sabato 18 aprile 2015

Terza domenica di Pasqua




Sperimentare Gesù risorto non è esperienza privilegiata per poche persone, ma una possibilità per tutti i credenti. E’ quello che gli evangelisti intendono trasmetterci con i racconti della risurrezione che accompagnano queste prime domeniche dopo la festa di Pasqua.
Nel vangelo di oggi ci troviamo a confronto con i protagonisti di questa esperienza particolare; quei discepoli, tanto simili a noi e ben descritti da Luca: “sconvolti, pieni di paura…” e nel contempo “pieni di stupore e gioia”.
Come è possibile anche per noi fare oggi esperienza della presenza di Gesù risorto, vivente in mezzo a noi? Come si è manifestato e come si manifesta oggi tra i discepoli?
Resta sicuramente deluso chi si aspetta spettacolari apparizioni, segni cosmici sconvolgenti, prodigi, incantesimi o chissà cosa… Sono ben altri gli “indicatori di presenza” del Risorto dentro la nostra storia di oggi. Essi ricalcano lo stile con il quale Gesù, nella sua esistenza terrena, si è presentato, ha parlato della presenza di Dio, il suo Regno in mezzo a noi. Segni umili, poveri, apparentemente scontati da sembrare inadeguati. Ma questa è la scelta di Dio, la strada che Lui percorre per entrare in comunione con tutti noi.
Ecco dunque, dal brano di vangelo odierno, emergere ben tre “indicatori di presenza”. Emergono uno dopo l’altro in un crescendo che porta al vertice di questo suo manifestarsi a noi. Scopriamoli insieme.
Il primo di questi segni sono le ferite; quelle ferite della croce che permangono nel corpo risorto. “Guardate le mie mani e i miei piedi: sono proprio io! Toccatemi e guardate…”. Siamo invitati a riconoscere che il Risorto è lo stesso che fu crocifisso e a riconoscere, nelle ferite che segnano il corpo di ogni fratello e sorella che accostiamo, le Sue ferite, e dunque la Sua presenza. Più ancora: invitati a “guardare e toccare”. Noi che oggi con troppa disinvoltura giriamo lo sguardo per non guardare chi soffre, chi fa fatica; per non voler vedere le piaghe e le ferite che segnano il corpo e lo spirito di tanti, siamo chiamati con forza a guardare e toccare. “Guardate e toccate…sono proprio io”. I poveri, i deboli non sono fantasmi di cui aver paura o da cui fuggire, sono il corpo ferito del Signore che chiede e attende di essere toccato per risorgere. Guardare e toccare sono i verbi della risurrezione. Toccare: ciò prendersi cura; non solo limitarsi a vedere, ma muoverci a soccorrere imparando a riconoscere (e questo è decisamente sconvolgente) che proprio qui Lui, Dio, è presente, Lui vivente e risorto, perché ogni uomo e donna possa, pur in mezzo alle sue ferite risorgere e vivere. Dio prende e porta per sempre le nostre ferite per guarirle nel Suo amore.
Il secondo “indicatore di presenza” è la semplicità del quotidiano. A noi sempre a caccia di qualcosa di nuovo, di diverso, di straordinario, Gesù ricorda che lui invece ama la semplicità delle cose di tutti i giorni. Quale questo segno? Un pesce. Dice il vangelo: “Poiché per la gioia non credevano ancora… disse: ‘Avete qui qualche cosa da mangiare?’ Gli offrirono una porzione di pesce arrostito; egli lo prese e lo mangiò davanti a loro”. Un po’ di pesce per dire la sua vera presenza tra noi. Gesù è vivo, Gesù mangia, e il pesce arrostito diventa ponte di conoscenza, segno concreto ed efficace del suo essere lì, presente e vivente. Il pesce diventerà per i primi cristiani il simbolo, che incideranno nelle catacombe, di Gesù (anche perché nella lingua greca, le lettere che compongono la parola pesce (ichthys) sono le iniziali di: “Gesù Cristo di Dio figlio salvatore”).
