sabato 31 marzo 2018

Pasqua: risorgere si può!

"Voi sapete che cosa è accaduto…”. Inizia così il discorso di Pietro riportato negli Atti degli Apostoli. Noi sappiamo che cosa è accaduto. Sappiamo tutto di Gesù, della sua vita, delle sue opere, del suo messaggio. Sappiamo come è vissuto e come è morto.
Sappiamo che in tutto ciò “Dio era con Lui”. Lui era il Figlio di Dio, l’amato, venuto uomo tra gli uomini per essere il salvatore.

Ebbene questo Gesù, ricorda Pietro, “lo uccisero appendendolo a una croce, ma Dio lo ha risuscitato al terzo giorno”. Anche questo noi sappiamo. Anzi oggi siamo qui proprio per celebrare questo: la pasqua, il passaggio di Gesù da morte a vita.
Sappiamo, celebriamo, ma con il rischio di non lasciarci coinvolgere più di tanto. Quasi fosse qualcosa di bello certo, ma che non ci riguarda, estraneo alla nostra vita reale, ai nostri problemi quotidiani.
Eppure se ci fermassimo solo un attimo a riflettere. Se ci lasciassimo solo per un attimo coinvolgere da un messaggio che invece ci riguarda tutti… Gesù è risorto.
Gesù: cioè l’uomo che ha lavorato, amato, sofferto e patito, sudato e pianto come tutti noi, che è stato tradito e offeso, ingiustamente accusato, deriso, disprezzato, ucciso. Questo Gesù è risorto, è vivo.
Gesù: cioè il figlio di Dio, il Dio con noi, che ci ha rivelato il vero volto di Dio, abbassandosi al nostro fianco, mettendosi a nostro servizio, amandoci anche se non eravamo amabili: questo Dio che ama, ha vinto la morte. Ogni morte.  
In Gesù risorto ci è detto che Dio è il Signore della vita e che l’uomo con lui è fatto non per il male, la violenza, la morte, ma per l’amore, la pace, la vita.
”Questo ci ha ordinato di annunciare” dice ancora Pietro. Questo oggi vogliamo di nuovo annunciare al cuore di ciascuno di noi.
Con Gesù l’uomo passa da morte a vita. Risorge.
E non si tratta solo della risurrezione finale, dopo questa vita e dopo la nostra morte fisica. Anche. Ma siamo risorti ora. Fin dal Battesimo, che abbiamo insieme rinnovato, e ogni giorno.
Ora, adesso, possiamo risorgere con Lui: non c’è peccato che non possa essere perdonato, non c’è ferita che non possa essere risanata, non c’è angoscia che non possa ritrovare speranza. Tutto rinasce in Dio. Tutto rifiorisce attraverso Gesù l’uomo che tutti ci rappresenta, il Dio che tutti ci ama.  
Risorgere. E’ l’invito e l’augurio di Pasqua. Si può. Si deve.
Risurrezione significa credere alla vita, sollevarsi nonostante la paura, alzarsi da ogni caduta sapendo che c’è uno, Dio stesso, che in Gesù mi prende per mano e mi accompagna nella vita. 
Nella vita personale e famigliare. Risorgere significa ricominciare, nelle nostre famiglie, ogni giorno da capo, significa riprendere dopo ogni sbaglio, tornare a parlarci e perdonarci, imparare da capo a volerci bene e rispettarci, a dedicarci tempo e attenzioni...
Anche nella vita sociale abbiamo oggi più che mai bisogno di risorgere. In una realtà sempre più difficile che sembra schiacciare i più deboli e piccoli e premiare i soliti che già stanno bene, dove tutti si è più fragili, più preda di scoraggiamento e depressione. Tutti più portati a cadere. Risorgere ci dice la Pasqua. Si può.
Senza dimenticare tuttavia che la strada è una sola.
Riflettiamo: chi è Colui che è risorto? e’ Colui che è stato crocifisso. “Lo uccisero, ma Dio lo ha risuscitato”. Il Gesù risorto non è un altro Gesù, ma è il Gesù crocifisso. Non solo: la risurrezione non è un premio che ti è fato in aggiunta… Essa è già presente prima, è il frutto che nasce da una vita spesa per amore.  Questo a  ricordarci che si può arrivare alla risurrezione solo passando per la strada della passione, dell’amore che si dona.
Anche la nostra personale, famigliare e sociale risurrezione sarà possibile se abbiamo il coraggio di intraprendere la strada della croce, cioè del dono, del servizio, di una vita spesa per….
Usciremo da ogni crisi solo se impareremo uno stile nuovo di vita, uno stile più povero, semplice, rispettoso delle cose e delle persone, più attento alle relazione che non al guadagno, più capace di condivisione che di accumulo… uno stile più evangelico, lo stile di Gesù. Da qui occorre ripartire. Da questo morire a un modello di vita niente affatto umano e tanto meno cristiano, per risorgere a una vita diversa, appunto più umana e quindi più cristiana.
E’ questo il senso delle parole: “Se siete risorti con Cristo cercate le cose di lassù” ascoltate nella seconda lettura. Cercare cioè le cose che contano, atteggiamenti, stili di vita alti, veri, belli, onesti, buoni… trovando il coraggio di far morire in noi e attorno a noi tutto ciò che invece è meschino, falso, ingannevole, disumano.
Ecco la Pasqua. Il passaggio a vita nuova. Non è solo una festa da ricordare e celebrare. Sia una festa – ed è questo l’augurio – che ci cambia interiormente e anche nel nostro modo di vivere esteriore. Una festa che ci possa coinvolgere, rinnovare e rendere capaci, già ora, di vivere da risorti con Gesù.

