sabato 21 gennaio 2017

Terza domenica del tempo ordinario



Gesù inizia la sua missione. Muove i suoi primi passi. Così ce lo presenta oggi l’evangelista Matteo. Ancora in continuità con il Battista, subito dopo il suo arresto (“Da allora Gesù cominciò a predicare…”), ma in una novità di modi e contenuti tutti da scoprire.
Questa missione è da subito indicata come “esplosione di luce”, utilizzando le parole del profeta Isaia ascoltate anche nella prima lettura. “Il popolo che abitava nelle tenebre vide una grande luce, per quelli che abitavano in regione e ombra di morte una luce è sorta”. Un’immagine bella soprattutto se abbiamo esperienza del buio, di cosa significhi stare e muoversi nel buio: esso fa paura (non solo ai bambini…) e soprattutto disorienta: non si è più consapevoli di dove si mettono i piedi, timorosi, da un momento all’altro, di trovare il vuoto davanti a noi. Chi non ha fatto esperienze simili? Così è anche nella nostra vita quando si fa buio. Momenti di crisi, di incomprensione; situazioni di fatica, di lotta, di sofferenza; fallimenti e sbagli… Quante volte ci capita di vivere nel buio. Ma c’è anche un buio collettivo: la Parola ci parla di “popolo che abitava nelle tenebre”. Non ci viene affatto difficile riconoscere la nostra realtà di oggi: la fatica, il disorientamento dell’umanità in generale, e della nostra società in particolare. Tanti problemi e tante situazioni oggi ci danno la percezione di camminare nelle tenebre, senza riuscire più a capire dove si sta andando, con la paura di trovarci improvvisamente con il vuoto sotto i piedi… Non è necessario fare elenchi di situazioni simili… basta rifarci alla cronaca di ogni giorno.
In questa realtà di tenebre chi non percepisce il bisogno di una luce, che non nutre il desiderio di maggiore chiarezza, la possibilità di tornare a rivedere orizzonti chiari di speranza?
Per chi nutre queste attese, e per tutti, la Parola che ci siamo radunati ad ascoltare oggi, ci annuncia questa “esplosione di luce” che si compie nella persona di Gesù.
Accogliamo con gioia questo annuncio e proviamo anche a comprenderlo meglio.
Innanzitutto chiediamoci: DA DOVE viene questa luce.
Il vangelo (come pure Isaia) è chiaro, da un’indicazione geografica precisa: “dal territorio di Zabulon e di Neftali, dalla Galilea dei pagani”. Ma non è solo indicazione geografica; sta piuttosto a ricordarci che questa luce - Gesù- si manifesta proprio a partire dalla periferia (così era considerata la Galilea), si mostra in mezzo a una realtà disprezzata, piccola, povera. E questo da speranza a quanti dentro realtà simili si trovano immersi.
Ma questa luce VERSO DOVE è orientata, dove va e si dirige? Ancora il vangelo ci parla: “mentre camminava… vide… li chiamò”. Verso l’uomo, verso uomini semplici come quei pescatori, uomini qualunque che lavorano e vivono il loro quotidiano; va verso ciascuno di noi e ci avvolge proprio nel mezzo delle nostre quotidiane fatiche e impegni. Il cuore dell’uomo è il suo obiettivo. Per arrivare a trasformarlo. Questa luce si fa quindi voce, Parola che chiama, che invita a seguire; soprattutto che annuncia: “Il regno di Dio è qui”: la Sua Presenza è qui in questa tua storia, in ciò che fai ogni giorno. Dunque “convertitevi”, lasciatevi cioè avvolgere e trasformare da questa presenza perché la vostra vita ritrovi tutta la sua bellezza e il suo significato.
Ecco che allora comprendiamo anche PER CHE SCOPO questa luce arriva al cuore dell’uomo, di ciascuno di noi: “Venite dietro di me”. Seguirlo con coraggio e con una nuova gerarchia di valori (il lasciarono le reti, il padre, la barca, non è altro che l’aver messo un altro prima di tutte queste cose, un altro che ha il potere di dare un senso anche a queste cose, faccende, persone che fanno la nostra vita). “Venite dietro a me, vi farò pescatori di uomini”. Ecco lo scopo finale. Una luce che ci raggiunge al cuore, ci libera da schiavitù e legami secondari e ci rande capaci di “pescare uomini”. Pescare è togliere dall’acqua. Quell’acqua che nella bibbia è anche immagine di morte in cui si è immersi. Pescare uomini significa diventare capaci di sottrarre altri da una situazione di morte, di nulla, di riportare pienezza di vita attorno a noi. Questa è la chiamata che ci è rivolta come discepoli di Gesù che fin dal Battesimo, da lui pescati e sottratti dall’acqua di morte del peccato, siamo stati resi figli amati chiamati a dare una mano ad altri, ad essere riflesso della sua luce. E Paolo, nella seconda lettura, sottolinea una modalità concreta, così attuale in particolare in questa settimana di preghiera per l’unità dei cristiani. Ridare vita equivale a saper vivere relazioni nuove, che aprono all’unità, alla fraternità: “vi esorto a essere tutti unanimi nel parlare, perché non vi siano divisioni, ma siate in perfetta unione di pensiero e di sentire”. A questa rinnovata comunione tra noi e con gli altri (altri cristiani, credenti o no) ci spinge questa esplosione di luce. Lasciamoci avvolgere dunque da Gesù, luce vera, Parola di verità, pienezza di vita, perché in lui e con lui possiamo veramente essere, non più popolo che abita nelle tenebre, bensì il nuovo popolo di Dio, chiamato ad annunziare al mondo il suo amore, che dalle tenebre ci conduce allo splendore della sua luce.

