domenica 25 giugno 2023

"Non abbiate paura!" - XII° domenica del tempo ordinario

Non abbiate paura. Più volte risuona oggi questo invito.

E se Gesù lo ripete con tanta insistenza è perché la paura ci abita e quando ha il sopravvento pervade i nostri pensieri, condiziona le nostre scelte, paralizza la nostra vita.

Il primo passo allora è saper riconoscere le nostre paure, dare ad esse un nome. Ci sono paure che vengono dall’esterno: la paura del futuro incerto, della guerra, della malattia e della morte, la paura dell’altro solo perché diverso da noi. Ci sono poi paure che ci abitano dentro: la paura di non farcela, di non valere e di non essere adeguati, di non voler fare brutte figure davanti agli altri, la paura di manifestare i valori in cui crediamo e la fede che professiamo. Ognuno conosce le paure più intime, personali: le fragilità, le debolezze, le incoerenze, ferite che generano paura e ci chiudono in noi stessi. Nascono così pregiudizi, incomprensioni; ci abbassiamo a compromessi e a rinnegare noi stessi, ci adeguiamo al fan tutti così, alle logiche anche più perverse facendo zittire la nostra coscienza. Si arriva anche a compiere qualunque sciocchezza per paura di non essere considerati dagli altri. L’analisi potrebbe continuare a lungo aiutandoci anche a leggere diversi fatti di cronaca che segnano le nostre giornate.

Gesù non è però venuto per fare la lista delle nostre paure e giudicarci, bensì a liberarci, a guarirci dalla paura, a incoraggiarci: non abbiate paura. Soprattutto ci invita ad affrontarle, a individuare l’antidoto che le può sconfiggere.

Noi pensiamo che ciò che può vincere la paura sia il coraggio. Ma non è così. Chi può darci coraggio? Dove trovarlo? Se la paura è un veleno che ci paralizza, l’antidoto che la vince - e che permette poi di trovare anche il coraggio -, si chiama fede. La fede è il contrario della paura. Dove c’è la vera fede non può abitare la paura. “Perché avete paura? Non avete ancora fede?” dirà Gesù ai suoi. E vera fede è vivere con lo sguardo fisso non su sé stessi (proprio da qui nascono le paure) ma fisso su Dio.

Sì, ma – potremmo domandarci – su quale Dio? A volte rischiamo di avere un’immagine di Dio che suscita Lui stesso paura, che ci mette in continuo stato di apprensione.

La nostra fede è nel Dio che Gesù ci ha rivelato come Padre. Il Padre che si prende cura di noi come e più dei passeri del cielo e perfino dei capelli del nostro capo. Quel Padre che vede in ciascuno di noi un figlio amato e che non abbandona nessuno in balia della morte. Non abbiate paura dunque, voi valete di più…; è una dichiarazione d’amore: ai miei occhi tu vali, voi valete!  In questo caso il non abbiate paura non sta quindi nel fatto che le difficoltà spariscono, non è invito consolatorio-magico, ma sta nel fatto che dentro tutto ciò che siamo e viviamo Dio è coinvolto, è partecipe, è vicino come Padre che non ci abbandona nemmeno nelle fatiche e nelle prove più difficili: nessuno è abbandonato e lasciato a sé stesso.

Sta qui la sorgente: una fede che genera il coraggio per nuove scelte di vita, di donazione, di servizio, di amore gratuito e disinteressato, di impegno sociale e politico, di cura e custodia del creato. Nuove scelte per superare tante paure e aprirci a un futuro di speranza, per costruire oggi un futuro diverso.

Una fede che genera nuove relazioni: apre al coraggio di guardare all’altro come a fratello o sorella, a riconoscerne la dignità e il valore in ogni momento della vita, a costruire relazioni di fraternità, di uguaglianza, di pace e di giustizia.

Da qui nasce e si conferma il coraggio di “riconoscerlo davanti agli uomini” senza timore, così da “annunciare dalle terrazze” quello che Lui ci fa sperimentare nell’intimo del cuore.

Il coraggio di vivere fino in fondo il Vangelo e di testimoniarlo. E’ un coraggio che dobbiamo ritrovare oggi. Un coraggio che non chiede chissà quali gesti eclatanti, ma il vivere il quotidiano alla luce della Parola di Dio. Il coraggio di dire apertamente nella luce, quello che ascoltiamo all’orecchio.

Non abbiate paura: ricordiamoci sempre di questa parola di Gesù e viviamo secondo il vangelo, confidando nel Padre che Lui ci ha rivelato e nel Suo Amore fedele.