sabato 24 marzo 2018

Entriamo nella grande settimana di Pasqua.


Gesù entra a Gerusalemme, non solo un evento storico, ma una parabola in azione. Di più: una trappola d'amore perché la città lo accolga, perché io lo accolga. Dio corteggia la sua città, in molti modi. Viene come un re bisognoso, così povero da non possedere neanche la più povera bestia da soma. Un Dio umile che non si impone, non schiaccia, non fa paura. «A un Dio umile non ci si abitua mai» (papa Francesco).
Il Signore ha bisogno, ma lo rimanderà qui subito. Ha bisogno di quel puledro d'asino, di me, ma non mi ruberà la vita; la libera, invece, e la fa diventare il meglio di ciò che può diventare. Aprirà in me spazi al volo e al sogno.
E allora: Benedetto Colui che viene nel nome del Signore. È straordinario poter dire: Dio viene. In questo paese, per queste strade, in ogni casa che sa di pane e di abbracci, Dio viene, eternamente incamminato, viaggiatore dei millenni e dei cuori. E non sta lontano.
La Settimana Santa dispiega, a uno a uno, i giorni del nostro destino; ci vengono incontro lentamente, ognuno generoso di segni, di simboli, di luce. La cosa più bella da fare per viverli bene è stare accanto alla santità profondissima delle lacrime, presso le infinite croci del mondo dove Cristo è ancora crocifisso nei suoi fratelli. Stare accanto, con un gesto di cura, una battaglia per la giustizia, una speranza silenziosa e testarda come il battito del cuore, una lacrima raccolta da un volto.
Gesù entra nella morte perché là è risucchiato ogni figlio della terra. Sale sulla croce per essere con me e come me, perché io possa essere con lui e come lui. Essere in croce è ciò che Dio, nel suo amore, deve all'uomo che è in croce. Perché l'amore conosce molti doveri, ma il primo è di essere con l'amato, stringersi a lui, stringerlo in sé, per poi trascinarlo in alto, fuori dalla morte.
Solo la croce toglie ogni dubbio. Qualsiasi altro gesto ci avrebbe confermato in una falsa idea di Dio. La croce è l'abisso dove un amore eterno penetra nel tempo come una goccia di fuoco, e divampa. L'ha capito per primo un pagano, un centurione esperto di morte: costui era figlio di Dio. Che cosa l'ha conquistato? Non ci sono miracoli, non risurrezioni, solo un uomo appeso nudo nel vento. Ha visto il capovolgimento del mondo, dove la vittoria è sempre stata del più forte, del più armato, del più spietato. Ha visto il supremo potere di Dio che è quello di dare la vita anche a chi dà la morte; il potere di servire non di asservire; di vincere la violenza, ma prendendola su di sé.
Ha visto, sulla collina, che questo mondo porta un altro mondo nel grembo. E il Crocifisso ne possiede la chiave.