sabato 14 gennaio 2017

Seconda domenica del tempo ordinario



Oggi la Parola ci presenta un testimone qualificato di Gesù: Giovanni il battista che abbiamo incontrato domenica nell’episodio del battesimo al Giordano. Giovanni stesso dicendo: “Ho visto e ho testimoniato”, si presenta come testimone autorevole.
La sua testimonianza su Gesù è resa attraverso due espressioni e immagini: agnello e figlio; più precisamente: “Ecco l’agnello di Dio” e “questi è il Figlio di Dio”.
Cosa vuole testimoniare con queste due affermazioni?
L’immagine dell’agnello è immediato richiamo alla mitezza: Gesù non è un lupo venuto a conquistarci con la forza, ma un agnello pronto anche al sacrificio, al dono della vita. Come non pensare alla notte della prima Pasqua con il rito dell’agnello immolato il cui sangue sugli stipiti delle case salva gli Israeliti?. Per gli ebrei l’agnello significava liberazione, salvezza. Ebbene tutto questo si compie in Gesù.
Questo agnello è “di Dio”, specifica Giovanni. Cioè lo rappresenta. Gesù rivela Dio come “agnello”, come Colui che opera con mitezza e si fa dono d’amore, fino ad offrire la propria vita.
Non solo: Giovanni specifica anche cosa fa questo agnello: “toglie il peccato del mondo”, dice il nostro testimone. Non tanto i peccati cioè le nostre ripetitive mancanze, ma il peccato, la radice stessa del peccato che sta nel ‘non amore’, nell’incapacità radicale di amare Dio e il prossimo.
Il fine di tutto ciò è attuare quanto già il profeta Isaia aveva annunciato: “Mio servo tu sei… per ricondurre… per portare la salvezza fino all’estremità della terra”. La missione dell’Agnello dunque è tesa a realizzare una fraternità, una comunione tra tutte le genti della terra: servo e luce che riconduce tutti dalla dispersione all’incontro, dalla lontananza alla comunione fraterna.
La seconda parola-immagine usata da Giovanni nella sua testimonianza è quella di “figlio di Dio”.
Gesù viene definito “figlio di Dio” in quanto è riconosciuto abitato dallo Spirito stesso di Dio, dalla Sua Presenza; uno Spirito visto “discendere” e poi “rimanere su di lui”. Dio è in Lui e in Lui opera.
Gesù allora è l’agnello venuto a togliere il peccato nella sua radice profonda e a donarci, riempirci, dello stesso Spirito del Padre, rendendoci così in Lui figli e fratelli.
Accogliere Gesù, invocarlo, sia personalmente che come comunità, come chiesa radunata insieme (come dice Paolo nella seconda lettura ricordandoci che in Gesù siamo “la chiesa di Dio”, resi santi, cioè figli, in Lui), significa riconoscere che in Gesù e per Gesù noi possiamo innanzitutto essere sciolti dal peccato e passare dal non amore (egoismo) alla capacità di amare “come Lui”. Diventiamo così figli e fratelli grazie allo Spirito che ci è stato dato in dono e che ci abita.
Questo ci mette nella condizione di svolgere anche noi, con Gesù, quella missione che ancora attende di essere pienamente realizzata: generare fraternità tra le genti.
Siamo a servizio della fraternità come cristiani.
“Ricondurre”: è questo il verbo che descrive la missione di Gesù e  che è affidata anche a noi. Ricondurre e non disperdere, allontanare, dividere… Ricondurre significa ricostruire relazioni, rifare famiglia, riscoprirci fratelli e sorelle perché figli di quel Dio che come agnello e figlio è venuto per coinvolgerci nel suo progetto di amore.
Questa missione dobbiamo attuare ogni giorno e in ogni ambiente di vita.
In particolare in questa domenica la chiesa ci invita a riflettere su un ambito particolare delle nostre relazioni: il rapporto con i migranti e i rifugiati. Oggi è la giornata loro dedicata da parte di tutta la chiesa e papa Francesco nel suo messaggio ci dice questo: “mi sta a cuore richiamare l’attenzione sulla realtà dei migranti minorenni, specialmente quelli soli, sollecitando tutti a prendersi cura dei fanciulli che sono tre volte indifesi perché minori, perché stranieri e perché inermi, quando, per varie ragioni, sono forzati a vivere lontani dalla loro terra d’origine e separati dagli affetti familiari.
Poi ancora aggiunge: “Il fenomeno migratorio non è avulso dalla storia della salvezza, anzi, ne fa parte. Ad esso è connesso un comandamento di Dio: «Non molesterai il forestiero né lo opprimerai, perché voi siete stati forestieri in terra d’Egitto» (Es 22,20). Tale fenomeno costituisce un segno dei tempi, un segno che parla dell’opera provvidenziale di Dio nella storia e nella comunità umana in vista della comunione universale. La Chiesa incoraggia a riconoscere il disegno di Dio anche in questo fenomeno, con la certezza che nessuno è straniero nella comunità cristiana, che abbraccia «ogni nazione, razza, popolo e lingua» (Ap 7,9).” 
Con coraggio dunque anche noi, con sguardo più attento e con maggior apertura di mente e di cuore, collaboriamo insieme a tutti gli uomini di buona volontà per costruire questo disegno di Dio, questo mondo più accogliente, più solidale, più fraterno. Collaboriamo nel portare a compimento la missione stessa che Gesù, l’agnello e il figlio di Dio, è venuto a iniziare in mezzo a noi.

