La festa dell’Ascensione oggi, e
della Pentecoste domenica prossima, portano a pieno compimento la Pasqua di
Gesù, morto e risorto.
Soffermiamoci su alcuni aspetti che
la Parola ascoltata richiama.
Si parla – nella prima lettura degli
Atti - di elevazione e di
allontanamento: “mentre lo guardavano, fu
elevato in alto e una nube lo sottrasse ai loro occhi”. E’ così che anche
noi siamo abituati a immaginare questo avvenimento dell’ascensione.
Aiutiamoci a comprendere il
significato di queste espressioni, anche attraverso quanto abbiamo ascoltato
nelle altre letture.
Innanzitutto “fu sottratto”. Un’espressione che non indica separazione,
allontanamento. Si dice infatti che “fu
sottratto ai loro occhi” e cioè non lo videro più, ma questo non significa
che si è allontanato, se ne è andato. Anzi. Proprio il vangelo si chiude con le
parole di Gesù stesso che afferma: “Io
sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo”.
Dunque siamo davanti a un modo
nuovo, diverso, di essere sempre presente e accanto a noi. Non più visibile ai
nostri occhi umani, ma tuttavia visibile agli “occhi del nostro cuore”, come afferma Paolo. L’invisibilità non
significa assenza. Anche l’aria è invisibile tuttavia c’è, ci avvolge. Il
Signore Gesù non è andato lontano, ma è vicino più di prima. Prima era
‘insieme’, ‘con’ i suoi discepoli, ora invece è ‘dentro’, ‘in’ ciascuno di noi.
C’è poi l’altra espressione che va
chiarita: “fu elevato in alto”.
Questa ‘elevazione’, sulla base di quanto abbiamo detto prima, non è tanto un
fatto fisico, materiale (una persona che sale verso il cielo), bensì il
riconoscimento della riuscita di questa persona, della sua gloria, della sua
vittoria, del suo essere ‘in alto’ sopra tutto e tutti. Come un atleta che al
termine del confronto sportivo sale sul primo posto del podio. Esprimerà bene
questa consapevolezza Paolo riconoscendo che Gesù “tutto ha messo sotto i suoi piedi”.
Gesù stesso nel vangelo afferma “A me è stato dato ogni potere in cielo e
sulla terra”. E’ il potere-forza dell’amore che ha portato Gesù a vincere
sul male, sulla sofferenza, sulla morte stessa. Gesù dunque è colui che ha
realizzato pienamente la sua vita e lo ha fatto proprio con una vita spesa
nell’amore. Abbassato fino alla morte di croce, viene elevato fino alla gloria
di essere uno col Padre (questo sta a significare “siede alla destra del Padre”), vivente per sempre.
Cosa vogliono dire a noi oggi queste
riflessioni che forse possono sembrarci un po’ teoriche e dottrinali?
Credo che il messaggio splendido di
questa festa si orienta sulla capacità di comprendere “con gli occhi del nostro cuore” proprio questi due aspetti.
Il primo. Lui è con noi sempre. Mai
soli. “Vicinissimo a te è Dio, più intimo
a te di te stesso. E poi è dentro tutte le cose. La terra è allora un immenso santuario,
un immenso cielo. E la Parola di Dio è seminata come lievito dentro ogni cosa.
Il Signore, io non devo raggiungerlo: è già qui; è lui che è venuto. Il
Signore, non devo conquistarlo: è già dentro; è lui che si è dato e che rimane.
Mentre tutto passa, lui rimane: “Io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine
del mondo”. (E.Ronchi)
Il secondo. In Lui ci è indicata la
meta. Una meta di speranza e di piena realizzazione. Elevato, riuscito,
realizzato: questi è Gesù.
E come Gesù così può e deve essere
anche per ciascuno di noi.
Lui che “è il perfetto compimento di tutte le cose”, come scrive Paolo,
chiama tutti noi e la creazione tutta al pieno compimento. Non vuole che
nessuno di noi si perda. Vuole che tutti abbiamo a realizzare in pienezza la
nostra vita.
E per questo ci ha indicato la
strada proprio con la sua vita tra noi. La strada dell’amore che si dona;
strada di croce, di fatica, di prova ma che porta, se la seguiamo con fiducia
in Lui e nella sua Parola, al passaggio, alla Pasqua, che ci realizza e ci dona
una vita piena.
Qui, in Gesù, sta la speranza che ci
dà coraggio sempre.
In Lui è la meta verso la quale
dobbiamo non tanto guardare – “perché
state a guardare il cielo?” è il rimprovero ai suoi discepoli -.
E’ piuttosto la meta che dobbiamo
annunciare, testimoniare, verso cui tutti insieme camminare, tendere.
“Andate”,
“di me sarete testimoni”. A questo porta la festa dell’Ascensione. Una duplice
consapevolezza e un comune impegno: siamo in cammino con Gesù e verso Gesù,
verso la sua pienezza che sarà anche la nostra. Di questo noi “siamo testimoni”. E’ il compito, la
missione che ci affida: “fate discepoli,
battezzandoli, insegnando loro quanto vi ho comandato”. E ci ha comandato
una cosa sola: “Questo vi comando: amatevi
come io vi amo”.
Siamo chiamati allora a far sì che
tutti possano essere immersi in questo amore che Dio ci ha rivelato in Gesù
(questo è il senso del battezzare: immergere in Gesù); che tutti possano
scoprirsi e sentirsi mai soli: accompagnati da Colui che è la Presenza che ci
abita, la meta cui tende il cammino di ciascuno e di tutta l’umanità.
Non ci resta che vivere con gioia e
responsabilità, collaborando con tutti per costruire una storia come piace a
Dio, a immagine di Cristo. E pregando ogni giorno: “Donaci la certezza forte e inebriante che nel cuore di ogni essere Tu
sei Amore e Luce crescenti”. (Vannucci)
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