sabato 1 agosto 2015

XVIII° domenica del tempo ordinario





Non possono passare inosservate le parole, cariche di forza, pronunciate da Paolo e ascoltate nella seconda lettura: “vi dico e vi scongiuro…”. Sono rivolte a cristiani che, pur agli inizi della diffusione del vangelo, con facilità ne annacquavano la sua forza e novità, tornando a vivere in modo pagano, potremmo dire con il piede in due scarpe: cristiani, ma che si comportano spesso e volentieri come i pagani. L’invito è chiaro: “non comportatevi più come i pagani con i loro vani pensieri”. Di conseguenza l’appello ad “abbandonare l’uomo vecchio…, a rinnovarvi nello spirito della vostra mente e a rivestire l’uomo nuovo”.

“Uomo vecchio, uomo nuovo”. La Parola ascoltata ci aiuta a delineare meglio chi sia l’uno e chi l’altro, il vecchio e il nuovo.

Già nella prima lettura che ci riporta al cammino del popolo nel deserto verso la terra promessa, dopo la schiavitù in Egitto, possiamo cogliere un aspetto tipico, ancora oggi attuale di chi sia l’uomo vecchio.

Viene definito con un verbo: mormorare. “Nel deserto tutta la comunità degli Israeliti mormorò…”. L’uomo vecchio è innanzitutto il mormoratore, colui che si lamenta con Dio e con tutti, non si fida; arriva persino a preferire la schiavitù cui era sottoposto alla fatica di tendere alla libertà.

Anche nel brano di vangelo si delinea la figura dell’uomo vecchio. Lo vediamo descritta nell’atteggiamento della folla che si accontenta dei desideri più elementari: pane da mangiare e pancia piena. Non che si tratti di desideri sbagliati, anzi! Ma se il vivere si riduce a questo, ci si ritrova vecchi, senza sogni e progetti, e soprattutto terribilmente chiusi su se stessi e sempre a caccia di chi può darci ciò che desideriamo, di chi può soddisfare i nostri bisogni più bassi.

Ecco perché Gesù stimola la folla, che lo cerca certo ma non sa esattamente cosa vuole, anzi sembra cercarlo solo perché ha mangiato gratis i pani. Gesù li spinge a una ricerca di novità, di altro: “Voi mi cercate perché avete mangiato di quei pani e vi siete saziati…”

Gesù provoca, invita a passare dai desideri, pur legittimi, di cui la nostra vita è colma, a qualcosa di più grande: “Datevi da fare non per il cibo che non dura, ma per il cibo che rimane per la vita eterna”.

Quanto vale anche per noi questo richiamo, questa provocazione.

A volte cadiamo in una vita che ha più del pagano che del cristiano, dove la tensione è rivolta solo ed esclusivamente a cose buone, ma esclusivamente terrene. A volte poi rischiamo di cadere anche in una idea errata di Dio stesso: un Dio mago che deve risolverci tutti i problemi, che deve portarci fortuna, magari farci vincere al lotto o quanto meno non farci mancare nulla di quello che vogliamo… E’ il dio dei pagani, non certo il Dio rivelato da Gesù che, come Padre indubbiamente si prende cura di noi, così come ha fatto anche con il popolo nel deserto, non facendo mancare loro la manna lungo il cammino, ma che ci considera figli e come tali vuole che viviamo con responsabilità le nostre scelte e cerchiamo soprattutto ciò che ci permette di essere e vivere come figli suoi.

“Che cosa dobbiamo compiere – allora – per fare le opere di Dio?”.

E’ la domanda che nasce sulla bocca di quella gente che si sente interpellata e provocata da Gesù. Il suo invito viene subito interpretato come un fare qualcosa. “Che cosa dobbiamo fare”.

Ieri come oggi pensiamo che tutto sia questione di fare, che tutto possa risolversi con il fare. Viviamo quasi angosciati dal fare, dal produrre, dall’ottenere risultati… Cosa dobbiamo fare allora per essere uomini nuovi e non vecchi?

Ma Gesù ancora una volta delude.  L’unica cosa da fare è non fare, sembra voler dire con la sua risposta. “Questa è l’opera di Dio: che crediate in colui che egli ha mandato”. Questo occorre ed è urgente.

Questo solo può saziare la nostra fame, dare giusto ordine e orientamento ai nostri desideri. Credere. Che vuol dire: lasciarsi fare. Lasciarsi amare da Dio, quel Dio che ha nutrito di manna il popolo e che ora, oggi continua a nutrire anche noi con quel “pane vivo” che è il suo stesso Figlio dato a noi per amore.

Credere è l’opera che ci è chiesta. Credere è il vero fare. E’ ciò che può dare allora senso e valore a tutto ciò che poi anche operativamente faremo; se questo manca anche il fare si svuota di significato e valore.

Questo credere, vera opera che ci è chiesta, non è altro che accogliere Gesù, pane vivo che sazia la nostra fame. L’immagine è significativa: Gesù deve diventare noi; come il cibo che si assimila, come il pane che ci nutre. Occorre fare spazio alla sua presenza, alla sua Parola.

Ecco allora delinearsi l’uomo nuovo che siamo chiamati ad essere, secondo Paolo. E’ l’uomo che sa vivere nella fede, nella totale fiducia, lasciandosi fare da Gesù, rivestendosi di Lui per divenire creato a sua immagine.

Questo ci porterà allora a mettere da parte l’uomo vecchio che si lascia guidare invece dai desideri più meschini e dalle sue passioni, che primeggia nella mormorazione e cerca Dio solo come colui che gli risolve i problemi immediati; che si agita nel fare pensando che ciò gli può garantire l’acquisizione di meriti e di premi salva condotta…
Rivestiamoci dunque della novità di Cristo, vivendo da figli che si lasciano fare da un Dio che è Padre. Comprendendo che vera fede è lasciarci con fiducia rivestire a immagine di Gesù, pane vivo, nutrirci di Lui e  della sua Parola, per essere e agire ogni giorno quali uomini e donne nuovi a sua immagine.

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