domenica 8 gennaio 2017

Festa del Battesimo del Signore



Il Vangelo ci introduce alla festa di oggi presentandoci Gesù che va da Giovanni per farsi battezzare. Sembra esserci un passaggio di consegne: il Battista ha svolto il suo compito di precursore e ora Gesù viene per continuarne la missione. Ma di fatto non è proprio così.
Il dibattito che segue e la resistenza di Giovanni davanti all’insistenza di Gesù ci dicono che non c’è continuità, bensì novità.
Qualcosa di nuovo sta per iniziare e ciò spiazza, primo fra tutti, lo stesso Battista. “Voleva impedirglielo… sono io che ho bisogno di essere battezzato da te e tu vieni da me?”.
Quale il motivo di questa opposizione? Per il Battista il Messia atteso sarebbe venuto per ripulire il popolo dal peccato e dunque sarebbe stato senza peccato, non bisognoso di battesimo. Che Messia è se si sottomette a un gesto di purificazione? Questo si chiedeva Giovanni.
Solo la risposta di Gesù lo/ci aiuta a capire: “Lascia fare…conviene che adempiamo ogni giustizia”. Adempiere ogni giustizia, cioè fare ciò che è giusto, che corrisponde alla volontà del Padre. E questa volontà è il disegno d’amore che ha come fine la condivisione della nostra natura umana, assumendone anche la sua parte peggiore: il peccato.
Il Battesimo voluto da Gesù quindi non è per una purificazione dei peccati, ma per manifestare a noi che i nostri peccati lui li ha assunti in una solidarietà con tutta la nostra natura umana.
Siamo davanti allora a un gesto che manifesta (epifania) ancora una volta il vero volto di Dio che rivela in Gesù la sua solidarietà con noi, il suo voler prendere su di sé il nostro peccato, per farci dono della sua vita nuova, del suo stesso Spirito.
Tre frasi possono aiutarci a comprendere meglio
La prima frase: “Uscì dall’acqua: ed ecco, si aprirono per lui i cieli ed egli vide lo Spirito di Dio discendere…”. L’immagine dei cieli aperti è simbolica e di ricco significato. Il peccato ha portato alla chiusura dei cieli, cioè alla fine di una relazione di amore con Dio stesso. Il dialogo con Lui sembra essersi interrotto; l’uomo vive lontano da Dio, ne sente il desiderio come si desidera l’acqua nel deserto, ne invoca la venuta “Apritevi cieli, pioveteci il giusto”: così il grido dei profeti esprimeva questo bisogno di una relazione nuova tra Dio e il suo popolo.
L’aprirsi dei cieli nel momento del Battesimo indica che ora, in Gesù, questa attesa è finita; una nuova relazione tra l’umanità e Dio ora è ristabilita ed essa si attua grazie a Gesù e allo Spirito che in Lui discende e dimora.
Seconda frase: “Questi è il figlio mio, l’amato”. La voce che viene udita indica appunto che il dialogo è ristabilito proprio attraverso Gesù che è presentato nella sua dignità di figlio amato del Padre, figlio stesso del Padre, Figlio di Dio.
