sabato 18 maggio 2024

"Ubriachi di Dio" - Solennità di PENTECOSTE

 

Nella prima lettura degli Atti viene detto: “Venne all’improvviso dal cielo un fragore, quasi un vento che si abbatte impetuoso, e riempì tutta la casa…” Eccolo all’improvviso, lo Spirito promesso da Gesù, Colui che consola e orienta lo sguardo, i passi, il cammino, come una stella, nel mare di notte.

È lo stesso che, nella lingua ebraica, viene chiamato “Ruah” e che si traduce con respiro, soffio, alito, vento, lo stesso che aleggiava sul caos prima della creazione, quello che animò Adamo, che riempì Maria quando l’angelo le annunciò la nascita del Figlio. Dove c’è Lui c’è vita; qualcosa di nuovo, di vivo, di impensato ha inizio. Il respiro di Dio entra nei polmoni della vita, le dà ossigeno, la smuove e, come per i contadini che festeggiavano la mietitura, la fa ballare.

“La burocrazia non soffochi mai le indiscipline dello Spirito Santo”, scrive l’Abbé Pierre: Spirito indisciplinato, quello di Dio, che non sta alle regole, ai calcoli, agli schemi, ai programmi che ci facciamo, ma che scompiglia, spettina i capelli come vento, muove e spazza via la polvere e la cenere della morte. Sempre per la vita, sempre a soffiare semi, dove vuole, quando vuole, anche nei momenti in cui tutto ci appare impossibile.

Come quando i discepoli pensavano che ormai fosse tutto finito, che la morte avesse chiuso tutto, sprangato i sogni, seppellito ogni tenerezza. E invece, sempre per la vita lo Spirito creatore, quello che consola, Lui che “asciugherà ogni lacrima dai nostri occhi”.

Non lo imbrigli, come non riesci ad imbrigliare il vento, devi imparare a lasciarti gonfiare le vele e navigare portato da lui, dalla sua fantasia. È questa la verità a cui mi conduce? Questo imparare ad affidarmi, a favore di vento, nella follia di rinunciare alla rotta?

“Come il vento passa sulla cetra e le corde parlano, così nelle mie membra risuona lo Spirito del Signore e io parlo nel suo amore”, è scritto nelle Odi di Salomone: una musica nuova, che io non conosco, incomprensibile secondo i miei schemi, ma è il respiro di Dio, il polline di Dio che esplode nella vita.

Peccato che nel giorno della nostra Pentecoste non venga letto il versetto finale del racconto degli Atti: “Tutti erano stupefatti e perplessi, e si chiedevano l’un l’altro: «Che significa questo?». Altri invece li deridevano e dicevano: «Si sono ubriacati di vino dolce»”. Ubriachi gli Apostoli, ubriachi noi, ma con quell’ebbrezza addosso che fa sembrare tutto più facile, tutto più bello, tutto più possibile: perché confusamente avvertiamo che niente, proprio niente, sarà mai impossibile a Dio. Ubriachi di Dio, insomma.

Riflessione di d.Luigi Verdi (da Avvenire 15.5.24)

 

 

sabato 11 maggio 2024

"La speranza non delude" - Solennità dell'ASCENSIONE del Signore Gesù

 

Potrebbe sembrare oggi il giorno dell’addio definitivo. Ma qualcosa è cambiato: la resurrezione ha aperto nuovi orizzonti. Si tratta più di un passaggio di consegne più che un addio. L’Ascensione sta a indicare la continuità della Pasqua, quasi con uno scambio (almeno apparente) di ruoli tra Gesù e i discepoli.  Lui li aveva scelti ora li manda a fare quello che ha fatto Lui. Da loro l'incarico di parlare di lui, di predicarlo a tutti. Proprio a quei discepoli che faticano ancora molto a credere, sono pure impauriti, fragili! Eppure proprio loro invia: “Andate”.

L'Ascensione dice innanzitutto la grande fiducia che Cristo ha anche per noi che oggi siamo la sua Chiesa. Egli affida a noi la sua opera da continuare: «predicare il Vangelo»; ovvero annunciare la buona notizia della vicinanza di Dio nei confronti dell'uomo, di ogni uomo. La buona notizia, che ora spetta a noi, in suo nome e con il sostegno della sua presenza, è dire a tutti quanto più grande del male sia il bene, quanto più forte dell'odio sia il perdono, la vita della morte.

