venerdì 31 ottobre 2014

Festa di tutti i santi



L’immagine che emerge dalla Parola di Dio oggi è l’immagine della comunione, di una grande famiglia.
E’ la moltitudine immensa descritta nella prima lettura, una moltitudine chiamata a essere famiglia di Dio, figli suoi, come ci ricorda la seconda lettura; una moltitudine composta da tutti coloro che poveri, miti, pacifici, afflitti, perseguitati, misericordiosi hanno percorso le strade della storia lasciando tracce di verità e di bene.
La festa di oggi celebra dunque tutti i santi, o meglio la comunione dei santi (così come professiamo nel credo): cioè l’essere noi qui sulla terra e tutti coloro che ci hanno preceduti, una sola famiglia, in una comunione che ci unisce tutti in quell’unica fonte di vita e di amore che è Dio.
Festa dunque della comunione: dei santi e dei peccatori che si tengono per mano nell’immenso pellegrinaggio della vita.
Tutti peccatori, ma tutti chiamati ad essere santi, perché tutti portiamo in noi l’immagine e la somiglianza con il solo Santo, il Dio rivelato in Gesù e siamo tutti abitati dal suo Spirito che è vita senza fine.
Da queste considerazione allora emergono alcuni ‘pensieri forti’ che dobbiamo radicare nel cuore e che devono guidare il nostro cammino.
Non siamo soli. E’ festa oggi contro la solitudine, contro ogni isolamento. Non siamo soli, siamo comunione, siamo parte di una comunione che ci avvolge e ci spinge perché abbiamo a portare a compimento al meglio la nostra vita.
I santi ci spingono con il loro esempio e la loro amicizia. Ci sostengono. Ci dicono: anche tu puoi.
Se non ci fossero i santi, se non credessimo a questa comunione tra loro e noi, saremmo chiusi in una solitudine disperata.
La comunione con loro invece ci dice che in me, in ciascuno di noi, c’è qualcosa che è stato anche in loro: in me e in ciascuno c’è un po’ di Paolo e di Pietro, di san Francesco, di Madre Teresa, di quel santo di cui porto il nome…
Non è presunzione questa, ma effetto di questa comunione di vita che ci avvolge, dalla quale ricaviamo forza e capacità per saper dare anche noi il meglio con la nostra vita.
Tutto ciò allora ci porta a un secondo ‘pensiero forte’.
Ci dice che c’è un destino di speranza che ci attende, verso il quale ci muoviamo, un destino di vita. Il nostro vivere è pellegrinaggio verso un oltre; è dunque un camminare senza paura e sconforto, dentro una storia non facile, ma verso una meta che non è il nulla, ma la beatitudine, la felicità piena e definitiva.
La realizzazione totale del nostro essere e dell’umanità tutta in una comunione che finalmente si compirà pienamente, così che tutti saremo una cosa sola in Dio, simili a Lui e viventi nella pienezza del suo Amore.
L’ultimo pensiero: questa meta finale è per tutti, aperta a tutti, senza distinzioni e al di là dei meriti conseguiti!
E’ dono che Dio stesso, nel suo amore, e per sua grazia ci offre, dono che ci raggiunge fin d’ora e ci fa nuovi interiormente.
Dono da accogliere: siamo chiamati ad accogliere “l’iniziativa mirabile del suo amore”. Un Dio che si fa vicino, ci riempie di sé e ci eleva alla dignità di figli suoi.
Dio non cerca eroi (i santi non sono tali), ma figli che si lasciano amare, uomini e donne veri che camminano con le loro debolezze e fatiche con il desiderio della santità, accompagnati e sostenuti dal Suo amore accolto e coltivato nella nostra vita. Questo dentro la quotidiana e normalissima vita di tutti i giorni.
Il Vangelo di oggi sembra evocare cose di tutti i giorni, una trama di situazioni comuni, fatiche, speranza, lacrime: sono il nostro pane quotidiano.
A significare che fra tutte le beatitudini c’è la tua, quella scritta e pensata per te, quella che è la tua missione, che tu devi identificare vivere.
In quell’elenco ci siamo tutti: i poveri, i miti, i misericordiosi, gli incompresi, quelli dagli occhi puri, i semplici. C’è la santità delle lacrime, di coloro che molto hanno pianto, che sono il tesoro di Dio.
Non è dunque la santità degli eroi che ci è chiesta, non è la santità degli uomini duri e puri. Gesù non convoca eroi nel suo regno; non si rivolge ai forti e ai migliori tra noi, ma  a peccatori e pubblicani. A un Pietro roccia che si sbriciola e rinnega, a una Maddalena che aveva sette demoni, a pescatori che non sanno leggere: si rivolge a gente come me, come tutti noi. Il paradiso – potremmo dire - non è pieno di santi, ma è pieno di peccatori perdonati, di gente comune, come noi.
Dunque viviamo il nostro quotidiano come strada verso la santità, con semplicità e gioia, facendo spazio ogni giorno, a quell’amore di Dio che ci accompagna e che vuole fare anche di noi, peccatori, i suoi figli amati, santi e beati.