Una Presenza dunque che continua a manifestarsi nelle semplici cose della vita di ogni giorno: un pesce, del pane e del vino, il mangiare insieme... Non andiamo a indagare chissà dove, non perdiamoci alla ricerca di codici nascosti o di enigmi incomprensibili. Impariamo piuttosto a riscoprire e a rivalorizzare la semplicità delle cose quotidiane come luogo e segno della presenza di Colui che è il Dio della vita.
Infine, non perché meno importante, ma anzi quale vertice di questi segnali indicatori di presenza, ecco il segno della Parola, le Scritture: “’Sono queste le parole che io vi dissi…’. Allora aprì loro la mente per comprendere le Scritture”. Quelle Scritture che da sempre parlano di Lui: “Così sta scritto… bisogna che si compiano tutte le cose scritte su di me…”. La Parola di Dio diventa così il vertice della manifestazione del Risorto tra noi. Vertice perché è Parola capace di dare luce anche alle situazioni umanamente fallimentari, alle ferite e alle piaghe che hanno segnato il Cristo e segnano tutti noi. Perché dona significato e valore alle piccole cose del quotidiano, aiutandoci a leggere in esso le orme del Creatore, del Vivente. Parola viva di un Dio vivo che continua a camminare al nostro fianco. Parola vertice della manifestazione del Risorto.
Solo “aprendo la mente” ad essa si aprono anche gli occhi e il cuore e la fede si fa possibile. Un’espressione significativa questa usata da Luca: “Aprì loro la mente” che sarebbe da tradurre “Guarì loro la mente” per renderla capace di comprendere la Parola vera. Quanto anche noi abbiamo bisogno di guarire le nostre menti, malate di falsità, di inganno, di vanità e sciocchezze, per arrivare a comprendere, per arrivare finalmente a credere che quel Gesù crocifisso è il Gesù risorto. Che questo Gesù risorto non è un fantasma, ma l’uomo pienamente riuscito, l’uomo nuovo nel quale anche noi possiamo, dobbiamo, diventare nuove creature.
Ecco gli “indicatori di presenza”; ecco come si manifesta Gesù ancora oggi. Non si tratta certo di un fantasma; in Lui c’è tutto l’uomo e tutto Dio. L’abbraccio, che non potrà più essere ormai sciolto, tra l’uomo e Dio. In quell’abbraccio ci siamo anche tutti noi chiamati a riconoscerlo e a credere in Lui. E allora anche per noi si apre da una parte l’esperienza della vera pace: “Pace a voi” è il dono per chi lo riconosce. Dall’altra l’invito: “di questo voi siete testimoni”. Di questa presenza umile, nascosta, profonda e vera, umana e divina insieme, dobbiamo dare testimonianza. Di questo Suo “stare in mezzo” a noi siamo testimoni, della Sua presenza nella nostra vita. Del suo amore che si riversa in ogni creatura, del suo perdono che guarisce ogni ferita, della Sua Parola che continua ad illuminare i nostri passi, le nostre scelte e ad aprirci mente, occhi e cuore a quella speranza che ormai abita dentro questa nostra umanità da Lui amata e salvata per sempre.