Negli Atti si dice: “Dio consacrò in Spirito santo e potenza Gesù di Nazaret”. Lui ora è il volto visibile del Dio invisibile, l’Amato venuto per rinnovare il patto di alleanza con il suo popolo e con tutti coloro che con cuore sincero lo cercano e corrispondono al suo amore.
Un’ultima espressione va ricordata. La troviamo nella prima lettura di Isaia: “Ecco il mio servo che io sostengo”. Così il profeta parla di colui che è abitato dallo Spirito, il Messia atteso, e ne descrive la missione. Figlio amato e anche servo. Ciò figlio pronto a compiere una missione che manifesta questo amore del Padre.
Gli Atti specificano questa missione: “passò beneficando e risanando tutti…”. Una missione dunque di salvezza che si compie non nel giudizio e nel castigo (come Giovanni pensava) bensì nella mitezza, nella solidarietà, nel bene. Chiara la descrizione di Isaia: “non spezzerà una canna incrinata, non spegnerà uno stoppino dalla fiamma smorta…”. Una missione di vita, finalizzata a ridare speranza, coraggio, fiducia a tutti.
Ecco quindi l’importanza che questo episodio del Battesimo assume: una manifestazione di chi è Gesù e della sua missione che ha inizio.
Questo episodio ha qualcosa di molto importante da dire anche a tutti noi. In Gesù “Dio non fa preferenza di persone – dice la 2 lettura -  ma accoglie chi lo teme e pratica la giustizia a qualunque nazione appartenga”. Ogni uomo e donna dunque sono immersi nella vita stessa di Dio manifestata in Gesù, in questa novità che ci è stata rivelata.
Noi cristiani poi, ricevendo il Battesimo, siamo consapevoli di questa novità e la vogliamo accogliere e attuare nella nostra vita.
Consapevoli che con il Battesimo siamo stati introdotti in una relazione d’amore con il Padre: si è “aperto il cielo”. Consapevoli che siamo veramente “figli amati”, perché abitati dal suo Spirito; e questa è la nostra nuova e splendida dignità. E nello stesso tempo siamo consapevoli di essere incaricati di una missione. “Ecco il mio servo”. Missione che dobbiamo svolgere quotidianamente, vivendo come figli amati e manifestando quel disegno di Dio di solidarietà, condivisione, in uno stile di mitezza e nonviolenza di attenzione all’altro, al debole, al piccolo.
Dal Battesimo inizia così per ciascuno di noi la vita cristiana che è missione che ci vede coinvolti insieme, come comunità di battezzati, per testimoniare a tutti il Vangelo della gioia. Per far conoscere a tutti quel Dio che non fa preferenze di persone. Quell’amore di Dio per ciascuno di noi che, prendendo e condividendo la nostra fragilità e il nostro peccato, ci dona il suo Spirito perché possiamo essere e vivere come suoi figli amati.