giovedì 30 ottobre 2014

Restauro santuario: si inizia!

Oggi, con il trasporto tramite elicottero dei ponteggi che verranno montati nei prossimi giorni all'interno della chiesa, ha inizio il lavoro di restauro interno del Santuario che si protrarrà per l'arco di un intero anno.
In questi giorni in particolare -causa montaggio ponteggi - l'accesso al santuario è limitato. La Messa feriale viene celebrata nella cappellina della Madonna e in seguito la chiesa risulterà utilizzabile solo per la metà.

sabato 25 ottobre 2014

30° domenica del tempo ordinario / A



Una delle preoccupazioni del popolo d’Israele era di fare la volontà di Dio, in modo che la propria condotta fosse sempre gradita a Lui. Era perciò necessario sapere con grande precisione come comportarsi in tutte le circostanze, per non dimenticare qualcosa. Ecco allora il  moltiplicarsi di precetti: si era arrivati a 613 precetti da osservare e a 365 proibizioni negative. In questo cumulo di leggi e divieti, molti avvertivano l’esigenza di fissare una gerarchia di comandamenti, cercando di determinare il più grande, il primo tra tutti. Rimanevano tuttavia parecchie incertezze in questa ricerca e la discussione era aperta tra le varie scuole rabbiniche.
Il brano di oggi muove appunto da un dottore della Legge che vuole tentare Gesù su questo argomento, per metterlo ancora una volta alla prova. Ma la questione circa cosa fosse più importante osservare, riguardava anche la prima comunità cristiana a cui Matteo scrive; riguarda anche noi oggi, che rischiamo di disperderci in una molteplicità di devozioni, pratiche, precetti, perdendo di vista l’essenziale, il cuore stesso della vita cristiana.
L’amore: è questo il ‘cuore’ di tutto. E Gesù lo ripropone con chiarezza, ricavando l’indicazione proprio dai testi dell’antico testamento - da quel Codice dell’Alleanza (nel libro dell’Esodo) che elencava quella molteplicità di precetti che, pur dispersivi, tuttavia erano per il popolo prezioso aiuto per la sua crescita e la sua capacità di convivenza sociale - , ma arrivando anche ad evidenziarne il primato assoluto.
Amare Dio, amare il prossimo. Primo e secondo in ordine di presentazione, ma unico comandamento, inscindibile. Uno “simile” all’altro, di pari valore, della stessa importanza. Strettamente collegati al punto che uno non può esistere senza l’altro, perché si tratta non di due, ma di un unico amore. L’amore di Dio senza quello del prossimo cade nel sentimentalismo; quello del prossimo senza l’amore di Dio scade in semplice filantropia e nel facile rischio della ricerca di interessi e gratificazioni. L’amore del prossimo è come uno specchio del nostro amore per Dio. Insieme si sostengono e ci sostengono nel realizzare la nostra vita.
Di più: “Da questi due comandamenti dipendono tutta la Legge e i Profeti”; è l’amore, nella sua totalità, ciò che dà senso, significato, orientamento a tutte le altre osservanze, tradizioni, precetti. Essi risultano come svuotati di senso, di contenuto e valore, se non vengono attuati nella luce e nella prospettiva dell’amore. L’amore di Dio e del prossimo sono come due ali che fanno volare tutta la Legge e la fanno volare in alto verso Dio.
Amare dunque con tutto noi stessi: corpo, mente, anima. Fare dell’amore il perno, il punto unificante di tutta la nostra vita. Un amore innanzitutto ricevuto gratuitamente (siamo amati per primi da Dio: “ricordati” – ammonisce l’antico testamento – di tutto quello che Dio ha fatto per te).
A sua volta questo amore è chiamato a riversarsi sul prossimo; e non dobbiamo pensare che si tratti solo del vicino, bensì di ogni persona, in particolare del debole e del povero, come già chiedeva il libro dell’Esodo (prima lettura) invitando a prestare attenzione e amore concreto agli stranieri, alle vedove e agli orfani, agli indigenti.
Gesù poi apre a dimensioni di universalità questo invito di amare il prossimo abbracciando in esso anche il pagano, il peccatore, il nemico. Un amore che prende quindi le misure dall’amore di Dio che è amore senza misura e per tutti; ma prende anche le misure dal nostro volerci bene (“ama il prossimo tuo come te stesso”). Un’espressione questa che dice da una parte che bisogna amare il prossimo perché egli è come “un altro te stesso”. Ma invita anche ad amare con la misura del bene che ci vogliamo: non si può amare l’altro se non ci si vuole bene. Come volere il bene altrui se non si è capaci di volere il proprio bene? Oggi c’è in alcuni il rischio di un altruismo nevrotico che porta a voler amare gli altri disprezzando se stessi e ritenendo indegno del cristiano l’amore per sé. Ma agli occhi di Dio anche io sono un essere amato da Lui e non ho alcun diritto di disprezzare ciò che Dio stesso ama; anzi: solo potenziando in me l’amore di Dio, realizzando in me il bene in pienezza, le mie capacità e i doni ricevuti, ho la possibilità, la forza di donare agli altri un amore profondo e vero.
Questo unico amore, che deve innervare tutta la nostra esistenza, è chiamato a farsi diffusivo: testimonianza prima e unica del nostro essere figli di Dio, cristiani. “Da questo riconosceranno che siete miei discepoli: se avrete amore gli uni per gli altri”. Paolo, nella seconda lettura, elogia la comunità di Tessalonica, proprio perché, con la loro vita sono diventati “modello per tutti i credenti”; “per mezzo vostro la parola del Signore risuona… si è diffusa dappertutto”.
E’ la missione affidata alla Chiesa, a ciascun battezzato.
Dal Battesimo nasce infatti il nostro essere missionari e nel vivere l’amore di Dio e del prossimo si compie questa missione di testimonianza e di annuncio

