sabato 20 luglio 2019

XVI domenica del Tempo ordinario / C


Fissiamo subito lo sguardo su Abramo (1 lettura). E’ bello vedere con quanta cura “corse loro incontro” e offrì ospitalità ai tre pellegrini, sconosciuti e stranieri, che passarono dalla sua tenda. C’è un prodigarsi per non far mancare nulla, ma c’è anche l’attenzione verso di loro: “Abramo stava in piedi presso di loro” con atteggiamento di attenzione, ascolto, oltre che di servizio.
Questa ospitalità, attenta alla persona, diventa alla fine feconda, arricchente.
Infatti Abramo e Sara da quell’accoglienza ai tre pellegrini, ricevono l’annuncio di una promessa tanto attesa: “tua moglie avrà un figlio”. Da questa ospitalità nasce la vita.
La vita di Abramo e Sara è sterile fino a questo gesto di ospitalità; la loro vita porta frutto quando ospitano i tre viandanti che passano da loro. Grazie a questo incontro la loro vita senza futuro, ora lo avrà: avrà una discendenza.
E’ l’altro, accolto e ascoltato, che ci arricchisce.
Così può essere anche per noi se ci apriamo ai fratelli con ospitalità, accoglienza, ascolto e attenzione.
L’altro sempre ti arricchisce se lo sai accogliere, se sai prestargli attenzione: è ricchezza che feconda la tua vita.
Oggi abbiamo tutti bisogno di recuperare questa maggiore capacità di attenzione verso le persone.
Gli altri non sono nemici da cui difenderci, ma ospiti che ci arricchiscono con la loro presenza. Non hostes-nemico ma hospes-ospite: due parole che esprimono due modi diversi di entrare in relazione con l’altro.

Nel Vangelo lo sguardo va poi su Marta e Maria, le due sorelle che accolgono Gesù. Fermiamo l’attenzione su Marta.
“Marta lo ospitò” dice il vangelo. Come Abramo anche lei è accogliente, servizievole, si dà da fare per l’ospite arrivato. Tuttavia da questo darsi da fare si lascia così prendere da dimenticarsi dell’ospite stesso, della persona che aveva lì accanto, diventando pure scorbutica e arrabbiata con la sorella.
E Gesù interviene. Non disprezzando il servizio e l’impegno di Marta, ma richiamandola a non cadere in quell’agitazione e affanno che distolgono il cuore dalle persone per chiuderlo sulle cose, sul da farsi, rendendolo duro e acido.
Il primo servizio, ricorda Gesù, è la vicinanza, l’ascolto.
Gesù dice a Marta, e anche a noi, fa’ un po’ meno, sediamoci, guardiamoci e ascoltiamoci. Prestiamoci attenzione gli uni gli altri.
E’ la strada indicata per noi e per le nostre comunità che oggi rischiano di essere prese da “molti servizi”, di continuare a correre ed affannarsi per mille cose, dimenticando che “di una cosa sola c’è bisogno”. Questa “sola cosa” non esclude tutto il resto, ma indica una precedenza fondamentale: dobbiamo dare precedenza alla cosa più importante, essenziale che è l’ascolto, l’attenzione alla persona, alle relazioni, per non cadere nella trappola delle cose e di un servire senza amore.
Gesù poi non cerca servitori, ma amici; non persone che facciano delle cose per lui, ma gente che lo accolga, lo ascolti gli lasci fare in noi quelle “grandi cose” che sua madre Maria canta: ”grandi cose ha fatto in me l’onnipotente”.
Grandi cose ha fatto con Abramo e Sara; grandi cose oggi vuole compiere con le nostre comunità, con ciascuno di noi. Occorre tornare a fermarci, a stare ai suoi piedi, ad ascoltare la sua parola. E così imparare da Lui a riconoscere l’altro non più come hostes-nemico ma come hospes-ospite. Passare da persone distratte e superficiali a uomini e donne che esercitano uno sguardo di attenzione, di misericordia verso chi hanno accanto, aprendo loro il cuore, le orecchie, prima ancora delle mani e della bocca.
Impareremo così a riconoscere nell’altro, in ogni altro, - e questa sarà la lieta sorpresa! - il volto e la presenza di quel Gesù che continua a farsi nostro ospite, presente in ogni uomo e donna che incontriamo ogni giorno.