(Riflessione di E.Ronchi, tartta da Avvenire; Letture: Isaia 50,4-7; Salmo 21; Filippesi 2,6-11; Marco 14,1-15,47)

sabato 17 marzo 2018

Quinta domenica di Quaresima


“Vogliamo vedere Gesù”: la domanda posta dai greci ai discepoli è anche la nostra domanda. Vedere Gesù: non tanto fisicamente, quanto approfondire la sua conoscenza, entrare in una relazione più profonda con Lui.
La domanda arriva a Gesù attraverso i suoi discepoli e risponde indicando un’ora e una modalità nelle quali Lui si farà vedere, conoscere.
“E’ venuta l’ora” dice, e quest’ora è quella della croce, del dono della vita: “per questo sono giunto a quest’ora”.
La modalità è “che il Figlio dell’uomo sia glorificato”; è la gloria cioè il far risplendere, proprio lì, in quell’ora, l’amore del Padre. “Padre glorifica il tuo nome”.
Nella croce dunque si manifesta la gloria di Dio, in Gesù crocifisso si fa vedere il volto di amore del Padre.
E’ il seme che “caduto in terra muore e produce molto frutto”. Infatti “chi ama la propria vita la perde e chi odia (dona) la propria vita in questo mondo la conserverà per la vita eterna”.
La croce è l’ora in cui la vita donata per amore (apparentemente persa) si manifesta come gloria, amore che salva.
Come ricorda la lettera agli Ebrei (2 lettura) “per il suo pieno abbandono a lui, venne esaudito”, per aver riposto la sua vita nelle mani del Padre quale dono d’amore, questa vita viene a portare frutto per tutti noi.
E’ lì allora, dalla croce, che si apre la strada e viene data a tutti una indicazione: “quando sarò innalzato da terra attirerò tutti a me”.
Guardando lì, attratti da quel dono di amore, veniamo resi consapevoli che non c’è altra via anche per noi, per realizzare la nostra vita, se non quella di fare della vita un dono d’amore.
“Se uno mi vuol servire, mi segua, e dove sono io (croce e gloria) là sarà anche il mio servitore. Se uno serve me il Padre lo onorerà”. Così saremo là dove è lui, cioè in quella nuova alleanza già annunciata dal profeta Geremia (1 lettura), in quella comunione con Padre per un vita senza fine.
Per “vedere Gesù” guardiamo dunque alla croce, contempliamo quell’uomo che “divenne causa di salvezza eterna per tutti coloro che gli obbediscono”, che ascoltano la sua voce e lo seguono sulla via dell’amore-dono.
Che il Signore poi ci aiuti “perché possiamo vivere e agire sempre in quella carità che spinse Gesù a dare la vita per noi”.
Camminando con lui su questa strada, la strada del seme che accetta di farsi dono nella morte per generare vita, la strada del dono d’amore, diventeremo discepoli capaci di portare a Gesù. Anche oggi infatti tanti rinnovano la domanda: “Vogliamo vedere Gesù”. E noi cristiani, noi chiesa, quale risposta offriamo a questa domanda, a questo desiderio profondo del cuore di tanti?
Chi facciamo vedere con la nostra vita, a chi rimanda la vita delle nostre comunità? A Gesù o a noi stessi?
Perché Gesù possa “attirare tutti a sé” occorrono oggi uomini e donne che, seguendolo e vivendo come lui ha vissuto, aprano squarci di luce, facciano intuire che il segreto della vita è quello del seme che muore per generare vita nuova.
Dentro una storia dove si è tutti trascinati da una logica di autodifesa e di chiusura su se stessi con la paura di perdere la propria vita, cercando di conservarla e difenderla, noi che, come suoi discepoli, abbiamo deciso con libertà e gioia di seguirlo, abbiamo il compito-dovere di testimoniare il vangelo di Gesù che parla di vita che si apre al dono al fine di produrre molto frutto.
Questo perché altri, attraverso le nostre scelte, il nostro stile di vita possano “vedere Gesù”, intuire quella strada che porta, attraverso una vita donata per amore, attraverso la croce, alla pienezza della vita stessa.