domenica 19 ottobre 2014

29° domenica del tempo ordinario / A



Sarebbe veramente limitativo ridurre il brano di oggi a una questione se pagare le tasse o meno, o a una infinita discussione sul rapporto tra politica e religione.
L’insegnamento di Gesù va ben oltre e ci spinge a una visione nuova dell’esistenza che impara a trovare in Dio, che tutto guida e sorregge il riferimento primo e ultimo, il riferimento esistenziale.
Affermando: “Rendete a Cesare quel che è di Cesare e a Dio quello che è di Dio”, Gesù rivela da una parte come occorre non farsi schiavi di Cesare, restituendo quello che gli è dovuto, dall’altra che è solo a Dio che dobbiamo far riferimento per essere veramente liberi, riconoscendo in Lui l’unica signoria da cui tutto e tutti ricevono vita.
Già il profeta Isaia, nella prima lettura, sottolinea come “non c’è nulla fuori di me; io sono il Signore e non c’è alcun altro”. Nelle sue mani la storia e ogni uomo, ogni autorità. Lui tutto guida, anche chi non lo conosce (è il caso di Ciro, re pagano qui presentato quasi come il Messia liberatore): è Dio che lo guida nella realizzazione dei suoi disegni di salvezza.
Senza Dio noi non siamo. Solo con Lui noi possiamo tutto. Perché tutto è di Dio. E tutto a Lui dobbiamo allora rendere, di tutto dobbiamo imparare a riconoscere il riferimento a Lui se vogliamo veramente realizzare noi stessi.  Di Dio è la terra e quanto contiene; l'uomo e la donna sono dono che proviene da oltre, cosa di Dio. Restituiscili a Lui onorandoli, prendendotene cura come di un tesoro.
Il primato di Dio deve essere assoluto. Tutto ci viene da Lui e tutto deve essere vissuto con Lui e per Lui. A Lui tutto è destinato a tornare.
Questo non sminuisce il valore di ciò che è umano e terreno. Anzi, lo arricchisce. Ogni aspetto della vita, il lavoro e il divertimento, ogni istante che passa, ogni ruolo che esercitiamo, autorità e potere umano, solo in Lui possono trovare il giusto orientamento e la giusta realizzazione. Al contrario: tutto ciò che viviamo senza Lui o contro di Lui alla fine si muta in fallimento nostro, in vanità e vuoto, in vita che si disperde nel nulla.
Con Lui invece deriva una vita non più frammentata (qualcosa a Cesare, a ciò che è umano, terreno, e qualcosa a Dio, a ciò che è spirituale), bensì una vita unificata, che trovando nel riferimento a Lui il suo senso, diventa capace di realizzare in pienezza il nostro essere umano-spirituale, capace così di esprimere il meglio. Capace di realizzare quell’immagine che da sempre portiamo impressa, non su moneta di metallo, ma nella carne viva dei nostri cuori, quell’immagine e somiglianza nella quale siamo stati creati e che attende di essere pienamente realizzata.
Questa la grande missione della Chiesa: portare il singolo uomo e l’umanità intera a riconoscere in Dio Colui che è il tutto, sorgente della vita e dell’amore, il Padre che in Gesù ci dona lo Spirito che ci trasforma a immagine dell’unico Figlio e ci rende tutti figli amati.
A questa missione siamo tutti chiamati: a partire dal nostro Battesimo siamo stati inseriti in Gesù e abbiamo ricevuto lo Spirito del Padre e del Figlio che ci fa consapevoli di chi siamo e da dove veniamo. Da quel giorno nostro unico riferimento è il Dio di Gesù, il nostro tutto e a Lui dobbiamo “rendere” ogni cosa. Vivere è “rendere a Dio” questa vita che ci ha donato realizzandola a immagine di Gesù, vivendola nell’amore che tutti ci abita e ci unisce.
Come ricorda Paolo per questo siamo stati scelti: “siete stati scelti da lui. Il nostro Vangelo non si diffuse fra voi soltanto per mezzo della parola, ma anche con la potenza dello Spirito Santo e con profonda convinzione”. Mossi da questo Spirito, illuminati dal vangelo della gioia ora siamo i missionari che continuano nel tempo e nella storia la bella notizia che Dio è il tutto perché è la vita, è l’amore, è la sorgente e il fine di tutto.
Missione che dobbiamo vivere, come ricorda ancora Paolo “nell’operosità della vostra fede, la fatica della vostra carità e la fermezza della vostra speranza nel Signore nostro Gesù Cristo, davanti a Dio e Padre nostro”.
E’ l’esempio che abbiamo davanti a noi dai tanti fratelli e sorelle che in territori di prima missione testimoniano questa operosità,fatica e fermezza.
E’ l’esempio che brilla nei santi e oggi in particolare ci viene proposta nella figura di papa Paolo VI oggi riconosciuto dalla chiesa tutta beato. E’ stato definito primo papa missionario e sull’esempio dell’apostolo di cui portava il nome ha iniziato a viaggiare nel mondo aprendo così le porte della chiesa alle periferie dell’umanità.
Oggi papa Francesco, in questa giornata missionaria mondiale, ci invita a fare altrettanto; ad essere chiesa in uscita, capaci tutti, in quanto battezzati di portare Gesù e il vangelo della gioia ovunque. Lo facciamo quando con la nostra vita testimoniamo che Dio è veramente il nostro tutto, il primo, il più importante e a lui sappiamo rendere, donare la nostra vita come atto di amore e di servizio per il bene di tutti, senza diventare schiavi del potere e dell’avere.
Così ci invita a pregare papa Francesco: A Maria, modello di evangelizzazione umile e gioiosa, rivolgiamo la nostra preghiera, perché la Chiesa diventi una casa per molti, una madre per tutti i popoli e renda possibile la nascita di un nuovo mondo.

giovedì 16 ottobre 2014

Un interessante sussidio del Servizio Diocesano alle vocazioni della Diocesi.