sabato 13 luglio 2019

XV domenica del Tempo ordinario / C


"Che cosa devo fare?”. La domanda che un dottore della Legge pone a Gesù risuona anche per noi ogni giorno. Quante volte, nelle situazioni più diverse, ci ritroviamo a interrogare noi stessi o altri: che cosa devo fare? come devo agire? E’ una domanda non solo personale ma anche sociale, politica direi: cosa fare davanti a questo e a quest’altro problema?
Più ancora importante diventa l’interrogativo se si tratta di capire cosa fare per vivere bene, per realizzare una vita piena, eterna, come chiede il dottore della Legge a Gesù.
Per capire ciò che è giusto o meno fare, noi cristiani troviamo indicazioni, nella Parola di Dio che come bussola indica il cammino. Già Mosè (1 lettura) diceva al popolo: “Obbedirai alla voce del Signore”. Questa ‘voce’ o ‘parola’ – che inizialmente era la Legge - prende poi carne in Gesù stesso, il ‘Verbo fatto carne’, Lui che – come ricorda Paolo nella 2 lettura – “è immagine del Dio invisibile, è prima di tutte le cose e tutte in lui sussistono”.
Questo Gesù, risorto e vivente sappiamo che abita con noi e in noi grazie al Suo Spirito che diventa guida, luce, suggerimento per affrontare il  cammino della vita con tutte le sue scelte. E’ vero quanto Mosè diceva: “Questa Parola è molto vicina a te, è nella tua bocca e nel tuo cuore perché tu la metta in pratica”.
Ecco allora che dobbiamo imparare ad ascoltare, ad ascoltarci. Cosa ci dice questa Parola che è dentro il nostro cuore come seme di vita? Ci dice semplicemente: “Amerai”.
“Cosa devo fare? Amerai”. In ogni cosa, in ogni situazione, in ogni scelta: amerai. Amerai Dio, amerai gli altri, amerai il creato, amerai te stesso. “Fa’ questo e vivrai!”
Sarebbe così semplice, no? E invece, anche noi come il dottore della Legge volendo giustificarsi, vogliamo chiarire, specificare, precisare… si ma… ”e chi è il mio prossimo?”, quasi ci fossero distinzioni tra le  persone, quasi a trovare scusanti o sconti circa il fatto di essere chiamati ad amare!
Oggi, come cristiani in primo luogo e come esseri umani, è necessario che torniamo a riscoprire veramente chi è il prossimo. Anche tra noi troppi pensano che prossimo indichi chi hai vicino, i tuoi, quelli di casa, i familiari, insomma prima il vicino, prima questo poi magari anche gli altri…
Fosse almeno così! Purtroppo vediamo come coi vicini spesso si arriva se non ai coltelli, ai litigi, all’odio, alle liti…
Gesù oggi vuole aiutarci a comprendere il senso profondo di questo imperativo “Amerai”. Lo fa con una parabola semplice e splendida, che in fondo altro non fa che descrivere Lui, la sua vita, quello che lui è venuto a fare (perché alla fine è Gesù il vero buon Samaritano).
“Un uomo scendeva da Gerusalemme a Gerico…” Così inizia il racconto; ed è subito novità: “un uomo” dice Gesù. Non specifica se ebreo, pagano, bianco o nero, straniero o amico, buono o cattivo… semplicemente un uomo. E questa è già indicazione preziosa: imparare a vedere l’uomo al di là di tutti gli aggettivi e attributi che lo possono qualificare. “E’ l’uomo, un oceano di uomini, di poveri derubati, umiliati, bombardati, naufraghi in mare, sacche di umanità insanguinata per ogni continente”. (E.Ronchi)
Ma poi viene un’altra sorpresa: ci fa capire, attraverso l’atteggiamento dei diversi personaggi, che il prossimo non è tanto qualcuno piuttosto che un altro, ma sono io; io sono chiamato a farmi prossimo di questo uomo concreto. Di chiunque incontro sul mio cammino.
“Chi ti sembra sia stato il prossimo di colui che è caduto nelle mani dei briganti?” “Chi ha avuto compassione di lui”. Gesù gli disse: “Va’ e anche tu fa’ così”.
Questa la vera religione; non basta quella rituale del sacerdote e del levita che però schivano l’uomo ferito. 
Questo significa tornare umani, più ancora essere cristiani ovvero come Cristo che “lo vide, ne ebbe compassione, gli si fece vicino”. E’ la declinazione del verbo “amerai”: “lo vide, ne ebbe compassione, gli si fece vicino”.  
Amerai facendoti prossimo ad ogni uomo e donna che incontri sul cammino della vita. Questo è il vangelo. Questo è quanto dobbiamo fare se vogliamo rendere bella e riuscita la nostra e l’altrui vita.

mercoledì 10 luglio 2019

Festa di s.Benedetto

GIOVEDI' 11 luglio festa liturgica di s. Benedetto, si celebrerà la s.Messa alle ore 11.00 presso l'abbazia di s.Benedetto in Valperlana.




