domenica 19 luglio 2015

XVI domenica del tempo ordinario



Il brano di vangelo presenta il ritorno dei discepoli dal loro viaggio missionario. Gesù li aveva mandati, due a due. Ora tornano affaticati e si ritrovano con Lui in mezzo alla folla.
Gesù lo vediamo quindi alle prese da una parte con i discepoli stanchi “per quello che avevano fatto” seppur entusiasti e dall’altra con la folla che lo assedia, anch’essa bisognosa e soprattutto disorientata.
In mezzo a queste persone e situazioni diverse Gesù è presentato e descritto come Colui che è capace di prendersi cura di chi ha accanto.
Si prende cura dei discepoli: “venite in disparte in un luogo deserto e riposatevi un poco”.
Si prende cura della folla: “ebbe compassione di loro perché erano come pecore che non hanno pastore”.
Gesù si manifesta come il vero pastore proprio perché, a differenza di quanti si ritenevano pastori del popolo ma solo per fare i propri interessi, Lui invece si prende cura. Già il profeta ammoniva: “guai ai pastori che fanno perire e disperdono il gregge… Radunerò io stesso il resto del mio gregge”.
In Gesù dunque il volto del vero pastore che agisce non per proprio interesse, ma per il bene del gregge, del popolo. Agisce non per disperdere, ma per unire; il prendersi cura porta a unificare, armonizzare. “In Gesù”, ricorda Paolo nella seconda lettura, “siete diventati vicini… egli è venuto ad annunciare pace”, a unificare ciò che era diviso, ad avvicinare ciò che era lontano, “ad abolire la Legge fatta di prescrizioni e decreti per creare in se stesso un solo uomo nuovo”: l’uomo fatto a immagine di Dio, capace di amare, di muoversi a compassione, di prendersi cura.
In Gesù brilla dunque il volto stesso di Dio; “ebbe compassione di loro”: è un’espressione usata nella Bibbia solo in riferimento all’agire di Dio. Solo Lui è capace di autentica compassione, cioè di un amore che condivide, com-patisce con noi, fa sue le nostre fatiche e pene e di noi si prende cura.
Lo vediamo nel Vangelo.
Davanti ai discepoli rientrati stanchi e affannati dal viaggio li invita al riposo, li porta nel deserto, nell’eremo (= luogo deserto) perché si ricarichino interiormente, possano recuperare non solo energie, ma soprattutto motivazioni, ricchezza interiore; possano ritrovare se stessi e la presenza di Dio in loro. Questo è il senso vero del riposo: non tanto evasione e distacco, quanto interiorità e autenticità recuperata nel silenzio, nel deserto, in quell’eremo interiore che è il nostro cuore, la nostra interiorità.
Davanti alle folle poi il suo prendersi cura si traduce invece nel “si mise a insegnare loro molte cose”. Può sembrare strano che davanti a bisogni, alle necessità, al disorientamento, uno si metta a insegnare. Tuttavia per Gesù, il primo modo di prendersi cura dell’altro è rivolgere una parola di speranza, di fiducia. Una Parola che possa illuminare il buio in cui è avvolto, far ritrovare un orientamento, ridonare la pace interiore. Poi, certo, Gesù arriverà anche a sfamare questa folla (lo vedremo in seguito), ma prima è la Parola, che offre una boccata di ossigeno e fa sentire accolti, amati, appunto oggetto di cura e di attenzione.
Da Gesù vorremmo anche noi, come discepoli, cristiani, imparare a prenderci cura.
Nel mondo agitato, carico di paure e di problemi, dominato dalla fretta e dalla superficialità, occorre imparare di nuovo a prenderci cura di noi, degli altri, delle cose.
Prenderci cura altro non è che fare nostro l’atteggiamento stesso di Dio: “ebbe compassione”.
Torniamo a prenderci cura.
Innanzitutto di noi stessi: troviamo tempo per entrare nel nostro eremo interiore e nel silenzio trovare quel riposo che altro non è che la Presenza stessa di Dio che ci dona pace, ci ridà forza, ci arricchisce interiormente e ci aiuta a tener viva in noi la consapevolezza di chi siamo e a cosa siamo chiamati.
Prendiamoci di nuovo cura di quella “folla” che sono le tante persone, vicine e lontane, che la vita ci porta ad incontrare. Torniamo a prenderci cura delle scontate relazioni quotidiane: tra marito e moglie, genitori e figli… Nel dialogo, nella parola che risana, ricostruiamo rapporti e legami. Impariamo soprattutto ad aprirci a tutti con parole di speranza, parole che trasmettano fiducia, che incoraggino al bene, che aprono vie di perdono e di pace. Parole che trovano nella Sua Parola la sorgente e la forza per seminare nel cuore di chi incontriamo la certezza del Suo Amore.
L’estate che stiamo vivendo, con le sue opportunità di incontri diversi, di tempi più tranquilli, sia occasione per ritornare a una vita più attenta, meno superficiale; sia decisione per ritrovare tempo per il silenzio e l’ascolto; sia opportunità per imparare di nuovo a prenderci cura della natura (è invito di papa Francesco nella sua recente enciclica), di noi stessi, delle persone. Così che questo diventi l’atteggiamento costante che contrassegna sempre la nostra vita quotidiana. E così facendo i nostri gesti umani allora avranno tutta la carica e la forza dell’amore di Dio.

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