Un agile libretto che da una parte aiuta a conoscere i diversi luoghi mariani della Diocesi nei quali ogni terzo sabato del mese ci si reca in pellegrinaggio pregando per le vocazioni, dall'altra si offre anche come sussidio per la preghiera durante il pellegrinaggio.

D.Michele Gianola, che ha voluto e curato il formarsi di questa piccola e preziosa opera così presenta il libro: "...il libro che hai tra le mani racconta di alcuni fazzoletti di cielo sparsi per il territorio della Diocesi di Como, raggiunti ritmicamente da tanti piedi e da molte voci, da mani che un grano alla volta gridano a Dio il medesimo desiderio. Sono quadrati di terra uniti fra loro da un filo che non si vede e del quale in molti casi nemmeno si conosce l'esistenza eppure, visto dall'alto, brilla come una rete, un velo sottile, capace di riunire, raccogliere e custodire la risposta a quell'invito di Gesù... "Pregate il signore della messe, perchè mandi operai per la sua messe "(Mt.9,38; Lc10,2).

Il sussidio è diponibile presso il Centro Diocesano Vocazioni, presso ogni santuario dove il terzo sabato del mese ci si reca in pellegrinaggio e anche presso la libreria Paoline di Como.
Il ricavato (10 euro a copia) sarà devoluto alle opere di ristrutturazione del Santuario del Soccorso, cuore della preghiera vocazionale di tutta la Diocesi e luogo dove è nata e maturata quasi vent'anni fa la proposta del pellegrinaggio vocazionale.

martedì 14 ottobre 2014

Il punto sui lavori...

Dopo un mese di permanenza qui al Santuario i lavori di adeguamento della casa sono finalmente in pieno svolgimento. Entro questa settimana si dovrebbe concludere la posa del controsoffitto nel piano abitazione e quindi passare ad imbiancare (ci sono volontari?...) e finalmente sistemarsi. 
I lavori continueranno così al piano secondo con la predisposizione dei bagni nelle tre camere ospiti. Infine si passerà al pian terreno per arredare le due stanze aperte all'ospitalità. 
Insieme a questi lavori ci si sta attivando per affrontare la questione riscaldamento: l'inverno si avvicina e ci sono alcuni aspetti ancora da affrontare sia per la casa come per i locali che verranno adibiti a luoghi di incontro e che attualmente sono ancora da pulire, sistemare....e riscaldare.
A fine mese poi inizieranno anche i restuari interni del Santuario che costringeranno a ridurre gli spazi della chiesa e passare nella cappellina della Madonna per le celebrazioni feriali.
Affrontati i lavori interni della casa si passerà a mettere mano anche all'esterno... viale, alberi, orto e infine oliveto: a novembre faremo la raccolta delle olive (chi vuole partecipare può prenotarsi...comunicheremo la data esatta). Seguirà anche il taglio di parte dei platani e qui serviranno persone disponibili per lo smaltimento a terra della legna...
Infine, una volta sistemati i vari spazi interni, ci saranno possibilità di lavori di 'ufficio': sistemazioni libri biblioteca, archiviazione ecc...
Come vedete c'è solo l'imbarazzo della scelta. Chi vuole dare una mano non deve fare altro che chiamare a accordarsi sul giorno disponibile.
Nostra intenzione è di riuscire con l'inizio dell'Avvento (fine novembre) a dare avvio ufficiale alla nuova esperienza qui al Soccorso con un orario definito, la ripresa di alcune proposte di riflessione e di preghiera e avviare così anche l'ospitalità per singoli e gruppi.