sabato 11 aprile 2015

Seconda domenica di Pasqua



Non basta aver celebrato la Pasqua per aver fatto Pasqua…
Pasqua significa ‘passaggio’; e fare questo ‘passaggio’ non è gesto di un momento, ma frutto di un cammino.
Per questo ci è ora offerto il ‘tempo pasquale’, questi cinquanta giorni che ci porteranno alla Pentecoste. Per questo anche noi, come i primi discepoli, il primo giorno della settimana e otto giorni dopo, cioè ogni domenica, ci ritroviamo per aiutarci a fare Pasqua.
Abbiamo continuamente bisogno di ‘passare oltre’, di passare con Lui il risorto, verso la vita nuova che Lui stesso ci ha reso possibile con la sua risurrezione.
Passaggi che siamo chiamati a compiere sia personalmente, come pure dentro le nostre famiglie, in ogni nostra comunità.
Dobbiamo aiutarci a passare innanzitutto dall’incredulità alla fede.
Non è difficile specchiarci nella figura di Tommaso. Certo noi diciamo di credere; ma in chi? come crediamo? Non siamo forse anche noi alla ricerca di sicurezze, di prove, di garanzie, sulle quali far poggiare ciò che diciamo essere fede?
Beati quelli che non hanno visto e hanno creduto” afferma Gesù, ‘beati voi non vedenti’, si potrebbe meglio tradurre. Beati voi che non pretendete visioni, che non correte dietro apparizioni, che non avete la pretesa di afferrare, di trattenere, di possedere, di avere certezze.
La fede è buttarsi con fiducia in Lui pur senza vederlo. Buttarsi tra le braccia del suo amore misericordioso.
La fede è imparare a leggere e riconoscere questo amore dentro le piaghe delle mani, dei piedi, del costato; piaghe sempre presenti nel corpo vivente del Cristo che sono i nostri fratelli e sorelle segnati dalla croce. Saper vedere in esse e oltre queste piaghe, la presenza di amore di un Dio che condivide, porta su di sé e salva ciascuno di noi.
Ecco la fede “che vince il mondo” come dice Giovanni nella seconda lettura; che vince l’incredulità, il peccato, il male, la morte.
Dobbiamo aiutarci insieme a crescere verso questa fede matura in un cammino di ricerca e soprattutto di ascolto di quella Parola che sola può illuminare i nostri occhi e riscaldare il nostro cuore aprendolo così al riconoscere e credere nella Sua presenza, al suo “stare in mezzo” a noi. Quella Parola che ci è data appunto – come conclude il brano del vangelo - “perché crediate che Gesù è il Cristo, il Figlio di Dio, e perché, credendo, abbiate la vita nel suo nome”.
Dobbiamo anche aiutarci a passare dalla paura, dal timore, alla pace, alla serenità interiore. Non è difficile specchiarci nel gruppo dei discepoli chiusi dentro nel cenacolo. Porte chiuse, cuori sbarrati. La paura degli altri, la paura generata da una mente che vede tutto negativo, la paura del cosa diranno, cosa ci faranno. Quella paura che rende ciechi, incapaci di saper riconoscere e vedere il bene.
E’ la paura che chiude, che sbarra porte e finestre, che soffoca cuore e anima. Passare oltre la paura. Non da soli. Ma con Lui.
Lui che non ha paura, che attraversa le porte delle nostre chiusure, entra senza paura nelle nostre paure e dice “Pace a voi”, e alita l’aria nuova, il soffio del suo Spirito, che ricrea, rigenera l’uomo come in quel primo giorno della creazione. Un soffio nuovo che scioglie la paura, i calcoli, le discussioni, i conflitti. Il Signore entra a porte chiuse, entra in mezzo alla paura e offre un’opportunità, offre se stesso, il suo Spirito, per affrontare e vincere la paura, ogni paura, per sempre.
Un’opportunità che non dobbiamo lasciar cadere, ma saper accogliere, proprio qui, nel nostro ritrovarci insieme. Proprio da qui dobbiamo ripartire con rinnovato slancio, liberi dalla paura, aperti e spinti dal Suo Soffio: “Come il Padre ha mandato me, così io mando voi”. Mandati ad annunciare che ogni paura può essere sciolta attraverso Lui, che la pace può essere ritrovata e costruita con Lui. Quello “Spirito che è verità” è “lo Spirito che dà testimonianza” e liberandoci dalla paura ci rende capaci di testimoniare la verità del suo amore misericordioso.
Dobbiamo inoltre aiutarci a passare dall’isolamento alla comunione, dal rancore al perdono, dalla dispersione al diventare “un cuore solo e un’anima sola”.
Ancora una volta non ci è difficile specchiarci in questo gruppo di discepoli. Tuttavia da come li osserviamo dentro nel cenacolo -  impauriti, isolati, chiusi - arriviamo poi a rivederli fuori, tra la gente. Una comunità rinata, così negli Atti degli Apostoli ci viene presentata. Una comunità che è riuscita a ‘venir fuori’, a superare l’isolamento, a vincere la logica del mondo, del pensare a sé, del vivere con il rancore nel cuore, per tendere, attraverso quel perdono, ricevuto in dono da Gesù, alla riconciliazione, alla comunione fraterna, fino alla condivisione effettiva dei beni, a quel pensare a tutti, soprattutto a chi fa più fatica, perché a nessuna venga a mancare il necessario.
Vediamo qui con chiarezza dove anche noi, come chiesa, dobbiamo tendere, passare… oggi più che mai. Cristiani che non si chiudono a difesa, ma sanno aprirsi con atteggiamenti di misericordia, di bontà, di condivisione, per dare “con grande forza… testimonianza della risurrezione del Signore Gesù”. Dobbiamo ritrovare questo coraggio di una testimonianza data con scelte coraggiose di perdono, di condivisione, di profonda comunione fraterna, così da essere realmente “un cuor solo e un’anima sola”.
E’ la Pasqua che dobbiamo vivere, sono i passaggi che dobbiamo costantemente compiere. Non con uno sforzo di applicazione e di eroica volontà, ma lasciando che Lui “stia in mezzo a noi”, al centro della nostra vita e delle nostre comunità. E’ Lui solo che può renderci capaci di passare verso una fede matura che arrivi al riconoscimento, umile e sincero, che solo Lui è il “Mio Signore e mio Dio”. E con Lui allora passare dalla paura alla pace, dal rancore al perdono, dalla chiusura alla comunione e condivisione fraterna. Allora avremo fatto Pasqua!