 

sabato 17 giugno 2023

"Scelti, mandati, gratuitamente" - XI domenica del tempo ordinario

 

“Gesù vedendo le folle…” Con questo sguardo si apre il vangelo di oggi. Uno sguardo che dobbiamo imparare a fare nostro. Vedendo le folle: cosa Lui ha visto e continuamente vede e prova? cosa noi vediamo?

“Ne sentì compassione perché erano stanche e sfinite”. Vede la fatica, la sofferenza del vivere e la condivide: ne senti compassione. Ma non solo; vede anche messe abbondante, frutti maturi e buoni che attendono solo di essere riconosciuti e raccolti. E’ bello questo sguardo profondo e aperto che sa cogliere dentro il faticoso vivere quotidiano i segni presenti di messe abbondante.

Siamo invitati anche noi a questo sguardo attento: vedere le fatiche e le sofferenza; vedere il bene, il positivo, i frutti buoni. Già questo è un passo importante vivendo oggi in una società che guarda solo al proprio piccolo perimetro di vita, ai propri interessi, non un centimetro in là del proprio io.

Da questo vedere occorre poi passare ad assumere atteggiamenti di compassione e di compartecipazione, riscoprendo chi siamo e cosa vogliamo fare dentro questa realtà in cui siamo stati posti a vivere.

Tre verbi ce lo ricordano. Scelti, mandati, gratuitamente.

Siamo stati scelti per essere mandati, gratuitamente.

Scelti innanzitutto. Tutti, senza distinzioni. Non solo i Dodici. Tutti noi battezzati siamo scelti per essere una “proprietà particolare, un regno di sacerdoti, una nazione santa” come dice Dio a Mosè. Scelti per essere suo popolo, la sua chiesa. Diversi, con i nostri limiti e le nostre fragilità, come quei dodici, scelti non certo per i nostri meriti ma solo per un atto di amore e formare così una comunità, un popolo nuovo. Ecco chi siamo.

Mandati. E’ il secondo verbo che ci dice cosa siamo chiamati a fare. C’è un compito, una missione. Siamo chiamati a collaborare ad essa come “operai” mandati dal “signore della messe nella sua messe”. E la messe è il mondo: carico di stanchezza, fatica, sofferenza, ma anche di messe abbondante, frutti buoni da scorgere e raccogliere. Dentro questo mondo mandati per essere operai di compassione, come Gesù che “vedendo le folle ne senti compassione”. Che non è compatimento bensì condivisione, desiderio di com-patire insieme. Un mondo quindi da amare più che da giudicare, da accogliere più che da escludere, da servire più che da servirsene. E interessante è l’invito: “non andate dai pagani, rivolgetevi piuttosto alla pecore perdute della casa di Israele”, cioè inizia dai tuoi vicini, dalla tua gente, da chi è parte della tua comunità; si incomincia da lì per arrivare  ai lontani, a tutti. Siamo noi dunque suo popolo chiamati e mandati a portare consolazione, compassione, condivisione.

E’ la missione della chiesa tutta, di tutti noi. Possiamo dire che la risposta di Gesù alle sofferenze del mondo siamo noi, sono io. E così la nostra vita acquista senso nel momento in cui riconosciamo questo compito che Dio ci affida oggi. Una vita senza compito è una vita che ci appare inutile e senza senso. Ma non c’è nessuno a cui Dio non affidi ogni giorno un impegno. Predicare, guarire, risuscitare i morti, purificare i lebbrosi, scacciare i demoni…a ben guardare sono le cose che farà Gesù! La missione allora è quella di continuare a portare Gesù tra la gente, ripetere la sua parola e i suoi gesti. Ciascuno è chiamato a incarnare nella realtà di oggi ciò che Gesù avrebbe fatto. Possiamo dire una parola buona che dia consolazione, possiamo guarire le persone dai pensieri negativi di tristezza e di rabbia, possiamo aiutare gli sconfortati a ritrovare vita, possiamo aiutare le persone a rimettere insieme i pezzi cadenti della loro vita, possiamo allontanare il male con la preghiera e il perdono. Possiamo incoraggiare il bene ovunque sia praticato, sostenere quanti si adoperano per una società più giusta, onesta, pacifica.