Per sostenere i lavori:
- offrire volontariamente una giornata secondo le proprie possibilità;
- aiutare economicamente ad affrontare le varie spese tramite bonifico bancario (IBAN: IT13L0861885473000000020155- BCC Lezzeno sede di Lenno) o su bollettino postale intestato a Santuario della Beata Vergine del Soccorso, Via al Santuario 48, 22010 Ossucciio-Tremezzina (Co) sul C/C n° 543223.

GRAZIE a tutti i sostenitori!

domenica 12 ottobre 2014

Il Sinodo dopo la prima settimana: visto dall'interno.

Riprendiamo l'articolo dal blog de Il Regno: http://ilregno-blog.blogspot.it/ dove potete seguire passo dopo passo il lavoro in atto.

Si è conclusa la prima settimana del Sinodo speciale per riflettere sulle "sfide pastorali sulla famiglia nel contesto dell'evangelizzazione", e il primo bilancio è molto positivo. Lo dicono i partecipanti e lo confermano numerosi fatti che si sono registrati nel corso della settimana. Proviamo a fare una sintesi. 
1. Chiarezza e fraternità. L'esortazionedel santo padre indirizzata il primo giorno ai padri sinodali - parlare chiaro, con sincerità e ascoltare con umiltà e fratellanza - è stata accolta in pieno. Non c'è un solo oratore che non abbia esercitato sul serio e pienamente questo "diritto" del quale si è fatto garante lo stesso papa. Sia nel caso degli interventi di 4 minuti (in merito al tema in discussione) sia nel caso degli interventi di 2 minuti (nel dibattito libero), i sinodali si sono espressi su ogni materia senzacalcoli, timori o reticenze. Nessun tabù, nessun infingimento.

2. Serenità e comunione. Il clima delle Congregazioni, lo testimoniano numerosi addetti laici ed ecclesiastici che lavorano a sostegno delle plenarie, è di grande serenità e nulla è mai riuscito a far salire la tensione anche nel caso in cui si sono profilati in modo evidente analisi e prospettive differenti di fronte a questioni altamente sensibili. I padri sinodali hanno lavorato con un forte spirito di comunione senza temere le differenze, i disaccordi e le impostazioni dissimili. Le diversità, che esistono su non poche questioni rilevanti, sono state sempre vissute in uno spirito unitario vero e sincero.

3. La presenza del papa. La costante presenza del papa, seduto al tavolo della presidenza, ha trasmesso all'assemblea sinodale sicurezza, condivisione e fiducia. Papa Francesco ha seguito con grande attenzione ogni intervento e spesso ha preso appunti nel suo ormai voluminoso quaderno di note. Insomma, il papa ha ascoltato, memorizzato e partecipato totalmente ailavori che si sono succeduti in questi cinque giorni. Spesso tra l’altro all'ora della pausa si è intrattenuto con numerosi padri sinodali per fare domande, approfondire argomenti, proporre suggerimenti come un “qualsiasi” padre sinodale. Più di una volta accompagnato da qualcuno lo si è visto in fila davanti ai banconi dove si servono le piccole merende di mezza mattina.

4. Il tema sinodale. Il tema centrale del Sinodo è stato rispettato e gli interventi, che quasi mai hanno avuto la pretesa di essere relazioni o allocuzioni, bensì riflessioni personali per discernere insieme a tutti, si sono sempre concentrati sulle questioni dell'agenda a conferma che il lavoro di preparazione dell'assemblea ha raggiunto pienamente l’obiettivo prefissato. L'Instrumentum Laboris ha idoneamente segnato in questo modo il percorso e tutte le materie che conteneva sono state analizzate in maniera approfondita. Il documento, insieme alla Relazione del card. P. Erdò, sono apparsi a tutti i padri sinodali come un'ottima base per sviluppare le discussioni e offrire i propri contributi.

