sabato 4 maggio 2024

"Dio è amore" - Sesta domenica del tempo pasquale.


“Vi ho detto queste cose perché la mia gioia sia in voi e la vostra gioia sia piena”. Tutti siamo ricercatori di gioia. La confondiamo spesso con attimi fugaci di felicità, con le scintille di un momento piacevole ma passeggero.  I tempi difficili che viviamo più che gioia ci riempiono di tristezza, delusione, ansia, scoraggiamento.

Da dove viene questa gioia piena che Gesù vuole donarci?

“Vi ho detto queste cose perché la mia gioia sia in voi e la vostra gioia sia piena”. Essa viene dalle “cose” che ci ha detto, è lì che dobbiamo andare a cercarla.

Quali sono le “cose” che Lui ci ha dette? Le abbiamo ascoltate: “Come il Padre ha amato me, anche io ho amato voi”.  E Giovanni nella sua lettera aggiunge: “Dio è amore, l’amore è da Dio. In questo sta l’amore: è Lui che ha amato noi e ha mandato suo figlio”. Sei amato da Dio, vieni dall’amore, cioè da Dio stesso e verso di Lui sei in cammino per partecipare alla pienezza del suo amore. Questa è la radice, la sorgente della gioia. Essa viene da questa esperienza di sentirsi profondamente amati: questa è la fonte della gioia. Il Padre si occupa di me; e il suo amore allora diventa in me una presenza, una forza che genera gioia.

“Rimanete nel mio amore” aggiunge Gesù. E l’invito è unito a una indicazione: “Se osserverete i miei comandamenti (la mia parola) rimarrete nel mio amore”. “Questo è il mio comandamento: “che vi amiate gli uni gli altri come io ho amato voi”. L’amore, ricevuto e vissuto, nel quale si rimane nella fedeltà alla parola, diventa il segno distintivo del discepolo di Cristo e genera gioia.

“Amatevi COME IO ho amato voi”. Essenziale questo COME. E’ ciò che qualifica l’amore e lo rende vero, autentico.

Come Lui ci ama? Raccogliamo solo qualche spunto dalla Parola ascoltata per poi approfondirlo sia personalmente, sia nella vita comunitaria.

- “Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la vita”. “In questo si è manifestato l’amore di Dio in noi: Dio ha mandato nel mondo il suo Figlio perché avessimo la vita per mezzo di Lui”. Un amore che si apre al dono di sé, della vita e non si chiude nella ricerca del proprio interesse e soddisfazione personale. Un amore quindi che si traduce nel servire, nel donare. Questo diventa lo stile del cristiano e delle comunità cristiane.

- “Non vi chiamo più servi ma vi ho chiamato amici”. E’ un amore che si mette alla pari e ci chiama a entrare in una relazione profonda. Non è ricerca di dominio, desiderio di usare l’altro. Ma è disponibilità a una comunicazione, a un dialogo che unisce e arricchisce: “amici, perché tutto ciò che ho udito dal Padre mio l’ho fatto conoscere a voi”. Vuol dire che tra noi cristiani e nelle nostre comunità non dobbiamo trattare alcuni come servi, cristiani di sere B, ma sentirci tutti coinvolti a lavorare insieme per il vangelo, aperti al dialogo, al confronto, a costruire relazioni fraterne.

- “Non voi avete scelto me, ma io ho scelto voi e vi ho costituiti perché andiate e portiate frutto”. E’ un amore gratis: non è dato come premio a chi lo merita, per i buoni risultati conseguiti. Esso previene, anticipa: è un Amore che muove dalla gratuità e si gioca nella fiducia totale nei confronti dell’altro. Vuol dire che anche nelle nostre comunità deve affermarsi lo stile della gratuità, della fiducia, della disponibilità.

- “Dio non fa preferenze di persone”: così nella prima lettura. Si tratta di un amore senza confini. Pietro arriva a percepire che l’amore di Dio travalica tutti i nostri schemi, tutte le nostre distinzioni, i muri che erigiamo e le barriere soprattutto mentali che non smettiamo mai di costruirci. “Non fa preferenze di persone” e vuole arrivare al cuore di ogni uomo e donna per riempirlo di gioia vera, di luce e di pace. Vuol dire che ogni distinzione, divisione, chiusura, emarginazione, - anche nelle nostre comunità - vanno contro l’amore di Dio.

Ecco dunque “COME” Gesù ci ama e come noi possiamo rendere concreto questo suo amore, amandoci come Lui. “Come il Padre ha amato me così io ho amato voi”, perché “vi amiate gli uni gli altri”. Rimaniamo in questo amore e rendiamolo concreto giorno dopo giorno nelle nostre relazioni e nella vita delle nostre comunità.