Gratuitamente. E’ il terzo verbo. E’ lo stile di Dio, che ti ama anche se non lo meriti, che ti ama senza aspettarne il contraccambio. “Quando eravamo ancora deboli, mentre eravamo ancora peccatori – ricorda Paolo – Dio dimostra il suo amore verso di noi” donandoci il Figlio suo. Gratuitamente. Così il Figlio ci ha amati rispecchiando il volto del Padre e così ci invita ad amare e servire: ”Gratuitamente avete ricevuto, gratuitamente date”.

domenica 11 giugno 2023

"Siamo corpus Domini" - Solennità del Corpo e Sangue del Signore Gesù

 

Oggi Gesù nel brano di vangelo ascoltato è molto ripetitivo. Ritorna costantemente su due verbi: mangiare-vivere. “se uno mangia vivrà… se non mangiate non avete in voi la vita, chi mangia me vivrà per me, chi mangia vivrà in eterno”.

Questo mangiare è riferito a quel pane con il quale Gesù si identifica fino a dirci che “il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo”.

Nella festa di oggi siamo chiamati a riconoscere il “Corpus Domini”, il corpo e sangue di Cristo reso presente tra noi nel pane e nel vino attraverso il sacramento dell’Eucaristia.

Non solo. Siamo chiamati, grazie a questo dono, a diventare un solo corpo con Gesù e un solo corpo tra noi. Questa è la comunione. Mangiare e bere Cristo significa, più che «fare la comunione» eucaristica, «farmi comunione con Lui» e diventare comunione con i fratelli e le sorelle.

Sono le due facce della Messa che Paolo ci ricorda nella seconda lettura: “Il calice e il pane che spezziamo non sono forse comunione con il corpo di Cristo? Poiché vi è un solo pane, noi siamo, benché molti, un solo corpo: tutti infatti partecipiamo all’unico pane”.

Corpus Domini: è il pane consacrato, è la comunità nutrita da questo pane. E a fare tutto è lo Spirito che noi invochiamo nella preghiera eucaristica sia sul pane e il vino perché diventi corpo e sangue, sia su tutti noi presenti perché diventiamo un corpo solo. Nella Messa si attua quindi l’unione con Cristo, nella comunione al suo corpo e sangue, e l’unione tra noi che diventiamo, grazie a Lui, il suo corpo, la sua chiesa.

Comprendiamo allora l’importanza e la grandezza di quanto noi celebriamo ogni domenica. Comprendiamo come senza l’eucaristia e senza la domenica non possiamo vivere ed essere né cristiani, né chiesa.

Tutto questo tuttavia “richiede – dice papa Francesco - il nostro assenso, la nostra disponibilità a lasciar trasformare noi stessi, il nostro modo di pensare e di agire; altrimenti le celebrazioni eucaristiche a cui partecipiamo si riducono a dei riti vuoti e formali. Tante volte qualcuno va a Messa perché si deve andare, come un atto sociale. Ma il mistero è un’altra cosa: è Gesù presente che viene per nutrirci” e farci comunità. “Non si può partecipare all’Eucaristia senza impegnarsi in una fraternità vicendevole, che sia sincera. Il Signore sa che le nostre sole forze umane non bastano per questo. Anzi, che tra noi ci sarà sempre la tentazione della rivalità, dell’invidia, del pregiudizio, della divisione… Anche per questo ci ha lasciato il sacramento della Sua Presenza reale, concreta e permanente, così che rimanendo uniti a Lui, noi possiamo ricevere sempre il dono dell’amore fraterno, che è possibile grazie all’Eucaristia. Rimanere nell’amicizia, nell’amore”. Infatti: “Chi mangia la mia carne rimane in me e io in lui”. “E tutti noi che partecipiamo all’unico pane siamo un solo corpo”.

L’eucaristia diventa così il sacramento del cammino.

Quel cammino che già il popolo di Israele fece nel deserto: ”Ricordati di tutto il cammino… Egli ti ha nutrito… Non dimenticare il Signore tuo Dio”.

Oggi noi, popolo di Dio in cammino, sua Chiesa, siamo chiamati a ricordare il suo amore per noi, a non dimenticare i suoi doni: la Parola, il pane, lo Spirito. E’ lui infatti che sorregge i nostri passi nel vivere dentro la storia e nel costruire in essa la sua Presenza.

Qui – alla Messa - si fa e si rinnova la comunità, il nostro essere chiesa. E se è vero che “è la chiesa che fa l’eucaristia” è ancor più vero che “è l’eucaristia che fa la chiesa”. 

Qui veniamo per ricevere Gesù perché ci trasformi da dentro; qui veniamo per ricevere Gesù perché faccia di noi una famiglia, il suo popolo unito e in comunione fraterna.