5. Un cenacolo. Sin dal primo giorno coloro che assistono in modi diversi i padri sinodali hanno avuto l'impressione di partecipare a un cenacolo nel quale tutti i “conviviali” hanno la stessa preoccupazione: discernere organicamente i contenuti della dottrina per immaginare e prospettare piste pastorali capaci di dare risposta a non poche questioni. L'Evangelizzazione pertanto spesse volte si è trovata a dover fronteggiare sfide sottovalutate e non previste. E' chiaro per tutti che c'è un tempo da recuperare anche in fretta e che alcune questioni si sono complicate più del dovuto proprio per via del ritardo della riflessione e del discernimento.

6. L'avvio di un percorso. Nessun sinodale pensa che il giorno della chiusura del Sinodo, con una pubblicazione di una dichiarazione conclusiva dei lavori, si metta fine definitivamente al percorso. Sono tutti consapevoli che è in atto un percorso lungo almeno un anno, fino alla fine della XIX Assemblea ordinaria sempre dedicata alla famiglia, nell'ottobre 2015. Con tale consapevolezza, come hanno detto numerosi padri sinodali, in questo percorso occorrerà coinvolgere i fedeli in modo tale che sia l'intera diocesi, a partire da queste prime "conclusioni", a partecipare al processo in modo vivo e crescente. L’ha voluto il papa, e questa sarà la risposta.

7. La stampa e il Sinodo. Ci sarebbe da aggiungere una postilla sulla stampa. La prima cosa che va sottolineata riguarda i sinodali, i quali sono riusciti ad evitare qualsiasi condizionamento esterno e non risulta neanche un solo intervento che in qualche modo possa apparire determinato da quanto supponevano i media. I padri sinodali, con accesso pieno e libero a ogni fonte d'informazione, hanno seguito con attenzione e rispetto quanto si diceva "fuori" sui lavori del Sinodo senza però trascinare dentro polemiche, controversie o interpretazioni mediatiche. La stampa ha dato molta informazione e sovente di ottima qualità e fattura, a volte un po’ di meno, e quindi a suo modo - senza interferenze - ha dato un suo contributo nell’ambito dell’opinione pubblica.

