domenica 30 novembre 2025

Non c’è tempo per l’Avvento - NELLO SPAZIO DELL’ATTESA

 

Una riflessione di Franco Vaccari. Da "Avvenire" del 30.11.2025

 

Non c’è tempo per l’Avvento. Non c’è tempo perché quello esterno, convenzionale, è deformato, accelerato, dissolto, mentre quello interiore rischia di essere smarrito. Infatti: Attendere? Chi? Cosa? E, più radicalmente: cosa significa attendere?

Domande con sonorità arcaica, come oggetti smarriti in un museo linguistico.

“Attendere”, “aspettare”: vocaboli sbiaditi, parole che la tendenza dominante della nostra epoca ha riposto nel cassetto delle inutilità. Nella cultura dell’immediatezza, dove tra bisogno, desiderio e appagamento non esiste più alcun intervallo, il tempo dell’attesa è diventato un lusso, anzi, un fastidio, economicamente un costo.

C’è una fretta nell’aria, una impazienza febbrile, paradossale e grottesca se considerata con la perdita di orizzonte, di futuro, di mète chiare verso cui tendere.

C’è un’accelerazione verso l’indefinito – o verso il nulla – che non abbiamo scelto: una pressione costante in cui rischiamo di smarrire il bene più fragile e più umano: il nostro tempo interiore, il ritmo che ci permette di vivere, decidere, esprimerci.

Sant’Agostino lo riassume con una frase che respira da sola: tempus distensio animi. Il tempo come dispiegamento dell’anima: un’estensione intima, personale, che riafferma silenziosamente il primato della persona sul rumore del mondo.

È una dimensione minuta, non percepibile immediatamente, fatta di frammenti minuscoli che possiamo ancora custodire. È silenzio. A volte comincia da un gesto semplice: infilare la chiave nella toppa, fermarsi un istante, contare fino a dieci, e decidere con quale volto entrare in casa. O in ufficio, o in classe… nel piccolo intervallo ci restituisce a noi stessi. È la soglia che separa il reagire dal rispondere.

Tra noi e un cellulare c’è una differenza radicale: quando tocchiamo un’icona digitale, la reazione è immediata, automatica, sempre uguale. La vita, invece, quando “ci tocca”, apre uno spazio potenzialmente infinito: una soglia in cui possiamo scegliere, non reagire. In quella soglia sta tutto l’umano: libertà e responsabilità, decisione e non automatismo.

Dissolvere questo tempo intermedio è suicida, perché sostituisce la relazione con la mera connessione. C’è un’immagine che ci può aiutare a rendere visibile questa verità: la grande terracotta invetriata di Andrea della Robbia nella Basilica de La Verna, che raffigura l’Annunciazione. Non è un’Annunciazione eloquente: non insiste sulle parole dell’Angelo, né su quelle di Maria. Coglie il momento sospeso tra la richiesta e la risposta, quel frammento di libertà che nessuna urgenza può annullare. L’Angelo attende, quasi supplica. Maria ascolta, non reagisce: decide. È il tempo dell’umano, il tempo in cui la storia nasce.

Oggi stiamo rischiando di perdere questo tempo, di archiviare l’Avvento e sostituirlo con l’immediatezza, dove tra desiderio e soddisfazione non esiste più intervallo. Le nostre giornate sono segnate dall’impazienza al semaforo, l’irritazione per un cellulare che non risponde immediatamente, la ricerca compulsiva di soluzioni immediate – sostituendo l’attesa con un algoritmo. Nel culto del “subito” ogni pausa sembra una sconfitta. Eppure proprio l’intervallo è ciò che ci distingue dalla macchina. Nello spazio dell’attesa si custodisce l’umano: lì il desiderio si approfondisce, la ricerca matura, il dolore trova un varco per essere elaborato, l’amore smette di essere possesso. Senza attesa tutto implode: il desiderio si consuma, la ricerca diventa superficiale, la guarigione pretende miracoli, la fedeltà perde misura, perfino fare la fila – semplice esercizio di civiltà – viene percepita come rito insensato. Per questo l’immediatezza produce disumanizzazione.

In questo paesaggio culturale, l’Avvento è ancora di più una profezia per tutta l’umanità, ma rischia di non essere più compreso nemmeno dai cristiani: il ricamo della fede è infatti impossibile senza la stoffa umana.

Forse tutto può ricominciare per ciascuno da un gesto semplice: raccogliere i mille frammenti di tempo esterno che ci attraversano ogni giorno e saldarli con il ritmo del nostro tempo interiore. Ritrovare la soglia, il silenzio, l’intervallo, la libertà di rispondere.



sabato 22 novembre 2025

"Oggi con me..." - Festa di Gesù re e signore dell'universo

 