 


 

sabato 27 aprile 2024

"Senza di me non potete far nulla" - Quinta domenica di Pasqua

 

Mi piace iniziare con questa frase di papa Giovanni: “Non siamo sulla terra a custodire un museo, ma a coltivare un giardino fiorente, destinato ad un avvenire glorioso.”

L’unico, il solo senso che possiamo cercare di dare alla vita si riassume in questa semplice e umile richiesta da parte di Dio, “che portiate molto frutto”: che senso avrebbe una vite che alla fine dell’estate non desse i suoi grappoli abbondanti? Che senso avrebbe una vita che non producesse frutti belli, buoni di bene, di bontà, di amore?

Tuttavia i tralci senza la vite restano sterili, ogni pianta senza la linfa vitale che circola in essa inaridisce. Ogni uomo e donna senza quella linfa interiore che si chiama Spirito rischia sterilità o addirittura di portare frutti velenosi e nocivi per sé e gli altri. Questo portare buon frutto non è possibile senza che in noi circoli, si diffonda, operi una linfa vitale, segreta, intima che feconda la nostra mente, il nostro cuore, tutto il nostro esistere, rendendoci così capaci di fecondità, di “portare frutto” per il bene nostro e di chi abbiamo accanto, anzi per l’umanità intera. “Come il tralcio non può portare frutto da sé stesso se non rimane nella vite, così neanche voi se non rimanete in me”.

Lui ci chiede di essere fecondi, portatori di frutti, generatori di vita. E questo si fa possibile perché la sua energia –l’amore- scorre in noi. Essa non va spenta, bloccata, ma deve trovare spazio nella nostra vita, nelle nostre opere, nei frutti che siamo chiamati a portare. Ciò si attua con il diventare discepoli di Gesù. Diventare, giorno dopo giorno, sempre più discepoli che apprendono da Gesù l’arte di portare buoni frutti. Interessante è notare come il “portare frutto” è strettamente legato al “diventare discepoli”. Quasi a ricordarci che i frutti attesi altro non sono che i frutti stessi che Gesù ha portato e che ora noi come suoi discepoli dobbiamo saper portare. Frutti che maturano “dal seme che muore”, da una vita aperta al dono e al perdono, spesa per gli altri, per il Regno e non conservata per sé, per il proprio comodo.

Ecco la necessità dunque della continua purificazione: “ogni tralcio che porta frutto lo pota” lo purifica “perché porti più frutto”. I contadini bravi lo sanno, che quando sulla pianta alcuni rami seccano c’è da prendere le cesoie e tagliare. Non per punizione, non per saggiare la resistenza alle prove e alla sofferenza, ma per la vita, perché, dopo, la pianta è più bella e può dare i suoi frutti migliori.

Noi dobbiamo quindi far di tutto per “rimanere in” Lui. E’ questo il nostro ‘unico’ impegno: “rimanere in” Lui. “Rimanete in me e io in voi” ci dice oggi Gesù. “Senza di me non potete far nulla”. Questo verbo è la parola chiave di tutta la riflessione. Viene ripetuto ben sette volte: rimanere. “Chi rimane in me e io in Lui, porta molto frutto”.  E oggi il rischio maggiore è proprio questo ‘stacco’ vitale. Proprio da parte nostra, di noi che ci diciamo cristiani ma senza questa relazione, riferimento primario a Gesù. Non è forse per questo che faticano a maturare frutti buoni mentre abbondano, in tutti i campi, erbacce e zizzania?  Dove sono i frutti del vangelo, il perdono, la pace, la giustizia, la misericordia, la fraternità? E’ ben altro quello che invece si coglie in mezzo a noi. Perché? Perché manca quel rapporto profondo, vitale con Gesù. Non di facciata, di abitudine, bensì rapporto di intimità e di comunione. Rapporto che è garantito dallo Spirito che abita in noi e che si attua attraverso l’ascolto della Sua Parola. “Se rimanete in me e le mie parole rimangono in voi chiedete quello che volete e vi sarà fatto”: l’ascolto della Parola porta a mantenere il contatto vitale con Gesù e a consentirgli di prendere dimora in noi così che portiamo i suoi frutti.

Quei frutti di amore che hanno la capacità di generare storie nuove, relazioni diverse, gesti e scelte di giustizia e di pace. Di fare del mondo non un museo, ma un giardino fiorente, fecondo, ricco di vita.

 

sabato 20 aprile 2024

"Seminatori di speranza e di pace" - Quarta domenica di Pasqua - Giornata di preghiera per le vocazioni

Giovanni nella seconda lettura ci svela qualcosa di bello e di grande: il senso stesso della nostra vita e il nostro destino. Siamo tutti dei chiamati, per amore, ad essere figli di un Dio Padre. “Vedete quale grande amore ci ha dato il Padre per essere chiamati figli di Dio e lo siamo realmente!”. Per questo il nostro destino è che “noi saremo simili a Lui perché lo vedremo così come egli è”.