Come? A parole, forse? Non in primo luogo. Nel brano di apertura degli Atti degli Apostoli, prima lettura di questa solennità, si dice: «Gesù fece e insegnò». Prima fece, poi disse. Di nuovo, vale, questo, anche per noi. Prima fare e poi eventualmente dire. E proprio in questi termini Gesù si rivolge ai discepoli af­fidando loro la continuazione della sua opera: non semplicemente dire qualcosa, ma... scacciare demoni, sconfiggere i veleni, guarire la gente. E per riprendere Paolo (2 lettura) attraverso i diversi doni che ciascuno ha ricevuto “edificare un solo corpo”, costruire unità, comunione, nella chiesa, dare testimonianza di fraternità e di pace, diventare testimoni e “cantori” di speranza, come ci invita Papa Francesco in vista del prossimo Giubileo.

Dovremmo allora cominciare a riflettere, innanzitutto, per verificare se non ci capiti invece di fare addirittura il contrario. Ossia: dare spazio ai demoni (il dèmone della prepotenza, dell'invidia, della brama di pos­sedere, della superbia). E ai veleni... I veleni materiali che spargiamo distruggendo i luo­ghi più incantevoli del nostro pianeta. E i veleni immateriali ma non meno dannosi: i veleni della calunnia, con i quali possiamo addirittura distruggere una persona; eppure li spargiamo con grande abbondanza (la giornata odierna delle comunicazioni sociali è un invito a riflettere su come e cosa si comunica attraverso i media e non solo…). Ci sono poi i veleni della cattiveria, dell'esclusione, del pregiudizio verso coloro che non sono uguali a noi: nel colore della pelle, nel modo di vestire, di pensare, di vivere, di credere.

Oggi che le persone sono così spesso ferite, o indebolite da tante sconfitte, o intristite nella solitudine, possiamo dire, noi cristiani, di es­sere gente che guarisce o, almeno, medica queste ferite, sorregge queste debolezze, si accorge di queste solitudini? Di essere portatori di quella speranza che ha le sue fondamenta nel Gesù risorto che ci chiama a condividere la sua vita senza fine?

Cristo si è fidato di noi per portare la bella notizia di un Dio che ci ama, e noi come corrispondiamo?

Festa dell’Ascensione: Gesù oggi trova il modo di andarsene e restare, di sedere alla destra del Padre e rimanere a camminare sulla terra, continuando a portare la sua tenerezza. “Andate voi, ma io sono con voi e non solo nel ricordo o nel racconto di ciò che abbiamo vissuto.” Lo abbiamo letto: “Il Signore operava insieme con loro”. Per questo, nel racconto dell’Ascensione nel Vangelo di Luca viene detto che gli undici “se ne tornarono a Gerusalemme con grande gioia”: lo sanno, lo sentono che Gesù non li lascia più. Mai più.

Cristo oggi come allora agisce con noi, in noi. Da Lui, dalla sua nuova e definitiva presenza viene la capacità di collaborare alla sua missione, di accogliere attuare il compito che ci ha affidato “Andate” e di portare ovunque la speranza che nasce dalla sua Pasqua di morte e risurrezione.

La gente che incontriamo ogni giorno, possa dunque trovare in noi qualcosa (una scintilla, una briciola, almeno) della sua generosità, della sua dolcezza, della sua limpidezza, in una parola, del suo amore.

 

sabato 4 maggio 2024

"Dio è amore" - Sesta domenica del tempo pasquale.


“Vi ho detto queste cose perché la mia gioia sia in voi e la vostra gioia sia piena”. Tutti siamo ricercatori di gioia. La confondiamo spesso con attimi fugaci di felicità, con le scintille di un momento piacevole ma passeggero.  I tempi difficili che viviamo più che gioia ci riempiono di tristezza, delusione, ansia, scoraggiamento.

Da dove viene questa gioia piena che Gesù vuole donarci?