domenica 5 aprile 2015

Pasqua


Dio non è morto. Vive. Avrebbe potuto imprigionare la sua morte nella tragedia, nella lamentazione, nella maledizione. Invece no. Con la resurrezione ha cambiato la morte nella più bella notizia della storia dell'umanità. Dio mi ha regalato il suo volto. Lo ha regalato agli scartati, ai senza speranza. E ha dato a ognuno di noi la possibilità di suscitare negli altri infinite resurrezioni. Noi possiamo trasformare l'affamato in un uomo pieno di dignità, consolare chi è stanco, accogliere un carcerato, visitare un ammalato, liberare un prigioniero. In fondo, Gesù è risorto perché viviamo nel mondo già da risorti. E la nostra resurrezione non è altro che l'amore. Perché se non amiamo, diventiamo noi gli affamati, i prigionieri, gli ammalati. Se non amiamo, saremo noi stranieri per tutta la vita. Se entriamo nella sua resurrezione, nel suo patto d'amore, porteremo a nostra volta l'amore nel mondo, quell'amore che commuove, quell'amore che commuove anche il cuore di Dio. Perché Dio non è morto. Vive. È per Lui il nostro sì, il nostro tempo, la nostra preghiera, il nostro respiro. È per Lui la nostra speranza, una speranza che non si arrende e continua a bussare alla porta della disperazione per convertirla e cambiarla.
di Ernesto Olivero (Da Avvenire)

venerdì 3 aprile 2015

Per vivere la Pasqua



Triduo Pasquale

La luce profonda ha bisogno per apparire
D'una terra sfinita e spezzata dalla notte.
E'd'un legno tenebroso che la fiamma si esalta.
Occorre alla stessa parola una materia,
una riva inerte al di là d'ogni canto.
Dovrai varcare la morte perché tu viva,
La più pura presenza é un sangue versato.
     (Yves Bonnefoy)


Testo per meditare sul Giovedì santo

    SULL'ALTARE DELLA TERRA, O SIGNORE,
    Tl OFFRIRO' IL LAVORO E LA FATICA DEL MONDO

Poiché una volta ancora, o Signore, io non ho né pane, né vino, né altare mi eleverò
al di sopra dei simboli e ti offrirò, sull'altare della Terra intera, il lavoro e la fatica del Mondo.


Là in fondo, il sole ha appena incominciato a illuminare l'estremo lembo del Primo Oriente.

Una volta ancora, sotto l'onda delle sue fiamme, la superficie vivente della Terra si desta, vibra e riprende il suo travaglio.

Porrò sulla mia patena, o Signore, la messe attesa da questa nuova fatica,
e verserò nel mio calice il succo di tutti i frutti che verranno oggi spremuti. (...)
    (P. Teilhard de Chardin, L'inno dell'universo, Milano 1972, 16-31)

Testo per meditare sul Venerdì santo


    IL SERVO SOFFERENTE

Il male commesso porta con sé un giusto esilio: è la figura di Adamo;
d'altra parte il male subìto porta con sè un ingiusto annientamento: è la figura di Giobbe.

La prima figura chiama la seconda, la seconda corregge la prima.

Solo una terza figura annuncerà il superamento della contraddizione:
sarà la figura del "Servo sofferente", che farà del soffrire, del male subìto,
un'azione capace di riscattare il male commesso.
Questa figura enigmatica è quella cantata dal secondo Isaia nei quattro "canti del Servo di JHWH".....
         (P. Ricoeur, Finitudine e colpa, Il Mulino, 598-599]

Testo per meditare sul Sabato santo

     CROCIFISSI E SEPOLTI CON CRISTO

A coloro che gli chiedevano: "Quale segno ci mostri per fare queste cose?" disse: "Distruggete questo tempio e in tre giorni lo farò risorgere".

Ambedue, sia il tempio che il corpo di Gesù, secondo un'interpretazione possibile, mi sembrano figura della Chiesa. Questa infatti è edificata con pietre viventi.

E'divenuta "un edificio spirituale per un sacerdozio santo" (1 Pt 2,5).
E' edificata "sopra il fondamento degli apostoli e dei profeti, avendo come pietra angolare lo stesso Cristo Gesù" (Ef 2,20) e perciò si chiama tempio.

E però anche vero che "voi siete corpo di Cristo e sue membra, ciascuno per la sua parte" (1 Cor 12,27).
Se cosi è, può bensì venire distrutto ciò che congiunge le pietre del tempio.....
             (Origene, Commento su Giovanni, Lib. 10,20)


Verso il mattino di Resurrezione



In una notte oscura,
di amorose ansie infiammata,
o felice ventura!

Uscii e non fui notata
essendo già la mia casa addormentata.

Al buio, sicura,
per la scala segreta, travestita,
o felice ventura!
al buio, di nascosto,
essendo già la mia casa addormentata.

Nella notte propizia
in segreto e nessuno mi vedeva
né io guardavo cosa alcuna e
senz'altra luce o guida
che quella che mi bruciava nel cuore.

Ma questa mi guidava
più certa della luce meridiana
dove mi aspettava
chi ben io conoscevo
in luogo dove nessuno si mostrava.

O notte che guidasti,
notte più cara dell'aurora:
notte che hai riunito
l'Amato con l'amata,
l'amata nell'Amato trasformata!

         (Giovanni della Croce, Poesie, 1)