sabato 10 marzo 2018

Quarta domenica di Quaresima



C’è, nelle letture di oggi, un messaggio che ci deve far sussultare di gioia. C’è l’annuncio di un amore fedele e ostinato che va oltre tutte le nostre infedeltà. Questo amore è l’amore di Dio. Anzi è Dio stesso. Quel Dio che si rivela a noi in Gesù: “Dio ha tanto amato il mondo da dare il Figlio unigenito”. “Dio, ricco di misericordia, per il grande amore con il quale ci ha amato, da morti che eravamo per le colpe, ci ha fatto rivivere con Cristo”. Un amore che ci svela la sua identità e che caratterizza il suo agire da sempre: “il Signore aveva compassione del suo popolo” ricorda il libro delle Cronache nella prima lettura.
Veramente: “immersi in un mare di amore, non ce ne rendiamo conto”. (Vannucci) Perchè? Forse perché questo annuncio di gioia contrasta fortemente con la realtà nostra. Una realtà segnata da ciò che è opposto all’amore: se l’amore è luce, noi siamo nelle tenebre; se l’amore è verità, noi siamo nella menzogna e nell’illusione. Questa la realtà sociale e personale di cui facciamo esperienza.
Tutti siamo dentro in questo buio, in questa vita piena di assurdità e di male, in questa esistenza segnata da errori, debolezze, paure. Tutti. Lo ricorda bene la prima lettura: “Tutti i capi di Giuda, i sacerdoti e il popolo, moltiplicarono le loro infedeltà”.
Questa situazione fallimentare si pone in pieno contrasto con quell’amore di Dio annunciato. Se Dio è amore, perché tutto ciò? Perché questo amore permette il dilagare del male? Perché?
Sono domande che ci bruciano dentro e mettono in crisi l’annuncio di gioia di un Dio che ci ama.
Tuttavia questo annuncio è vero; si è manifestato e reso concreto nel Figlio di Dio donato a noi e innalzato davanti ai nostri occhi, quale segno di un amore che salva.
 “Dio ha tanto amato il mondo”; lo ha amato da sempre. Lo ama ora, oggi, così com’è. Non lo giudica: “non ha mandato il Figlio per condannare il mondo, ma per salvarlo”.
Lo salva con un amore che si abbassa mettendosi al nostro fianco e dentro la nostra debolezza e fragilità, assumendola in sé e superandola, aprendo ogni nostra situazione di peccato, di male, a possibilità di nuovo inizio.
Così fu per l’antico popolo d’Israele che dall’esilio viene risollevato grazie all’intervento amoroso e imprevedibile di Dio, che attraverso un pagano e straniero, Ciro, opera per riportare il popolo alla libertà. Così Dio continua oggi ad operare in mezzo a noi. Non a colpi di bacchetta magica per annullare i problemi, per cancellare le cose che non vanno, ma a colpi di amore rinnovato, di presenza nascosta e imprevedibile che ci accompagna sempre, quando meno ce lo aspettiamo, per risollevarci a portarci a libertà, a novità di vita. Lui parte da lì, si fa vicino proprio lì dove c’è fallimento, infedeltà, e non per giudicare ma per amare, per riportare alla luce, alla verità.
Qui sta la grandezza e la bellezza del suo amore. Non parole vuote, ma presenza, dono, vita condivisa in Gesù uomo come noi, che assume la nostra non facile esistenza.
Gesù è stato mandato dal Padre perché l’uomo si salvi.
Gesù è “la luce è venuta nel mondo”, essa ci fa conoscere ciò che è vero ci svela la fedeltà di Dio e il Suo amore per noi.
Per noi allora si tratta di scegliere: “gli uomini hanno amato più le tenebre che la luce”.
Forse è questo che ci manca. Il Coraggio di scegliere. Il coraggio di innalzare lo sguardo verso colui che nel suo amore per noi è stato innalzato sulla croce, ecco allora che “chiunque crede in Lui ha la vita eterna”. Ci manca questo coraggio perché se guardassimo a Lui e ci lasciassimo amare la nostra vita sarebbe rovesciata: come possibile riconoscersi amati e poi non amare? Continuare a odiare, a litigare, a insultare, a mentire…? Forse è questa paura di cambiare rotta, di uscire dal nostro egoismo che ci impedisce di riconoscere fino in fondo l’amore che Dio nutre per noi. Siamo un poco simili a Nicodemo che incontra sì Gesù, ma di notte, di nascosto, pauroso di compromettersi con Lui.
In Lui, Figlio amato, che abbassato fino alla croce è stato innalzato per dare a tutti vita, è la pienezza dell’amore di Dio. Anche noi, se ci lasciamo prendere per mano, possiamo essere risollevati dal male che oscura il cammino e innalzati allo splendore della verità e del bene. Solo lasciandoci prendere per mano e amare da Lui: perché –come ci ha ricordato Paolo– “per grazia siete stati salvati…ciò non viene da voi, ma è dono di Dio”.
Noi infatti non siamo cristiani perché amiamo Dio o facciamo qualcosa per Lui. Siamo cristiani perché crediamo che Dio ci ama. Tanto da dare suo Figlio. E ci lasciamo amare così da essere in Lui figli amati.
In Lui allora ci impegniamo non per salvare il mondo - l’ha già salvato Lui - ma per amarlo; ci impegniamo non per convertire le persone, ma per amarle. Come ne siamo capaci.
E questo perché così fa Dio verso ciascuno di noi.