“Vi ho detto queste cose perché la mia gioia sia in voi e la vostra gioia sia piena”. Essa viene dalle “cose” che ci ha detto, è lì che dobbiamo andare a cercarla.

Quali sono le “cose” che Lui ci ha dette? Le abbiamo ascoltate: “Come il Padre ha amato me, anche io ho amato voi”.  E Giovanni nella sua lettera aggiunge: “Dio è amore, l’amore è da Dio. In questo sta l’amore: è Lui che ha amato noi e ha mandato suo figlio”. Sei amato da Dio, vieni dall’amore, cioè da Dio stesso e verso di Lui sei in cammino per partecipare alla pienezza del suo amore. Questa è la radice, la sorgente della gioia. Essa viene da questa esperienza di sentirsi profondamente amati: questa è la fonte della gioia. Il Padre si occupa di me; e il suo amore allora diventa in me una presenza, una forza che genera gioia.

“Rimanete nel mio amore” aggiunge Gesù. E l’invito è unito a una indicazione: “Se osserverete i miei comandamenti (la mia parola) rimarrete nel mio amore”. “Questo è il mio comandamento: “che vi amiate gli uni gli altri come io ho amato voi”. L’amore, ricevuto e vissuto, nel quale si rimane nella fedeltà alla parola, diventa il segno distintivo del discepolo di Cristo e genera gioia.

“Amatevi COME IO ho amato voi”. Essenziale questo COME. E’ ciò che qualifica l’amore e lo rende vero, autentico.

Come Lui ci ama? Raccogliamo solo qualche spunto dalla Parola ascoltata per poi approfondirlo sia personalmente, sia nella vita comunitaria.

- “Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la vita”. “In questo si è manifestato l’amore di Dio in noi: Dio ha mandato nel mondo il suo Figlio perché avessimo la vita per mezzo di Lui”. Un amore che si apre al dono di sé, della vita e non si chiude nella ricerca del proprio interesse e soddisfazione personale. Un amore quindi che si traduce nel servire, nel donare. Questo diventa lo stile del cristiano e delle comunità cristiane.

- “Non vi chiamo più servi ma vi ho chiamato amici”. E’ un amore che si mette alla pari e ci chiama a entrare in una relazione profonda. Non è ricerca di dominio, desiderio di usare l’altro. Ma è disponibilità a una comunicazione, a un dialogo che unisce e arricchisce: “amici, perché tutto ciò che ho udito dal Padre mio l’ho fatto conoscere a voi”. Vuol dire che tra noi cristiani e nelle nostre comunità non dobbiamo trattare alcuni come servi, cristiani di sere B, ma sentirci tutti coinvolti a lavorare insieme per il vangelo, aperti al dialogo, al confronto, a costruire relazioni fraterne.

- “Non voi avete scelto me, ma io ho scelto voi e vi ho costituiti perché andiate e portiate frutto”. E’ un amore gratis: non è dato come premio a chi lo merita, per i buoni risultati conseguiti. Esso previene, anticipa: è un Amore che muove dalla gratuità e si gioca nella fiducia totale nei confronti dell’altro. Vuol dire che anche nelle nostre comunità deve affermarsi lo stile della gratuità, della fiducia, della disponibilità.

- “Dio non fa preferenze di persone”: così nella prima lettura. Si tratta di un amore senza confini. Pietro arriva a percepire che l’amore di Dio travalica tutti i nostri schemi, tutte le nostre distinzioni, i muri che erigiamo e le barriere soprattutto mentali che non smettiamo mai di costruirci. “Non fa preferenze di persone” e vuole arrivare al cuore di ogni uomo e donna per riempirlo di gioia vera, di luce e di pace. Vuol dire che ogni distinzione, divisione, chiusura, emarginazione, - anche nelle nostre comunità - vanno contro l’amore di Dio.

Ecco dunque “COME” Gesù ci ama e come noi possiamo rendere concreto questo suo amore, amandoci come Lui. “Come il Padre ha amato me così io ho amato voi”, perché “vi amiate gli uni gli altri”. Rimaniamo in questo amore e rendiamolo concreto giorno dopo giorno nelle nostre relazioni e nella vita delle nostre comunità.