Quanti secondi ci saranno voluti per pronunciare quelle parole? Può bastare un attimo e da malfattore puoi diventare beato, da peccatore destinato all’inferno salti su in paradiso, come primo e sicuro “santo” di tutto il calendario. Quei pochi secondi sono serviti al ladrone per “snocciolare” la sua vita. In quel momento, come in un film che va avanti veloce, egli intuisce che accanto ha un innocente, il Signore di un regno a lui sconosciuto, ma di cui ha improvvisamente avvertito il profumo. Mentre tutti gli altri spettatori della morte di Gesù chiedono una dimostrazione di forza e di potenza, il ladrone lo chiama per nome: «Gesù, ricordati di me». Sarà stato appena un sospiro, appena un sussurro tra lamenti, un soffio intriso di dolore e di rimpianti. E mi domando, come ha fatto a riconoscere in quell’uomo che gli stava affianco, penzolante come lui da una croce, il Signore di un regno che prometteva ancora vita? Come ha potuto intravedere la regalità in quel crocifisso nudo, inerme, deriso e spogliato perfino della dignità di uomo? «Io nel vedere quest’uomo che muore, madre ho imparato l’amore» gli fa cantare Fabrizio de André, come a dire che anche al limite estremo della vita, l’amore può cambiarti, addolcirti, salvarti. E che quest’amore arriva improvviso e fulmineo, come una folata di vento, a patto di vederlo e di riconoscerlo. Anche sfigurato e nascosto in una vertigine di morte. I veri re non sono quelli che si ammantano di trionfo e di splendore, con le medaglie sul petto e le corone d’oro sul capo. Il regno di Dio è il chicco di senape, invisibile e modesto, ma destinato a far cantare gli uccelli che possono lì annidarsi tranquilli e sicuri. Il regno di Dio è un pugno di farina che misteriosamente lievita e fermenta, è un campo dove insieme crescono grano buono e zizzania. «Il regno di Dio non viene in modo da attirare l’attenzione e nessuno dirà: “Eccolo qui”, oppure: “Eccolo là”. Perché, ecco, il regno di Dio è in mezzo a voi» ( Lc. 17,20). In mezzo ai crocifissi è crocifisso anche Lui. Lui che è venuto per fare di ognuno un re libero, capace di far crescere l’amore e abitare la vita con audacia, di riconoscere l’oro nelle ferite, di dar valore ai frammenti e ai più piccoli dettagli. Lui che è venuto a rendere ogni uomo e donna un ponte tra cielo e terra, in una sospensione che ha radici nell’eterno e ali per l’infinito.

«Oggi, con me…» gli dice Gesù: riuscite ad immaginare gli occhi increduli e lucidi del ladrone guardarsi intorno nel paradiso? Riuscite a vedere quel ladrone che avanza sottobraccio all’Amico dell’ultima ora, anzi, dell’ultimo attimo, e che entra perplesso e meravigliato nel regno?

Che emozione, che commozione. E allora venga il tuo regno, fatto per i piccoli e i poveri del mondo, intenso come tutte le lacrime e bello come il più bello tra i sogni.

(Da Avvenire - d.Luigi Verdi) 

 


sabato 15 novembre 2025

«Sei tu, mio Signore, la mia speranza» (Sal 71,5) - XXXIII domenica del tempo ordinario

 IX° Giornata mondiale dei poveri.

Preghiera ispirata al messaggio del Papa per questa giornata. 

O Dio Padre dei viventi, 

Tu sei il Dio della speranza. Nostra rupe e nostra fortezza, Tu sei il nostro sostegno. In Te ci rifugiamo in mezzo alle prove della vita. Tu sei la nostra prima e unica speranza, il nostro compagno di strada.

Abbiamo bisogno di Te, della Tua amicizia, della Tua benedizione, della Tua Parola, della celebrazione dei Sacramenti per crescere e maturare nella fede. 

In Te troviamo il nostro tesoro. Senza di Te, qualunque cosa abbiamo serve a renderci ancora più vuoti.

 

O Signore Gesù, Verbo incarnato, Tu hai assunto la nostra povertà per rendere tutti ricchi attraverso le nostre voci, le nostre storie, i nostri volti. Con la nostra esistenza e anche con le parole e la sapienza di cui siamo portatori, provochiamo tutti a toccare con mano la verità del Tuo Vangelo. Accresci la nostra fede in Te, che ci hai salvato con la Tua morte e risurrezione e che tornerai di nuovo in mezzo a noi. Il nostro cuore sia sempre fisso in Te, che sei la nostra speranza.

 

O Spirito Santo, amore del Padre e del Figlio, che susciti in noi l’attesa della città celeste, illumina e fortifica i nostri fratelli cristiani, perché si impegnino per le nostre città terrene, rendendole fin d’ora somiglianti alla patria beata. Fa’ che tutti gli uomini e le donne di buona volontà affrontino e rimuovano a livello internazionale le cause strutturali della povertà, creando nuovi segni di speranza per testimoniare a noi con gesti concreti la carità che Tu misteriosamente effondi in loro.

 

O Maria Santissima, Consolatrice degli afflitti, e Sant’Antonio di Padova, Patrono dei poveri, pregate per noi, affinché quest’Anno Giubilare possa incentivare lo sviluppo di politiche di contrasto alle antiche e nuove forme di povertà, oltre a nuove iniziative di sostegno e aiuto ai più poveri fra di noi, perché tutti possiamo avere una casa, cibo, cure mediche, istruzione. Amen!