Ecco il “Corpus Domini”. Da vivere più che da celebrare, da realizzare più che da adorare. Dono e impegno. Grazia e fatica per generare nel quotidiano la Sua Presenza in mezzo a noi. Dio fatto uomo, fatto carne per rendere la nostra carne sua dimora, per renderci insieme sua famiglia: “Io sono il pane vivo disceso dal cielo e il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo”.

sabato 10 giugno 2023

LA FRATERNITÀ COME DESTINO

Armi e muri sono false soluzioni


LA FRATERNITÀ COME DESTINO

L’eredità degli anni della globalizzazione è la difficile sfida per la costruzione delle condizioni culturali e istituzionali in grado di sostenere la convivenza di culture diverse in un mondo diventato piccolo e interconnesso.

Dopo che, un po’ ingenuamente, si era pensato che bastasse la crescita economica per poter convivere pacificamente, la ruvidezza della realtà è tornata a farsi sentire. Gli choc che hanno colpito l’intero pianeta hanno fatto emergere le tante questioni – dalle migrazioni al cambiamento climatico, dall’approvvigionamento delle materie prime alle tensioni geopolitiche – che ora bisogna affrontare e risolvere.

Insieme.

Questa sfida vale a livello delle relazioni internazionali, come dimostrano la feroce guerra in Ucraina e gli altri conflitti che insanguinano tante parti del mondo: l’uso delle armi per dirimere le questioni territoriali o la costruzione di muri per separare ciò che è unito sono non-soluzioni destinate solo a peggiorare le cose.

Ma vale anche nei rapporti privati: dal mondo del lavoro alla famiglia. Lo sconcerto per la sequela senza fine dei femminicidi è grande. Persino nel nucleo originario dove ci si dovrebbe prendere cura della vita la capacità risolvere pacificamente divergenze e controversie sembra venire meno. La sfida di fondo del nostro tempo ha un nome: fraternità. Parola antica, che oggi però risuona con una forza e una pertinenza nuove.

Le condizioni nelle quali la vita umana ha luogo sul pianeta richiede un salto di qualità in grado di portarci oltre la modernità. Allora si trattò di affermare la persona umana nella sua dignità e integrità. Un lungo e difficile travaglio storico che si è sviluppato attorno ai due cardini della libertà individuale e della sovranità territoriale.

Ma, al punto in cui siamo, queste due conquiste non bastano più. Ciò che va recuperato è che la libertà e la sovranità non cancellano il legame, ma lo presuppongono e lo qualificano. Non come una obbligazione giustapposta che impone dei limiti, ma come elemento costitutivo che va continuamente custodito e rinnovato.

Ecco perché, in questo preciso momento storico, la giornata che Papa Francesco ha voluto oggi in Piazza San Pietro ( #notalone) ha un enorme valore simbolico. Il compito che ci aspetta nei prossimi anni è proprio quello di imparare a vivere da fratelli all’interno dell’unica madre terra che tutti abitiamo. Non c’è altra via che prendersi la responsabilità di una vita insieme.

Ogni altro pensiero, ogni altra categoria è destinata a portare alla distruzione del pianeta. Ciò significa riconoscere che la libertà è costitutivamente legata a quella degli altri e che nessuno, in fondo, è libero da solo. Riconoscere, ancora, che la sovranità assoluta non esiste: che il legame che ci precede è ciò che ci precede e ci costituisce come uomini e donne liberi e come nazioni indipendenti. Siamo tutti, allo stesso tempo, liberi e legati, cioè, come direbbe Raimon Pannikar, interindipendenti. Ci troviamo su una soglia che ci può portare oltre la modernità, verso un futuro desiderabile, o precipitare nella barbarie della guerra o del disastro ecologico. Ecco perché è essenziale riuscire a compiere quel passo in avanti che Piazza San Pietro oggi suggerisce.

Una proposta che interpella direttamente la politica: l’unica prospettiva per creare pace e prosperità è la difficile via del dialogo tra culture che sono e rimarranno profondamente diverse. Ma che mette in gioco anche le grandi confessioni religiose, chiamate a ripensarsi per creare le condizioni di un’amicizia che solo qualche volta nella storia è stata realizzata.

E che sollecita infine tutti noi: nei diversi ambiti quotidiani della vita economica e sociale, la fraternità – parola evangelica evocata dalla rivoluzione francese – è capace di delineare la cornice per immaginare un mondo in cui finalmente nessuno sia lasciato indietro e in cui a ciascuno sia data la possibilità di portare il proprio contributo al bene di tutti. Ecco un vero messaggio di futuro in un mondo scosso da così profonde tensioni. Un messaggio straordinario soprattutto per i giovani a cui è affidata, in modo particolare, la responsabilità della sua realizzazione.

Mauro Magatti (da Avvenire del 10.6.23)