Tutto questo ha inizio per ogni uomo e donna con la chiamata alla vita (ecco perché essa è sacra e inviolabile sempre). E’ la prima vocazione per tutti: vivere e vivere per sempre!

Per noi cristiani poi si aggiunge la consapevolezza che questa vita di figli, questa vita eterna ci è donata solo da Colui che “è la pietra, scartata e che è diventata la pietra d’angolo. In nessun altro c’è salvezza”: Gesù. Con il Battesimo accogliamo in noi la forza della sua Pasqua e la consapevolezza di essere uniti alla stessa vita di Dio, Padre, Figlio e Spirito santo. E’ la vocazione cristiana: seguire Gesù, vivere come Lui e per Lui, ognuno secondo le capacità e i doni ricevuti.

Così dal Battesimo maturano le diverse vocazioni che qualificano la chiesa come “popolo fedele in cammino, perché possiamo prendere parte al suo progetto d’amore e incarnare la bellezza del Vangelo nei diversi stati di vita – scrive papa Francesco nel messaggio di oggi -. Così, questa Giornata è sempre una bella occasione per ricordare con gratitudine davanti al Signore l’impegno fedele, quotidiano e spesso nascosto di coloro che hanno abbracciato una chiamata che coinvolge tutta la loro vita. Penso alle mamme e ai papà che non guardano anzitutto a sé stessi e non seguono la corrente di uno stile superficiale, ma impostano la loro esistenza sulla cura delle relazioni, con amore e gratuità, aprendosi al dono della vita e ponendosi al servizio dei figli e della loro crescita. Penso a quanti svolgono con dedizione e spirito di collaborazione il proprio lavoro; a coloro che si impegnano, in diversi campi e modi, per costruire un mondo più giusto, un’economia più solidale, una politica più equa, una società più umana: a tutti gli uomini e le donne di buona volontà che si spendono per il bene comune. Penso alle persone consacrate, che offrono la propria esistenza al Signore nel silenzio della preghiera come nell’azione apostolica, talvolta in luoghi di frontiera e senza risparmiare energie, portando avanti con creatività il loro carisma e mettendolo a disposizione di coloro che incontrano. E penso a coloro che hanno accolto la chiamata al sacerdozio ordinato e si dedicano all’annuncio del Vangelo e spezzano la propria vita, insieme al Pane eucaristico, per i fratelli, seminando speranza e mostrando a tutti la bellezza del Regno di Dio”.

Vocazioni diverse di un unico popolo in cammino seguendo il Pastore buono e bello che “dà la propria vita”, ci conosce per nome e tutti vuole radunare: “ascolteranno la mia voce e diventeranno un solo gregge, un solo pastore”.

Con Gesù, ascoltato e seguito, impariamo così anche noi a donare la vita e a lavorare per l’unità e la fraternità universale in cammino verso la speranza della comunione di vita definitiva in Dio.

“Questo è, alla fine, - scrive ancora il Papa - lo scopo di ogni vocazione: diventare uomini e donne di speranza. Siamo tutti chiamati a “dare corpo e cuore” alla speranza del Vangelo in un mondo segnato da sfide epocali: l’avanzare minaccioso di una terza guerra mondiale a pezzi; le folle di migranti che fuggono dalla loro terra alla ricerca di un futuro migliore; il costante aumento dei poveri; il pericolo di compromettere in modo irreversibile la salute del nostro pianeta. E a tutto ciò si aggiungono le difficoltà che incontriamo quotidianamente e che, a volte, rischiano di gettarci nella rassegnazione o nel disfattismo. In questo nostro tempo, allora, è decisivo per noi cristiani coltivare uno sguardo pieno di speranza, per poter lavorare con frutto, rispondendo alla vocazione che ci è stata affidata, al servizio del Regno di Dio, Regno di amore, di giustizia e di pace. Essere pellegrini di speranza e costruttori di pace. Significa fondare la propria esistenza sulla roccia della risurrezione di Cristo, sapendo che ogni nostro impegno, nella vocazione che abbiamo abbracciato e che portiamo avanti, non cade nel vuoto. Nonostante fallimenti e battute d’arresto, il bene che seminiamo cresce in modo silenzioso e niente può separarci dalla meta ultima: l’incontro con Cristo e la gioia di vivere nella fraternità tra di noi per l’eternità. Questa chiamata finale dobbiamo anticiparla ogni giorno: la relazione d’amore con Dio e con i fratelli e le sorelle inizia fin d’ora a realizzare il sogno di Dio, il sogno dell’unità, della pace e della fraternità. Nessuno si senta escluso da questa chiamata! Ciascuno di noi, nel suo piccolo, nel suo stato di vita può essere, con l’aiuto dello Spirito Santo, seminatore di speranza e di pace.