venerdì 6 gennaio 2017

Epifania



Tutto nel Natale è movimento: da Giuseppe e Maria che vanno da Nazareth a Betlemme per il censimento e poi in Egitto per fuggire ad Erode; dagli angeli impegnati in messaggi ai pastori messi in cammino nel mezzo della notte…
E oggi questa festa dell’Epifania che sottolinea maggiormente questo movimento. L’episodio dei Magi è tutto un andare e venire di gente, di stelle, di magi e di scribi.
Questi personaggi che vengono da lontano sono simbolo di popoli interi in movimento, così come già il profeta Isaia annunciava: “cammineranno le genti… vengono a te…vengono da lontano.. tutti verranno”.
Un movimento globale, universale: l’universo intero, le stelle e gli uomini, sono in movimento.
Nasce un primo pensiero: la vita degli uomini, la nostra vita è cammino, ricerca, tensione verso un oltre… Vietato fermarsi, rassegnarsi, pensarsi arrivati. Siamo chiamati a muoverci..

Questo movimento, degli uomini e dell’universo, non è tuttavia un movimento caotico; non si svolge casualmente, ma va verso una precisa direzione, verso un centro, un punto di convergenza. Questo punto è Gesù. Tutto e tutti si muovono verso di Lui, consapevoli o meno. La stella come i Magi, ma anche Erode e i suoi scribi.
“Le genti sono chiamate in Cristo a partecipare alla sua stessa eredità” scrive Paolo, ad aver parte alla sua stessa vita, la vita di Dio.
Nasce un secondo pensiero: è Gesù il centro della storia, del mondo e – lo speriamo – anche della nostra stessa vita. Solo convergendo verso di Lui possiamo trovare pienezza e “formare lo stesso corpo”, fare unità, fraternità. Inoltre ogni ricerca di pace, di giustizia, di bene, da qualunque popolo, religione, cultura provenga, in modo consapevole o meno, è già orientamento a Gesù, preludio all’incontro con Lui. Lui è il cuore dell’universo.

L’incontro con Gesù tuttavia non è il punto di arrivo, il fine, ma il punto di partenza, un nuovo inizio. Da Lui il movimento riparte, continua. Ma non più come prima. “Per un’altra strada fecero ritorno” scrive Matteo chiudendo il racconto dei Magi. C’è un nuovo cammino che si apre.
Nasce allora un terzo pensiero. L’incontro con Gesù non ci rende degli arrivati, ma dei mandati; ci fa missionari, ci rimette in cammino, come i Magi, su strade diverse: non più le nostre strade, ma le sue, le strade del suo Vangelo, della Sua Parola che chiede di poter arrivare al cuore di ogni uomo e donna. Non più le strade di Erode, della violenza, del potere, del dominio, ma quelle della mitezza, del perdono, del servizio, della pace. E’ il nuovo cammino che deve caratterizzare la vita del cristiano e di ogni uomo e donna di buona volontà.

Ecco l’Epifania: la festa della manifestazione di Dio alle genti; un movimento di manifestazione sorprendente e sconvolgente. Dio è diverso da come lo hai sempre pensato e cercato: lo cercavi a Gerusalemme, nel tempio, tra scribi e sacerdoti, nei palazzi e tra i potenti, e invece lo trovi in periferia, a Betlemme, bambino, in una semplice famiglia, umanissimo, povero, mite.
Un volto nuovo di Dio, il vero volto di Dio, l’unico volto di Dio: Lui è così e solo lì dove si manifesta lo puoi incontrare.
Solo attraverso un umile cammino di ricerca che ti spoglia delle tue sicurezze e presunzioni e ti porta a un incontro che ti apre a cammini nuovi, che ti rovescia la vita e ti fa costruttore di strade nuove, di strade di nonviolenza, di fraternità, di pace.

Come cristiani la festa di oggi ci invita a non sentirci degli arrivati, ormai assopiti in una vita cristiana scontata e puramente ripetitiva; ci chiama ad essere uomini e donne in movimento, con tutti gli uomini e le donne di ogni popolo e nazione, per incontrare insieme Gesù e trovare in Lui l’unico davanti al quale val la pena di prostrarsi e di adorare, perché Lui è il centro da cui scaturisce la vita, la vita stessa di Dio che è Amore.