sabato 11 ottobre 2014

28° domenica del tempo ordinario / A



Siamo invitati oggi a uno sguardo alto, a uno sguardo di speranza.
A lasciar risuonare tra noi le stesse parole del profeta: “Si dirà in quel giorno: ‘Ecco il nostro Dio; in lui abbiamo sperato… questi è il Signore in cui abbiamo sperato; rallegriamoci, esultiamo….”
Il nostro sguardo è invitato a posarsi sul volto di Dio per ritrovare speranza e coraggio. E qual è questo volto di Dio? “Ecco il nostro Dio…” dice il profeta. Un Dio che prepara un banchetto di festa per tutti, che vuole per tutti vita piena. Un Dio che dona e non chiede, non pretende. “Eliminerà la morte… asciugherà le lacrime su ogni volto”. E’ il Dio della vita, della gioia, della festa, della consolazione il Dio in cui crediamo e speriamo.
Credere e sperare in Lui dunque è avere uno sguardo che sa intravedere sempre questa meta di realizzazione e di novità. E’ camminare nella vita portando nel cuore la certezza che siamo amati e accompagnati da un Dio che vuole condurci all’incontro con Lui, incontro di nozze, di gioia, dove la vita tutta trova la sua pienezza.
Gesù, nella parabola che parla del Regno di Dio -“Il Regno dei cieli è simile a…”-, riprendendo queste immagini di festa, di convivialità, di vita, vuol farci comprendere come tutto ciò riguarda non solo la meta finale che ci attende oltre questa esistenza, bensì la realtà presente, il nostro oggi dove il regno di Dio già è presente e cresce. Questo per ricordarci che la vita già ora deve esprimere tutta la sua bellezza e capacità di promuovere speranza, gioia, convivialità. Questa nostra vita, oggi deve essere già un banchetto di nozze, una festa carica di gioia e di convivialità.
L’esperienza quotidiana sembra invece smentire tutto ciò.
La vita ci appare ben altro, contrassegnata da morte, lacrime, violenza, delusione, male. Perché?
E’ forse tutto un inganno ciò che la Parola ci annuncia? Solo illusione e poesia? Hanno allora ragione quelli che dicono che la fede è qualcosa che ci estranea dalla vita e dalla realtà e che serve solo a dare una illusoria e vana consolazione?
La parabola del vangelo, con molta lucidità, ci porta a comprendere che non si tratta di un’illusione l’annuncio del banchetto di nozze. Il suo non potersi ancora compiere in pienezza dipende da noi, dalla nostra indifferenza.
La parabola, nei diversi personaggi, raffigura tutti noi che, davanti alla chiamata, più volte ripetuta, “venite alle nozze”, in modi diversi rispondiamo all’invito. E’ vero che il racconto vuole evidenziare il rifiuto del popolo di Israele, i “molti chiamati”, e la scelta degli ultimi, i “pochi eletti”, (i pagani, i peccatori, i lontani). Ma è anche vero che parlando a noi oggi il racconto ci costringe a rivedere il nostro modo di rispondere alla chiamata che Dio rivolge, a tutti e a ciascuno.