sabato 6 luglio 2019

XIV domenica del Tempo ordinario / C


“Designò altri settantadue e li inviò… Andate: ecco vi mando…”. Il numero settantadue è simbolico: indica la totalità (nella Bibbia indicava tutte le nazioni della terra). Vuole dire che tutti i discepoli sono chiamati ad andare da tutti.
Noi cristiani oggi siamo allora invitati a ripensare al nostro essere inviati, mandati.
Dove?  in ogni città e luogo” dice il vangelo.  Mandati dentro la società, dentro le relazioni quotidiane.
Il Concilio Vaticano II aveva ribadito con chiarezza che il mondo è lo spazio dove i cristiani sono chiamati a testimoniare il vangelo di Gesù e a collaborare per la crescita del Regno di Dio. Oggi, in questi nostri tempi complessi, occorre il coraggio di ripensare a questa nostra presenza e anche a rielaborarla per una maggiore fedeltà al vangelo.
E’ quanto la Parola oggi ci suggerisce.
Innanzitutto ricordandoci lo scopo ben preciso di questo essere mandati: “lì inviò davanti a sé”; preparare la strada a Gesù, fare strada a Gesù e non a noi stessi, alle nostre idee, ai nostri progetti… Nella società dunque perché Cristo, il suo Vangelo, il regno di Dio arrivino a toccare e interrogare la vita di ogni uomo. Occorre che sentiamo tutta l’urgenza, la necessità di questo andare verso l’altro.
Tuttavia occorre anche che ci interroghiamo su “come” attuare questa presenza dentro il mondo.
La risposta risulta immediata e chiara: come Gesù, con lo stesso stile e atteggiamento con cui Gesù è stato dentro la storia del suo tempo. Come Gesù, perché è Lui che dobbiamo portare.
Certo i tempi oggi sono diversi, ma non cambiano le modalità che nella pagina del vangelo di oggi vengono proposte ai discepoli di allora e di sempre
Innanzitutto occorre avere, come Gesù, uno sguardo positivo. “La messe è abbondante, ma sono pochi gli operai”. Noi subito pensiamo: siamo pochi, non ci sono più preti… sguardo negativo! Invece Gesù dice: guarda alla messe abbondante, guarda a frutti di bene che già stanno maturando, che già ci sono… E’ lo sguardo positivo che sa cogliere, ovunque, tutto ciò che già di buono e di bene sta maturando nei solchi della storia e per questo non sta con le mani in mano.
Questo sguardo deve poi essere accompagnato da un atteggiamento di liberta dalle cose, da sicurezze umane, dal possesso (“non portate…”) e di mitezza, senza arroganza e violenza (“come agnelli in mezzo a lupi”).
Solo così potremo offrire a chi incontriamo la pace (“Pace a questa casa”). Quella pace che nasce dalle relazioni domestiche, dal contatto quotidiano con chi incontriamo, che si costruisce nella semplicità dei gesti e delle parole che ogni giorno sappiamo seminare accanto a noi, parole e gesti di bontà, perdono, accoglienza...
Ecco allora che anche l’annuncio che ci è affidato sarà credibile: “Dite loro: ‘E’ vicino a voi il regno di Dio”. La presenza di Dio è vicina. Dio è in mezzo a noi. Questo è il motivo del nostro andare: portare la Sua presenza, la Sua vicinanza d’amore che ha la forza di guarire, liberare dal male, di far nascere relazioni nuove di pace e di fraternità.
Per questo Gesù invia “a due a due”: quasi per anticipare quella fraternità che nasce dalla sua presenza. Costruire nuove relazioni fondate sull’amore fraterno.
E’ l’annuncio dell’amore di Dio che ci è vicino: così come proclamava il profeta nella prima lettura: “sarete allattati, vi sazierete, succhierete, sarete portati in braccio e sulle ginocchia accarezzati… sarete consolati”.
Ecco cosa fa la vicinanza di Dio. Ecco in cosa consiste il Regno di Dio e a cosa è chiamata la chiesa che è la nuova Gerusalemme: “In Gerusalemme sarete consolati”; comunità che offrono consolazione, nutrimento spirituale, sostegno.
Tutto ciò da compiersi con coraggio e con umiltà. Nostro vanto, come dice Paolo nella 2 lettura, non sarà certo il fatto che “anche i demoni si sottomettono a noi”, il successo di ciò che facciamo, ma piuttosto la certezza che l’annuncio della vicinanza di Dio ci tocca in prima persona, ci rende ”nuova creatura” in Gesù, così che “i nostri nomi sono scritti nei cieli”, nel cuore stesso di Dio che mai ci abbandona.