venerdì 2 marzo 2018

Terza domenica di Quaresima



Gesto clamoroso quello che Gesù compie nel Tempio; gesto che ben conosciamo e forse per questo motivo portati a ridurre nel suo vero significato. Riduciamo tutto a una sfuriata, a uno sfogo verso scribi, farisei, autorità religiose. In realtà molto più profondo e forte è il significato di quanto Gesù ha fatto.
Innanzitutto non dimentichiamo che per gli Israeliti la Legge (di cui parla la prima lettura) e il Tempio erano i pilastri della loro vita religiosa. La Legge data attraverso Mosè (le dieci parole) era la “costituzione” di Israele come popolo libero e il Tempio unico a Gerusalemme era il luogo della Presenza unica di Dio in mezzo al suo popolo.
Quindi Gesù si scontra proprio con ciò che per la fede di Israele era l’essenziale. Indubbiamente sappiamo che la Legge non sempre era osservata e vissuta e che anche il Tempio era stato ridotto a luogo di scambi e di commercio più che a casa di preghiera. Questo ci porta a comprendere come una certa “pulizia” poteva anche starci bene: “purificazione del Tempio”, così viene normalmente denominato questo episodio.
Ma anche queste osservazioni, pur vere, limitano la portata del gesto di Gesù. Infatti non si tratta tanto di una voglia di purificazione, di pulizia da ciò che l’uomo, con i suoi interessi meschini, ha lordato. Gesù qui intende – ed è questo il senso profondo dell’episodio – “rovesciare”, non tanto i banchi dei cambiavalute, ma la stessa idea di Tempio e di Legge. Più ancora: intende rovesciare la stessa idea di Dio che il popolo, venendo meno alla fedeltà all’Alleanza, aveva maturato.
Lo scopo dunque è aiutare questo suo popolo a compiere un passo in avanti, ad aprire il cuore per riscoprire quella relazione con Dio quale relazione di amore. Per aprire gli occhi su un Dio che non abita dietro una Legge e dentro un Tempio, bensì dimora in quella casa di carne che è il Figlio dell’Uomo, Gesù stesso.
Lui è il compimento della Legge, Lui è il nuovo Tempio. Nella sua divina umanità ci manifesta il vero volto di un Dio che non aspetta i nostri sacrifici, i nostri doni, le nostre prestazioni religiose, bensì viene verso di noi, facendosi dono per tutti, donandoci se stesso nella carne viva di Gesù, abitando in mezzo a noi dentro questa nostra umanità.
“Distruggete questo tempio e in tre giorni lo farò risorgere… egli parlava del tempio del suo corpo”. Nella sua Pasqua questo corpo muore e risuscita e diventa il corpo con molte dimore, la casa dove tutti noi veniamo incorporati. In Cristo allora la nostra realtà umana diventa dimora di Dio.
C’è dunque un capovolgimento totale di prospettiva: Dio abita nell’uomo, in quell’uomo chiamato Gesù. In Lui viene a noi per offrirci misericordia e perdono, tenerezza e amore, luce e verità. Lui che “conosce quello che c’è nell’uomo”.
Quanti lo riconoscono e lo accolgono vengono a Lui incorporati: con Lui formano un solo corpo, diventano grazie al dono del Suo Spirito, tempio vivente.
In Lui fiorisce allora una umanità nuova, un popolo nuovo che diventa luogo della presenza definitiva di un Dio che abita l’umanità. In Gesù ogni uomo può riconoscersi tempio di Dio, dimora dello Spirito la nuova Legge che guida a relazioni profonde di amore col Padre e con ogni essere vivente.
E’ veramente un “rovesciamento” di pensieri, di mentalità, di atteggiamenti, di vita.
Svelamento del volto divino umano di Dio in Gesù e svelamento del valore divino di ogni persona umana, spazio reale della Sua Presenza.
Invito per tutti noi oggi a vivere una fede profonda che si radica in una relazione autentica di fiducia e di amore nel Dio di Gesù e nel contempo che si fa capace di riconoscerlo, di rispettarlo e accoglierlo, di servirlo e amarlo in ogni uomo e donna, tempio della Sua permanente presenza tra noi. 
E così radicati in questa fede adulta veniamo resi capaci di ridare nuova linfa alla vita delle nostre comunità, corpo vivente di Cristo, per operare con maggior consapevolezza e decisione dentro questo nostro tessuto sociale, dentro questa nostra umanità per renderla sempre più lo spazio, il tempio dove divino e umano si incontrano per far germinare in tutta la sua bellezza il Regno di Dio.