Davanti a un Dio che vuole per noi vita piena, che strappa veli di non senso e di paura, che asciuga lacrime e vince la morte, occorre lasciarci coinvolgere. Non basta sapere che Lui è così, se poi rifiutiamo di entrare in quella relazione che sola può permetterci di fare già ora l’esperienza di una vita che tende alla pienezza.
Purtroppo all’invito alla festa, all’occasione unica che può darci realizzazione e vita si accampano scuse e rifiuti..
E’ il rischio di ieri e di oggi. L’indifferenza:uno dei nemici più insidiosi e diffusi della fede, più temibile dell’ateismo e dell’opposizione aperta. L’indifferenza che porta a trovare scuse: ‘non ne ho voglia’; a pensare solo ai nostri affari: “non se ne curarono e andarono chi al proprio campo, chi ai propri affari”. Indifferenti all’invito e protesi solo su noi stessi. E’ così quando pensiamo che la questione Dio e la fede in Lui, siano fattore secondario della vita, quasi un di più… se c’è tempo bene altrimenti pazienza… Quando chiudiamo la nostra vita dentro gli stretti confini di una visione materialistica, lasciando Dio ai margini.
Dobbiamo re-imparare a vivere dentro la realtà, con i piedi per terra certo, affrontando problemi e fatiche, ma pur con uno sguardo oltre, uno sguardo alto, fisso su quel Dio che, proprio dentro e in mezzo alla vita di tutti i giorni ci rivolge la sua chiamata a partecipare a una relazione d’amore con Lui, al banchetto delle nozze.
La parabola poi ci mette in guardia anche da un altro rischio. E’ rappresentato nell’immagine di colui che accetta l’invito, ma si presenta senza l’“abito nuziale”. Cosa indica questo “abito nuziale” dimenticato?. Sta a significare che costui ha risposto all’invito, ma con superficialità, senza convinzione, senza amore, senza partecipazione, con freddezza. E’ il rischio che possiamo correre tutti noi; vivere sì una relazione con Dio, ma superficiale, senza il coinvolgimento dell’amore, più per abitudine che per convinzione, senza quell’abito nuziale che è la vita nuova (la veste bianca) ricevuta fin dal Battesimo.
Dono e responsabilità dunque. In queste due parole si riassume il messaggio di oggi. Un  Dio che desidera farci dono della sua stesa vita. Noi chiamati ad aprirci con responsabilità a questo splendido dono, a non accampare scuse, a venir fuori dall’indifferenza, a liberarci da una religiosità solo apparente che alla fine soffoca la fede e ci rende privi di quell’abito nuziale che deve invece contrassegnare la nostra vita facendo risplendere in noi la novità dell’essere figli amati di Dio.
Sull’esempio di Paolo, rimettiamoci anche noi in cammino imparando a stare dentro alla realtà quotidiana -“so vivere nella povertà come nell’abbondanza”- sapendo che “tutto posso in colui che mi dà forza”. Sapendo che Colui che ci chiama a una vita piena, alla festa di nozze, è anche Colui che, se ne accogliamo l’invito e viviamo nel suo amore, ci darà la capacità di rispondere alla sua chiamata e di realizzare pienamente la nostra vita.