che non sono uguali a noi: nel colore della pelle, nel modo di vestire, di pensare, di vivere, di credere.
E oggi che le persone sono così spesso ferite, o indebolite da tante sconfitte, o intristite nella solitudine, possiamo dire, noi cristiani, di es­sere gente che guarisce o, almeno, medica queste ferite, sorregge queste debolezze, si accorge di queste solitudini? Oppure ci facciamo amma­lare gli uni gli altri, ci distruggiamo, ci deprimiamo gli uni gli altri? Non collaboriamo forse un po' tutti a mantenere questo ritmo e sistema di vita disumano e insostenibile, che tritura le persone, dilania gli affetti, schiaccia i più deboli? Non portiamo forse tutto questo perfino dentro le mura di casa?
Cristo si è fidato di noi, e noi come corrispondiamo? Di più: Cristo oggi agisce con noi, in noi: che figura facciamo fare a Cristo? La gente che incontriamo ogni giorno, può trovare in noi qualcosa (una scintilla, una briciola, almeno) della sua generosità, della sua dolcezza, della sua limpidezza, in una parola, del suo rispetto e del suo affetto per ogni persona umana?
Cristo si è fidato, si fida di noi. Dipende da noi fare in modo che egli non venga considerato come un incosciente.

Testo di Saverio Xeres, in L’albero della vita – Vita e Pensiero.

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